Immaginate che oggi in Italia la candidata premier del centrodestra sia Alessandra Mussolini. Immaginate che l’opinione pubblica italiana sostenga che il fascismo sia stato un periodo controverso della storia nazionale e chi non l’ha vissuto non può giudicare. Immaginate si dica che il Duce e le leggi fascistissime abbiano rimediato alla “crisi generalizzata del sistema”‘ e alla debolezza dei Savoia e del Parlamento. Insomma, immaginate che il Ventennio sia stato un periodo discusso ma giustificabile, per il rischio di una guerra civile o di un regime comunista, anticipato dal biennio rosso e dagli scontri tra Fasci di combattimento e Arditi del popolo. Una buona ragione per instaurare una dittatura che mantenga l’ordine nel paese. Fantasie? In Italia, non in Cile.
L’11 settembre si ricordano i 40 anni dal golpe militare che portò alla dittatura di Pinochet. Un regime durato dai drammatici fatti del 1973 – con l’attacco alla Moneda, il palazzo presidenziale, e il presunto suicidio del presidente socialista Allende – sino al referendum del 1988 e le prime elezioni democratiche del 1989. Oggi il Cile è una democrazia solida, ma a distanza di vent’anni dalla fine del regime ancora si fatica a parlare serenamente della dittatura. La candidata del centrodestra alle imminenti elezioni presidenziali è Evelyn Matthei, figlia di un generale della giunta militare. Il nome di Augusto Pinochet aleggia nell’aria, ma raramente viene pronunciato. Quasi fosse il malvagio antagonista dei celebri romanzi di J. K. Rowling Tu-sai-chi o l’Innominato del Manzoni.
Il Cile deve ancora fare i conti, salati, con la sua storia recente. Persino il magazine di orientamento conservatore Qué Pasa è uscito con un numero speciale intitolato “‘Come si insegna il golpe a scuola?”. La rivista (ventimila copie di tiratura) riconosce che i docenti, nei licei come nelle università, si trovano in difficoltà ad affrontare il tema della dittatura con i propri studenti. Soprattutto hanno timore di prendere una posizione ed espongono i fatti da più punti di vista. Ciò accade perché molti cileni sono coinvolti emotivamente da vicende personali legate alla dittatura, da ambo i lati. Famiglie di allendisti che piangono desaparecidos, famiglie di militari che accusano la sinistra di attentati nei confronti dei loro cari. Un docente dell’Università Cattolica di sentimenti democratici ma di stampo conservatore mi ha confessato “Mio padre era tenente dell’esercito negli anni ’70-’80 e per fortuna non gli è accaduto niente, ma era frequente che sparassero a suoi commilitoni, un marinaio gli è morto tra le braccia”. Un’altra critica spesso mossa dalla destra è che la sinistra strumentalizzi il tema della dittatura per fini elettorali: si parlava di desaparecidos alla vigilia delle elezioni, per poi non affrontare l’argomento sino alle successive.
Occorre fare una distinzione fondamentale nelle transizioni da dittatura a democrazia. Esiste un’uscita “violenta”, caratterizzata da rivoluzioni, fenomeni di resistenza, guerre civili: ed è il caso di Italia (con l’eccezione postuma dell’amnistia Togliatti) e Germania. Esiste poi un’uscita “morbida” o “silenziosa”‘ dalla dittatura ed un lento cammino verso la democrazia. Ciò che è avvenuto in Cile come in Spagna, dove secondo il docente dell’Università Autonoma di Madrid Mario Carretero “nei primi vent’anni di democrazia ha regnato un’amnesia collettiva”. Non a caso la costituzione vigente in Cile è quella approvata l’11 settembre (sic!) 1980 da Pinochet e di cui la sinistra chiede una profonda revisione. Non a caso molti dei delitti commessi dai militari furono liquidati con una politica di riconciliazione nazionale. Non a caso Pinochet, nonostante tutto, è riuscito a vivere relativamente tranquillo sino alla morte nella sua villa di Santiago. Al suo funerale hanno partecipato sessantamila cileni ed il ministro della difesa della ex presidente socialista Bachelet, ora ricandidata.
Sino al 2000 nei programmi scolastici cileni si è usata una vera e propria “neolingua” orwelliana: regime militare anziché dittatura, crisi istituzionale e pronunciamento delle Forze Armate anziché colpo di Stato. Ma spesso nei programmi di storia il tema è stato direttamente saltato, con la più classica delle scuse: manca il tempo. Attualmente. con la Ley General de Educacion, lo spazio dedicato alla storia cilena è aumentato, e si comincia a parlare di violazione dei diritti umani e di tortura (caso del padre di Michelle Bachelet, anche lui generale ma morto in carcere perché fedele ad Allende). Tuttavia le opinioni degli studenti sono ancora confuse: i militari presero una “decisione drastica”; fu un’iniziativa degli Stati Uniti; era necessario per risolvere i problemi economici del governo Allende e della riforma agraria.
Argomento dei giustificazionisti è infatti il successo delle riforme economiche di Pinochet, ispirate da Milton Friedman. L’economista liberista americano (uno degli idoli della destra democratica cilena) mandò un team di Chicago Boys suoi allievi come consiglieri economici del generale, e nel 1975 gli indirizzò una lettera, seguita da varie visite a Santiago, per consigliare le riforme del regime. Non è un caso se molti intellettuali ed economisti di tutte le scuole, da Rothbard a Naomi Klein, sostengono che le teorie economiche di Friedman possano forse portare risultati, ma al costo di essere applicate in sistemi dittatoriali e totalitari. Il fine che giustifica i mezzi.
Qualunque mezzo, compresi più di 3000 morti, 40mila torturati e perseguitati, 1200 desaparecidos. La pagina della dittatura è tutt’altro che chiusa nella coscienza collettiva cilena: sarà compito delle istituzioni come degli insegnanti ricordare con obiettività quello che fu, chiamando le cose col proprio nome, ma evitando di rinfocolare l’odio. Un primo passo l’hanno fatto i giudici con un comunicato pubblicato sul quotidiano La Tercera in cui chiedono pubblicamente scusa per aver “abbandonato il ruolo di protettori dei diritti fondamentali” durante il regime.