I giornali riportano la notizia che il Tar del Lazio, richiamandosi a norme della legge Severino, ha annullato l’elezione del presidente della Camera di commercio di Roma in quanto non possono essere conferiti incarichi di amministratore di ente pubblico a chi, nei due anni precedenti, abbia “svolto incarichi e ricoperto cariche in enti di diritto privato sottoposti a controllo o finanziati da parte dell’amministrazione che conferisce l’incarico”: il nuovo presidente della Camera di commercio era stato nei due anni precedenti amministratore di una importante società controllata dalla medesima.
Non entriamo nel merito delle interpretazioni giuridiche, che lasciamo al Tar e al Consiglio di Stato presso il quale sarà certamente avanzato ricorso; ma due considerazioni politiche sono facili a farsi. Se per anni, magari venti, un gruppo di dirigenti di associazioni d’impresa governa un ente pubblico e le sue aziende controllate, incorrerà de plano nei rigori della legge Severino, essendosi alternato, quasi in un gioco di “sedie musicali”, nei vari incarichi. Abbiamo stigmatizzato spesso l’invadenza della magistratura nelle vicende della politica e dell’economia del paese: ma se la politica non riforma le istituzioni obsolete le lascia una porta spalancata.
Sulle Camera di commercio abbiamo già scritto sulla rivista: la riforma non tocca i meccanismi profondi di questi enti. La sostanza dei nostri interventi era ed è che la ripartizione delle cariche è riservata per legge alle associazioni di categoria dello specifico territorio provinciale. La consistenza numerica della loro rappresentatività non è verificata da alcuno. Ci si aspetterebbe che ogni associazione tenesse pubblici registri degli iscritti, facilmente consultabili; lo stesso dicasi per una Camera di commercio. In questo modo sa­rebbe semplice verificare i voti che determinano le cariche.
La riforma non ci risulta che intervenga in merito. Le associazioni di categoria sono enti di fatto e le Camere di commercio dovrebbero diventare altrettanto: bisogna privatizzarle, altro che accorparle in unità regionali come ha fatto la recente legge (124/ 2015). In sostanza quello del governo è stato un cambiamento senza riforma. Non ci si lamenti poi se la magistratura si pronuncia su materia che dovrebbe essere governata dalla politica.