Ora che la lista Monti non è più ipotetica – anzi, è una e trina, come si conviene a una creatura concepita presso le monache di Sion – Michele Ainis, sul Corriere, si diverte a catalogare “le cinque democrazie”: quella dei partiti, impersonata da Bersani; quella carismatica, che si incarna in Berlusconi; quella aristocratica di Monti; quella digitale di Grillo; e quella “giudiziaria” dei manettari arancione.
In effetti il catalogo è questo. Ma dal momento che difficilmente una delle cinque versioni della democrazia prevarrà indiscutibilmente sulle altre quattro, il 25 febbraio di versioni ne avremo una sesta: la democrazia di Babele.
Per carità, i parlamenti esistono per questo: per mediare fra linguaggi diversi. E nella nostra esperienza repubblicana hanno – più o meno egregiamente – provveduto alla bisogna per una quarantina d’anni, dal 18 aprile 1948 al 9 novembre 1989. Ma prima, almeno, socialisti, comunisti, democristiani e laici si erano messi d’accordo sulle regole del gioco. Ora, invece, i cinque cavalieri dell’Apocalisse che ci attende giocano con regole elettorali unanimemente ritenute inadeguate per contendersi un potere i cui limiti costituzionali ciascuno interpreta a suo modo.
In questo quadro non aveva torto chi auspicava un’iniziativa costituente prima del collasso della legislatura, magari approfittando del “velo d’ignoranza” che il governo “tecnico” aveva inevitabilmente fatto scendere sugli interessi di più breve momento rappresentati dalle forze politiche presenti in Parlamento: uno dei rari casi in cui il potere costituito può diventare potere costituente. Ma come sappiamo le cose non sono andate così.
Il guaio è che nella Torre di Babele prossima ventura non solo bisognerà trovare una maggioranza di governo, ma si dovrà eleggere il nuovo presidente della Repubblica: l’ultimo presidio di legittimità e di sovranità, in tempi di eurocrazia e di squilibrio fra i poteri dello Stato.
Ovviamente in campagna elettorale parlare di grandi coalizioni per formare la maggioranza di governo non è possibile. Ma annunciare fin d’ora qualche grande coalizione per l’elezione del successore di Napolitano sarebbe lecito ed opportuno. A meno che non si voglia prendere sul serio un’altra provocazione di Ainis, e procedere all’elezione per sorteggio.
Il successore di Napolitano si può ipotizzare che emerga dal compromesso tra “aristocratici” e “partitici”.
Il punto è che non si capisce come si potrà uscire dalla solita tenaglia tra maggioranza di governo e maggioranza per le riforme. Che non sono solo economiche ma anche istituzionali, anche se di queste ultime si parla sempre meno. Che dovrebbero iniziare dal superamento del bicameralismo,vecchia bandiera della sinistra.
A pensare che solo pochi anni fa ci si cimentava col proposito della koinè liberale. Certo, Michele Salvati con quell’espressione si riferiva soprattutto al Partito democratico, di cui, con altri, provava a delineare alcuni tratti. Ma il concetto forse tendeva a includere l’insieme delle maggiori forze della “democrazia normale” che sembrava prospettarsi.
E dinanzi all’ “apocalisse” senza “rivelazione” e senza “rinascita” che si intravede, il Capo dello Stato prova almeno a presidiare i fondamentali del “patto” che ancora lega i cittadini fra di loro e con le istituzioni.
Sappiamo che l’elezione dell’inquilino del Quirinale ha rappresentato un rito importante e a suo modo vitale nei decenni della cosiddetta prima Repubblica. E ora? Sì, sarebbe sensato annunciare subito una qualche grande coalizione al riguardo; ma su ciò si apra almeno un serio dibattito pubblico.
Copiare fa bene alla Costituzione
Non vi fate mancare proprio niente, voi italiani. Siete addirittura arrivati a formulare cinque democrazie, senza sapere farne funzionare neppure una. Parbleu, noi francesi oltre a qualche monarchia e a un paio di Imperi, siamo riusciti a darci cinque Repubbliche, che sono tante, e la Quinta è anche stata variamente imitata nel resto mondo: Europa orientale, Taiwan, alcuni Stati africani. Soltanto quei conservatori arcigni, democristiani e socialdemocratici, dei tedeschi continuano imperterriti a tenersi la stessa Costituzione dal 1949. Non solo funziona come si deve, ma è persino riuscita ad assorbire senza traumi la fulminea riunificazione voluta da Kohl. Invece, voi vi baloccate con qualche Commissione per le Riforme Istituzionali, giocherellate con un brutto, ma grasso, Porcellum, v’inventate una Nuova Assemblea Costituente à la Covatta, ma dove pensate di trovarli i Costituenti all’altezza di, in rigoroso ordine alfabetico, Basso, Calamandrei, Dossetti, Einaudi, Fanfani, Moro, Mortati, Terracini…? Da quel che si vede oltralpe, un Parlamento di nominati potrà al massimo dare vita ad un’Assemblea di cooptati secondo rigorose linee di appartenenza correntizia. Come farete a convincere i seguaci di Dossetti e Scalfaro che per “salvare” una Costituzione bisogna saperla ritoccare e aggiornare? Chi glielo dirà, sarebbe ora, al Bersani che la vostra Costituzione sarà anche “la più bella del mondo” (viaggia poco, eh, il Bersani?), ma è un po’ troppo tradizionale, con una forma di governo parlamentare buona per la prima metà del secolo XX. Quale altro predicatore saprete contrapporre all’Emerito Zagrebelski, il Card. Ruini del Diritto Costituzionale? E come spiegherete ai sedicenti liberali che la formula riformatrice non è affatto quella di dare più poteri al capo del governo, ma di potenziare tutto il circuito che collega cittadini/Parlamento/Governo? Insomma, il suggerimento e l’augurio per il 2013 (ma anche dopo…) sono che la smettiate di vantarvi e che guardiate ai sistemi politici che funzionano: Francia e Germania. Per stare attivamente e operosamente in Europa bisogna darsi una legge elettorale e un sistema istituzionale all’altezza dei migliori sistemi politici europei. Sì, proprio copiarli in blocco. Bonne Année.
Jean François Pasquinò
Ho letto Ainis e legge sempre con attenzione il web di mondoperaio. A mio avviso, quale che sia la scelta di ciascuno di noi rispetto a quanto offerto nello smogarsbord la prossima sarà una legislatura breve in quanto il Parlamento assomiglierà al Teargarten di Berlino. Dopo alcuni mesi di confusione – oggi non sappiamo ancora se Lega e PDL saranno alleati – elemento importante per congetturare su futuri equilibri), i gruppi politici dovranno trovare un assestamento attorno a pochi poli e pochi partiti, si dovrà fare una nuova legge elettorale ed andare di nuovo alle urne. Più importante dell’esito delle elezioni per il Parlamento, sarà in questo quadro chi diventerà Presidente della Repubblica, che avrà il difficlle compito di gestire con esperienza, acume ed onesto cinismo questa delicata fase al fine di fare sì che la transizione non sia troppo lunga e troppo dolorosa,
Buon anno a tutti
Dicono dalle mie parti sull’Appennino la mattina del 2 novembre: “Alegher,ragass, l’è al di di mort!”. Del 29 dicembre 2012 non possiamo dire, come qualcuno, sbagliando, ha detto dell’8 settembre, che è il giorno della morte della patria. Ma certamente è il giorno del ridicolo funerale della Terza Repubblica. Si mettono nel frullatore le scorie rancide della prima e della seconda Repubbilca: l’idea del governo degli onesti, quello che Croce chiamava il governo degli imbecilli, una sorta di neoclericalismo, i busti di due ex Presidenti della Camera eletti in epoca berlusconiana, e una nuova covata di magistrati.
Chi di giustizialismo ferisce, di giustizialismo potrebbe perire. Da ultimo è arrivato trafelato e con gli occhi febbricitanti, barba bianca e capelli tinti,il rivoluzionario guatemalteco dottore Ingroia. Forse ha ragione Passera,che ha mandato i suoi a farsi fottere.
Però, obietteranno i miei 25 lettori, c’è il baluardo del PDS, pardon PD. E dunque forse saremo l’unico paese d’Europa governato da un post-comunista,uno che ai tempi della guerra fredda approvava l’installazione degli SS 20 sovietici, poi smantellati quando Craxi si schierò per lo schieramento degli Euromissili. Lo so, lo conosco, Pierluigi è uomo di buon senso, dialogante,
prototipo di quello che noi chiamavamo il modello emiliano forgiato dal PCI.
Gigi Covatta, do you remember Nonatola? Mi viene alla mente quel che mi disse una volta Craxi, spronandomi a dialogare al Senato con i leaders del PCI: “Ricorda che il comunismo italiano vuol dire Torino, Roma e Napoli.”. Non c’erano Bologna e l’Emilia, che non è mai stata terra di statisti. Speriamo, dopo tutto, che sia la volta buona. Intanto l’acquisizione del Procuratore Grasso serve da contrappasso al Procuratore di Monza che si occupa di Filippo Penati (chi era costui?).
Quanto alla coalizione per eleggere il successore di Napolitano, il più gettonato dovrebbe essere Roberto Caldelori, vista l’unità che si è realizzata in difesa del suo porcellum.
Un’idea seria l’avrei: il nostro Acquaviva; senonchè quel che sta facendo il Vaticano contrasta con l’articolo 1 del Concordato che Gennaro ha scritto di suo pugno.
Le 5 categorie di democrazia possono anche riassumersi in due e varianti: eccezione democratica neoliberale (PD e Monti) e variante nazional neoliberale (PDL); eccezione sistemica (Grillo) e variante alternativa (Ingroia-Arancioni). Se Monsani o Bersonti esisterà dipende dal risultato dei 49 seggi senatoriali della Lombardia (visto che in Sicilia il PD ha scelto l’eredità extra legale di Crisafulli e accoliti). Il miracolo catodico del PDL non basterà a proporsi in alleanze di governo. Una convergenza Grilloia avrebbe potuto competere con Monsani e Bersonti, ma non sembra attuabile.
Quindi ci sarà un governo di Babele che durerà forse fino alle elezioni europee del 2014.
Per la presidenza della Repubblica i candidati sono: Prodi (da solo + PD + Monti + Casini); Casini (PD+Monti); D’Alema (da solo); Gianni Letta (PDL); Draghi (outsider). Dalla guerra tra Prodi e Casini, l’estrazione eterodiretta potrebbe favorire l’outsider.
Ciò detto, manca completamente un dibattito che non sia sulle persone e che, invece, guardi ai contenuti programmatici per il rilancio economico e sociale del paese (e dell’Europa).
Caro Gigi
te la faccio molto breve; anche perchè mi sono francamente stufato del “che tempi signora mia”; una delle tanti possibili chiavi interpretative del tuo testo; ma purtroppo quella ( vedi le considerazioni di Fabbri) in cui il revanscismo impotente dei socialisti tende naturalmente ad esercitarsi.
Io la vedo, molto sinteticamente, così: penso che gli schieramenti elettorali con cui andremo a votare rappresentino l’inizio di un chiarimento: da una parte la sinistra di governo, dall’altra non quella radicale “alla Bertinotti”ma piuttosto quella manettaro-parolaia; con la sconfitta totale della seconda.
E, ancora, da una parte il centro-destra liberale ed europeo, dall’altra la versione casareccia del “tea party”; con la sconfitta ai punti di quest’ultima.
E, allora, in questo duplice schema, sarà necessaria la grande intesa tra centro e sinistra, dico tra centro e sinistra “internazionalisti ed europei” e non tra Casini e Bersani. Intesa sulla presidenza della repubblica e soprattutto sulle cose da fare, intesa che è nelle cose ma la cui natura e qualità dipenderà dalla sinistra di governo e dalla sua agenda. Un tema in cui occorrerà fare un minimo di chiarezza, perchè, a tutt’oggi, siamo al “vogliamo le cose che vuole Monti ma ne vogliamo anche altre” ( Bersani dixit). Un pò poco non ti pare? Ma è su questo anello mancante che occorre perciò lavorare; magari con il concorso della nostra rivista.
Mi rendo conto di dire cose ovvie; ma l’essere ovvio non vuole dire necessariamente essere sbagliato.
Varie settimane fa avevo scritto su Facebook che un Parlamento pieno di berlusconiani incattiviti, di grillini, di leghisti (ancora non si vedevano gli ingroiani) sarebbe stato difficilmente governabile e che sarebbero stati necessari due Presidenti delle Camere di notevole grinta. Purtroppo la larga presenza in Parlamento di gruppi che non credono in alcuna forma di democrazia (con buona pace della tassonomia di Ainis) se non a quella basata sull’eliminazione (politica, non fisica, si spera) degli avversari non può essere esorcizzata o modificata con accorgimenti procedurali. L’unica strada è quella di una battaglia politica, come ha tentato Renzi, o anche come aveva provato Monti, prima che Casini gli tagliasse le gambe.
I commenti alle cose dette da Covatta si possono distinguere in previsioni più o meno verosimili e in tentativi di buttarla in caciara, o meglio di rincarare la dose di caciara che già c’è. Penso comunque che abbia ragione Alberto Benzoni a superare la sindrome del “che tempi”, e a guardare alla sostanza di quanto potrebbe accadere. Ciò dimostra anche però che il punto di partenza sulle “cinque democrazie” non serve a nulla. Perché dal punto di vista democratico le possibilità sono solo due: o i partiti populisti di ogni risma avranno un’affermazione abbastanza ampia, e i partiti democratici una troppo limitata e/o una successiva incapacità di far decollare la legislatura, e allora davvero diventeremo i sorvegliati speciali dell’UE molto più di quanto sia mai stata la Grecia, oppure accadrà il contrario. Naturalmente, perché l’ipotesi virtuosa si realizzi, la scelta del nuovo Presidente della Repubblica sarà molto importante, e per questo è altamente auspicabile che cada su un politico sperimentato, e in grado di coagulare sul suo nome un vasto consenso parlamentare.
Stamattina sul Corriere Michele Salvati arriva a conclusioni simili a quelle di Pinelli. Ma se le cose stanno così, non è meglio che “i partiti democratici” si riconoscano fin d’ora in una “coalizione costituente” che impegni il prossimo capo dello Stato ad essere il garante della transizione verso la “terza Repubblica”? O alla terza Repubblica pensiamo che ci si arrivi comodamente sulla Ferrari di Montezemolo?
Mi pare estremamente improbabile in campagna elettorale che i partiti, sia pure solo i non populisti, si riconoscano in una coalizione costituente, e d’altra parte la predeterminazione della volontà presidenziale in tema di riforme ha un infelice precedente nell’intervista di Fassino al Foglio di sette anni fa. E’ inevitabile aspettare i risultati elettorali. Né ovviamente credo che le Ferrari possano fare alcunché. Mi accontenterei di vedere una campagna elettorale in cui, visto che è a 3 e non più a 2, e quindi poi qualcuno dovrà pur allearsi con qualcun altro, perlomeno i colpi bassi venissero risparmiati. Ma stamattina non vedo un’aria buona in giro, nemmeno da questo limitato punto di vista.
Sono d’accordo con le osservazioni di Pinelli. Una coalizione costituente sarebbe opportuna – in questo condivido l’opinione del nostro direttore – ma non ho grande fiducia che si realizzi. Non vedo, per esempio, una disponibilità ad aprire una stagione costituente da parte dell’eponimo e della coalizione che si sta formando intorno alla sua agenda (che non mi pare contenga granché da questo punto di vista). L’impegno politico di Monti mi sembra orientato piuttosto da preoccupazioni di carattere economico (alcune condivisibili, altre meno, tutte meritevoli di discussione seria). Uno spiraglio potrebbe aprirsi se al Quirinale salisse un Presidente con sensibilità politica e cultura istituzionale, che si renda conto che un paese non si governa soltanto promuovendo la concorrenza e praticando (la pur necessaria) disciplina di bilancio. Un Presidente che abbia il coraggio, come ha fatto Giorgio Napolitano, di ricordare che siamo alle prese con una nuova “questione sociale” che potrebbe avere effetti altrettanto devastanti di quella di fine ottocento.
Un Presidente con sensibilità politica e cultura istituzionale è già in carica, nella pienezza dei suoi poteri. Compreso quello di interpretare il risultato delle elezioni prer conferire l’incarico di formare il nuovo governo. E compreso quello di indirizzare, anche così, la nuova legislatura. Quanto alla praticabilità politica di una “coalizione costituente” distinta dalla coalizione di governo, mi permetto di ricordare che la Costituzione vigente venne approvata così, e che del resto il 2 giugno 1946 gli elettori, pur divisi fra monarchici e repubblicani, e nonostante l’agnosticismo della Dc sulla forma di Stato, sapevano benissimo che De Gasperi, Nenni e Togliatti avrebbero collaborato nella redazione della nuova Costituzione.
La scelta del prossimo inquilino del Quirinale dipenderà dal mix di due elementi, il buon senso e il risultato dei rapporti di forza tra i nuovi eletti. Va da sé che il primo ingrediente difetterà come al solito perché se ve ne fosse a sufficienza, sarebbero in tanti a seguire il consiglio di Covatta, dando subito avvio a una discussione seria per aprire una fase costituente.
Ai papabili aggiungo Prodi e Amato anche se dovremo aspettare il 26 febbraio per astrologare con qualche elemento in più. Se oltre al PD anche Monti dovesse avere un buon risultato, in pole position vedo l’ex presidente dell’IRI mentre credo che Amato avrebbe qualche voto in più se il centrodestra di Berlusconi non uscisse dalle urne proprio con le ossa rotte. Però, tutto sommato, proprio leggendo i commenti al post del direttore, mi porrei un’altra domanda: la democrazia parlamentare, non solo in Italia, gode ancora di uno stato di salute appena passabile?
La mia opinione è che il meccanismo si sia inceppato. C’erano già dei vizi nel progetto e la globalizzazione dell’economia, della finanza, l’estrema sofisticazione e complessità della società, e soprattutto la velocizzazione dell’informazione di massa, lo sta letteralmente divorando dal di dentro. Ci rimarrà tra poco un guscio vuoto mentre il ‘potere’, quello vero capace di determinare il destino dei cittadini, verrà sempre più esercitato altrove e nemmeno con una logica apprezzabile. E lo dico pensando ai consigli di amministrazione delle multinazionali o delle grandi banche che ormai determinano la politica degli Stati e non viceversa.
Allora per tornare al Quirinale mi chiedo, visto che le decisioni sono quasi tutte sovranazionali, e poi davvero importante che vi sia Prodi, Amato, Acquaviva o… Calderoli?
Ecco allora perché poi ha così ragione Covatta. Se vi fosse abbastanza buon senso, la maggioranza delle forze politiche dovrebbero prendere atto che il confronto non sarà più tra destra, centro e sinistra in Italia, ma tra noi e il resto dell’Europa e tra l’Europa e il resto del mondo; che c’è un bisogno disperato di regole comuni su questioni fondamentali per la sopravvivenza della democrazia così come l’abbiamo conosciuta e praticata. E che bisognerebbe cominciare a rivedere una parte delle nostre regole fondamentali.
Forse al Quirinale dovrebbe andarci Benigni, uno che sa incantare le masse televisive, e casomai convincerle che la Costituzione può funzionare ancora. E poi almeno ci farebbe ridere, che non è poco.
Dal mio piccolo punto di osservazione (sarà forse perché sono uno dei pochi “operai” che legge ahimè Mondoperaio) noto una certa rilassatezza prospettica, una scontata, sconfortante e plastica aderenza al declino politico e culturale italiano.
Piano piano, così facendo, arriveremo a santificare il trogolo dove si rotolano le nostre “classi dirigenti”.
Quella “terza camera” mediatico-elitarista inaugurata col ventennio appena trascorso.
Già non basta essere evidentemente, in mano da tempo ad una stampa balcanizzata incapace di far passare una sola notizia in grado di caratterizzare un decennio o di bucare la coltre del preconfezionato.
Non è certo degli analisti dell’ovvio che abbiamo bisogno per risorgere, sia come idea di società che come visione politica.
O si fa come negli altri paesi europei o la reiterazione ad libitum dell’anomalia, proseguirà imperterrita verso il disastro.
Posso apparire su posizioni di retroguardia, ma ritengo che la chiave risieda tutt’ora nell’implosione del PD. Con l’irruzione dell’aristocrazia sulla scena politica italiana, mi domando come Bersani possa pensare di giungere incolume alle prossime europee.
E forse con il concorso di PPE e Vaticano, questa potrebbe essere la volta buona.
In questo quadro, è assolutamente chiaro che il prossimo inquilino del Quirinale (non sarebbe male se fosse il primo in grado di ridimensionare la sede presidenziale, trovandosi un 10 Downing Street romano) svolgerà una funzione determinante con l’innegabile vantaggio, di succedere forse uno dei peggiori presidenti della storia, che ha la sola attenuante di esserlo a pari merito con l’ex magistrato fascioclericale di Novara.
Un altro fondamentale compito di coloro che anelano al cambiamento, è a mio parere, quello di fare luce sulle cause della svendita dell’autonomia politico-economica dell’Italia. O si chiariscono pubblicamente i perché e i per come, sia stato possibile passare da essere la quinta potenza mondiale, all’appestata d’Europa, oppure potremo continuare soltanto a scriverci delle bellissime letterine dall’oltretomba.