Quando ancora molti, a sinistra, si richiamavano di continuo alla classe operaia e “ai suoi alleati”, Paolo Sylos Labini mostrava l’importanza assunta dai ceti medi. Negli anni ’80, poi, si dibattè molto sulla “società dei due terzi” e sul ruolo del terziario, specialmente di quello avanzato, ribattezzato da alcuni “quaternario”. Per non dire della diatriba “civiltà industriale avanzata” versus “civiltà post-industriale”. A volte si enfatizzavano determinati aspetti a discapito di altri, e analisi fondate su dati e cifre si intrecciavano con suggestioni o semplici desideri. In ogni caso, tuttavia, eravamo alle prese con tentativi di “autoritratto”: la società provava a descriversi e a parlare di sé.
E oggi? Al di là della tanto spesso evocata crisi e dei flussi migratori, è come se nessun fenomeno meritasse davvero la nostra attenzione e riflessione. Gli stessi ritrovati tecnologici legati alla comunicazione sono sì oggetto di studio di questa o quella disciplina, ma non paiono destare un grande dibattito pubblico. Quasi che i nostri lineamenti e il nostro volto non ci interessassero più. O, peggio, quasi vivessimo in una società senza volto.
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