Il quadro emerso dall’ultima tornata elettorale è inedito per la storia dell’Italia repubblicana. Le prime reazioni al voto sono state di smarrimento (da parte del centrosinistra), di soddisfazione (da parte del centrodestra, autore di una rimonta fino a pochi giorni fa impensabile) e di euforia (da parte del M5S). Nel frattempo Monti si dice “soddisfatto” (beato lui) pur avendo miseramente fallito gli scopi che si proponeva: ha ottenuto un risultato modesto che rende la sua forza politica pressoché irrilevante, pur avendo contribuito, al contempo, alla sconfitta di fatto della coalizione PD-SEL: ma forse era proprio questo l’obiettivo del Professore. Il quadro politico è subito apparso come ingovernabile e come tale l’hanno giudicato i mercati, prima di acquietarsi in una prudente attesa, speranzosi di un governo di salvezza nazionale che escluda il M5S.

Il M5S è una strana creatura, per più versi imprevedibile e indecifrabile. Il movimento è caratterizzato da una gestione sostanzialmente autoritaria, mascherata a stento dietro il culto della rete intesa come agorà virtuale dove si praticherebbe una nuova democrazia diretta. Democrazia diretta molto più presunta che reale, visto che la comunicazione fra la base e il “capo” sembra per lo più monodirezionale e visti i concreti sospetti circa il ricorso a tecniche di marketing per assicurarsi il controllo e il sostegno del “popolo della rete”. Il M5S è privo delle strutture dei partiti tradizionali, il che ne rende difficilmente decifrabili i rapporti interni e gli equilibri di potere; la figura di Casaleggio rimane avvolta nell’ombra, nonostante non manchino gli indizi sul ruolo decisivo che egli eserciterebbe nella definizione delle strategie politiche del movimento. Una struttura allo stesso tempo fluida e opaca, con centri decisionali non chiaramente identificabili, che renderà per un certo tempo la vita difficile alle forze politiche tradizionali, abituate a poter individuare rapidamente un referente con cui dialogare. La stessa figura di Grillo è per più versi singolare: beffardo quanto autoritario, spregiudicato, disponibile a farsi sedurre di volta in volta da teorie pseudoscientifiche, quindi dal luddismo antitecnologico, infine dall’amore estatico per la rete, capace di intessere fra loro messaggi non univoci, appartiene certamente alla grande famiglia dei populismi, di cui incarna una forma finora inedita (salvo qualche episodio riscontrato nel Nord Europa): una sorta di lumpenproletariat cablato. Senza che si comprenda quale sia esattamente, nel magma del web, la proposta del M5S (il programma presentato è del tutto inconsistente), la missione di Grillo è stata fin dall’inizio quella di infliggere uno shock al sistema, e non si può non dargli atto di aver centrato l’obiettivo oltre le aspettative, grazie alla involontaria ma fattiva collaborazione delle forze politiche preesistenti. Grillo, peraltro, incarna un certo tipo di animal spirits molto italiani, capace com’è di passare dalla difesa dei precari alla demonizzazione dei romeni e di Equitalia, e in tal senso ricorda da vicino l’esperienza della Lega Nord e di altri movimenti di destra, pur riuscendo ad essere sempre diverso e non immediatamente assimilabile.

Il punto però, non è questo, o non è solo questo: non si possono trascurare alcune altre caratteristiche del M5S: molti degli argomenti sui quali il movimento ha costruito la sua forza sono di per sé condivisibili e, anzi, non si capisce perché il centro sinistra sia riuscito a farseli scippare, finendo per apparire come una cadente accozzaglia di difensori dello status quo: maggiore partecipazione democratica, difesa dell’ambiente, antimilitarismo, lotta ai privilegi e alle posizioni di rendita, difesa della concorrenza, pluralismo informativo, abbattimento dei costi della politica, moralizzazione delle classi dirigenti, sono tutti argomenti che non dovrebbero essere estranei a forze progressiste e riformiste. Se il duo Grillo e Casaleggio può sembrare indigeribile in una democrazia europea matura, il che rende comprensibili certe sgradevoli osservazioni provenienti da esponenti della SPD, non si può commettere l’errore di confondere Grillo con i suoi elettori e neppure di confondere la persona di Grillo con il suo movimento. Il movimento grillino è animato da istanze partecipative che non possono essere liquidate sbrigativamente: i grillini, insomma, non sono (o non sono del tutto sovrapponibili a) Grillo. Il comico può piacere o non piacere. A chi scrive, stanco di decenni di buffonerie, risulta indigeribile. Ma questo giudizio non può essere ribaltato rozzamente sul M5S, nato come orgogliosa rivendicazione di partecipazione, dopo anni e anni di progressiva, rovinosa degenerazione della politica italiana. Non si può nascondere che il M5S ha contribuito in modo rilevante al ricambio generazionale del Parlamento italiano; l’elezione di numerosi cittadini privi di esperienza politica nei partiti (ma spesso non estranei al mondo delle associazioni e dell’impegno civile) non può e non deve essere vista come un male, anzi. La poderosa affermazione del M5S nel quadro politico italiano può essere intesa, a seconda, come una minaccia o come un positivo fattore di trasformazione. Sarà senz’altro una minaccia se le forze politiche preesistenti vorranno reagire al movimento con una rigida chiusura: il M5S nasce già come forza anti-sistema. Se “il sistema” reagirà stendendogli intorno un cordone sanitario, riuscirà forse per qualche tempo a mantenersi in vita, senza rendersi conto di preparare il proprio funerale. Se al contrario, le forze progressiste e riformiste riusciranno ad avanzare proposte credibili e condivisibili e ad avviare un dialogo con i neo-eletti del movimento, potrebbe essere l’intero Paese a beneficiarne. E’ urgente che il centro-sinistra avvii una riflessione approfondita sulla propria sconfitta (che tale è stata) cercando da un canto di non appiattirsi nell’inseguimento di slogan talora discutibili di parte grillina e dall’altro di cogliere gli elementi più vitali e innovativi che caratterizzano i veri vincitori delle elezioni di febbraio 2013. Ogni soluzione di retroguardia, a partire dalla ventilata prorogatio del Governo Monti, rischia al contrario di essere fatale.