La morte di Silvio Berlusconi ha mosso un fenomeno di forte risonanza sulla stampa e sui media, che ha assunto caratteristiche non usuali: in particolare per la sua ampiezza ed anche per la sua permanenza nel tempo. A me ha fatto impressione, per esempio, la presenza di oltre trenta pagine di notizie e commenti dedicati alla sua persona ed alla sua storia, politica e non politica, sui maggiori quotidiani nazionali, a partire dal giornale fondato dal “suo nemico”: La Repubblica. Ma anche il Corriere della Sera non è stato da meno, per non parlare di quasi tutti gli altri mezzi di comunicazione. In particolare, naturalmente, quelli televisivi. Questa montagna di notizie e di commenti che ci è stata “servita”, per diversi giorni, ha visto un’eccezione un po’ strana, almeno ai miei occhi: l’assenza pressoché assoluta di notizie, analisi, ricordi, parallelismi nel rapporto tra Berlusconi e Craxi o, più in generale, tra il leader scomparso ed i socialisti, naturalmente sia quelli del suo tempo che quelli di oggi.
La prima considerazione che mi è venuta alla mente è che tutto ciò abbia fatto senz’altro piacere a Berlusconi, perché essa rispondeva perfettamente con quanto egli ha tentato di costruire nel corso di molta parte della sua vita pubblica, e soprattutto dopo il 1992. C’è stato infatti sempre molto controllo nel modo con cui Berlusconi ha parlato ed ha interloquito con Craxi e di Craxi. Prima e dopo Tangentopoli, prima e dopo la morte nel gennaio del 2000 del suo “carissimo amico”, lungo tutti i quarant’anni e più segnati dalla loro amicizia, il leader politico che oggi viene accreditato così diffusamente all’opinione pubblica ha dedicato al leader del PSI solo poche e scarne parole, quasi sempre guardandosi bene dall’esprimere un’opinione netta sia sul suo pensiero politico che soprattutto sulle sue azioni realizzative: fossero politico-partitiche o di governo.
L’ultima volta che ebbi l’occasione di sentire Berlusconi parlare in pubblico, fu in occasione del congresso costituente del nuovo partito che si era inventato: il PdL. Era il 2009. Anche allora, in quello che era per lui un momento di particolare solennità, soprattutto perché “nuovamente” fondativo, riuscì a citare nel discorso Bettino Craxi solo una volta. E lo fece unicamente per poter così ringraziare direttamente la figlia Stefania, lì presente. Subito dopo i ringraziamenti volle aggiungere un ricordo assolutamente minore della vita politica del leader socialista: quello dello sdoganamento della destra missina che Craxi, da Presidente incaricato, aveva realizzato nel 1983, un gesto a suo dire anticipatore della scelta che lui stesso avrebbe realizzato dieci anni dopo.
Perché questa prudenza, che è spesso sconfinata nella reticenza? La domanda non è oziosa, anche in riferimento alla occasione della morte. Essa risponde infatti all’esigenza di chiarire quali siano tuttora i socialisti che hanno continuato a votare per lui; soprattutto quale rapporto politico questi nostri compagni, di ieri e di oggi, possano contemporaneamente continuare ad avere con il loro grande leader, Bettino Craxi, scomparso ormai da ventitré anni.
Berlusconi è sempre stato un moderato all’italiana, nel segno dell’intraprendenza e del “mi faccio i fatti miei”. Prima del crollo del sistema dei partiti era un filodemocristiano, ma senza contraddizione amico e sodale di Craxi: filodemocristiano per obbligo pratico e preferenza cattolico-moderata; sodale di Craxi per amicizia ma soprattutto perché “quello è il più bravo sulla piazza”. Nel 1992-93, guidato appunto dal suo istinto pratico, asseconda l’onda giustizialista, con più convinzione dopo che essa appare inarrestabile; subito dopo, preso atto che i comunisti si salveranno, capisce in un amen che deve ormai difendersi da solo. Non si tratta di una mossa azzardata o del coraggio messo in campo da chi vuole salvare l’Italia, come sono tornato a leggere sui giornali di questi giorni. Come riconoscerà lui stesso, anni dopo, “il mio miracolo non è stato quello di aver messo in piedi un’alleanza ma di avere messo insieme un elettorato senza patria”.
Per questo i voti socialisti vanno allora con lui, e poi ci rimangono; per questo Berlusconi può fare a meno di Craxi, ormai esiliato ad Hammamet: fino alla morta con qualche palpitazione, dopo in tutta tranquillità. È il gruppo dirigente di quello che fu il PSI che gli facilita il compito con ogni mezzo, confermandolo nella sua radicata preferenza a non confondersi mai con quello che è e rappresenta: non è il suo mondo, non lo è mai stato, con Craxi e senza Craxi. Se accoglie nelle sue file, pur se con molta prudenza e solo dopo averli lungamente provati, alcuni che si sono formati attorno o anche all’interno del Psi, è perché si tratta di personalità “altolocate” ed esperte, capaci di garantirgli insieme affidabilità politica e sostanziale sintonia pratica.Il fatto è che la sua personalità, il suo messaggio politico, le sue azioni di governo stanno da tutt’altra parte. Un parallelo con quanto realizzò, disponendo di molta meno forza proprio il suo “amico” Bettino, quarant’anni prima, seduto su quella stessa sedia che egli ha spesso considerato fonte di impotenza, ce ne può dare ampia dimostrazione. Tra il 1983 e il 1987, Craxi seppe utilizzare il ruolo di capo del governo con profitto ed autorevolezza per introdurre rapporti di forza e nuove regole di governabilità nel “Sistema Italia”, capaci di favorire una effettiva capacità di governo, utile a sgombrare la fitta rete di ostacoli che all’interno ne impedivano lo sviluppo e la modernizzazione. Tra l’altro rendendo così possibile e praticabile una grande politica estera, né marginale né subalterna ma fondata costantemente su di una grande autorevolezza.
Quel Presidente del Consiglio socialista era allora, nel decennio degli anni ’80, portatore di un consenso misero, appena superiore all’11%. E doveva fare i conti tutti i giorni con due formidabili castelli turriti, protetti e sostenuti da una pluralità di alleati, che dominavano tutta la politica. Il fatto è che quel personaggio, non solo aveva una grande fantasia politica, aiutata da una testa ben dura, da un coraggio adamantino e da un entusiasmo trascinatore; era anche un socialista figlio del partito, connaturato nella sua storia, espressione della sua cultura migliore, che aveva piegato anche il sano decisionismo che era parte della sua natura al confronto e alla partecipazione di molti. Per queste ragioni, e forse anche per la sua stanchezza, Craxi non fu in grado di rovesciare il tavolo della politica quando una trappola tutta partitocratica come il “patto della staffetta” gli sbarrò la via alla ratifica popolare del suo operato di statista, che un giornale nemico stimò allora, nella primavera del 1987, essere oltre il 65%. A buttare all’aria tutto ci voleva un populista e questo non poteva “purtroppo” essere il socialista Craxi, qualsiasi cosa ne pensassero De Mita, Berlinguer e successivamente i loro eredi che, opponendosi al suo disegno, contribuirono di fatto a costruire quella passerella che fece arrivare al potere Berlusconi passeggiando sul crollo dei partiti.
Alla fin fine, ciascuno raccoglie quello che ha seminato: vale per Berlusconi, vale per Craxi. La questione che oggi è davanti a noi, anche in ragione della ridondanza non usuale che si è voluto assegnare alla vicenda di questi giorni, e cioè mettendo nel conto anche le conseguenze politico-propagandistiche del dopo-morte di Berlusconi, è se questa storia possa essere raccontata e vissuta senza sotterfugi e quindi tornare a dare buoni frutti. La crisi del sistema politico che stiamo attraversando da quasi trent’anni ha cambiato l’Italia nel profondo, come purtroppo siamo costretti a constatare ogni momento. Forse anche da noi la nascita di un cosiddetto partito dei moderati, addirittura sulle ceneri di una esperienza che puzza di postfascismo, potrebbe essere un segnale di stabilizzazione, capace, almeno potenzialmente, di esprimere un governo in grado di fare e di realizzare, magari mettendo in campo una discreta gestione dell’ordinarietà. Come, sulle ceneri di quello che è stata la sinistra in questi tre decenni – con tutte le sue vaghezze, forzature ed al netto delle ingiuste e colpevoli esclusioni – può crearsi lo spazio, ma anche le condizioni pratiche, per ricostruire una forza di socialismo democratico e riformista, moderna e plurale, capace di entusiasmare anche i meno vecchi di noi, vivere il presente e forse anche prepararsi a governare il futuro. Ma sono necessari comportamenti limpidi e vanno dette parole di verità: soprattutto da parte di quelli che furono un tempo democristiani e comunisti in particolare.
Per tutte queste ragioni, anche alla luce dell’interpretazione che mi sono permesso di avanzare sulle vicende connesse con la morte di Berlusconi, io mi confermo nella opinione che il giudizio e l’utilizzo dell’esperienza dei socialisti di Craxi, lo si voglia o no, è uno spartiacque ineludibile ed insieme una grande risorsa.