Forse non ve ne siete accorti, ma io sì. E sono in grado di annunciarvi che nel periodo intercorso tra la sparizione di un giovane ricercatore italiano in Egitto e la conclusione del Festival di Sanremo è morta la sinistra italiana. Chi ve lo dice è un “signor nessuno”. Ma è anche parte di quella umanità che ha conferito e confermato ai suoi rappresentanti, pur tra mille traversie, una sorta di “mandato del cielo”. Si sbagliava e si tradiva, certo. Ma si conservava la capacità di capire, e cioè di interpretare gli eventi per orientarne il corso verso una società diversa e migliore: e al tempo stesso quella di indignarsi, cioè di soffrire per le ingiustizie del mondo e di offrire com-passione – e quindi attiva solidarietà – a chi – collettività ma anche individui – ne fosse vittima.
Certo, la sinistra non aveva, né poteva pretendere, il monopolio dell’intelligenza storica o dell’indignazione. Né Keynes né Beveridge erano socialisti. E ciò che più conta, l’indignazione – quella vera, quella catartica, il “questo poi no” e il “questo mai più” che segnano un momento di totale discontinuità nella vita di un individuo e di una collettività – è evento straordinario che appartiene al mistero della storia e non può essere prodotto in un laboratorio. A noi, allora, spettava il compito di “farli nostri”: di capire e di interpretare Keynes e Beveridge per la costruzione dello Stato sociale; o per altro verso, tanto per fare un esempio, di tradurre l’intollerabile sentimento di vergogna nato dopo l’8 settembre in un progetto di riscatto collettivo. E nella capacità di assolvere a questo compito stava il nostro mandato, e quindi la nostra legittimazione.
Ora il bell’edificio ha cominciato a sfaldarsi davanti ai nostri occhi. E a quanto pare senza che i responsabili se ne accorgessero. Abbiamo cominciato (in questo caso non solo in Italia) con il perdere il filo diretto con la storia: prima con il venir meno del futuro ultimo, poi (post hoc ergo propter hoc?) con la totale incomprensione del presente (toutes ideologies confondues).
In Italia si è pensato di compensare la perdita dell’intelligenza con il ricorso massiccio all’indignazione: un’indignazione fabbricata a getto continuo in laboratorio dall’alto della nostra superiorità morale. Ma la droga di sostituzione, diffusa a piene mani nell’organismo, ha finito con il devastarlo. Perché l’indignazione finta ha distrutto alle radici la pianta dell’indignazione vera; e perché questa indignazione finta ha finito con il colpire anche noi, trasformandosi in qualunquismo compiaciuto.
A quel punto eravamo già morti. Ma non lo sapevamo. A rivelare a tutti il nostro decesso un giovane mite, ironico ed idealista. Molto diverso da quelli che posavano a vittime e sfilavano per le strade in omaggio ad eroi improbabili di rivoluzioni inesistenti. Uno che non amava l’umanità in generale ma gli uomini in carne ed ossa: e che è stato massacrato perché, pensate un po’, voleva dare voce e solidarietà ad un sindacato egiziano di venditori ambulanti.
Ora, questo giovane non è stato solo abbandonato da vivo (e per questo ci potrebbero essere delle scusanti). E’ stato anche sepolto (anzi gettato nella fossa comune) da una sinistra che avrebbe dovuto non dico fare tesoro del suo insegnamento, ma curarne gelosamente la memoria. E invece, il silenzio totale. Dei rappresentanti delle istituzioni. Dei politici. Dei sindacati. Degli intellettuali di ogni ordine e grado. Delle varie coscienze nazionali in servizio permanente effettivo. A ricordare l’amico duecento egiziani davanti all’ambasciata italiana del Cairo, a rischio della vita. Davanti all’ambasciata egiziana a Roma, nessuno (magari perché si temeva di intralciare il traffico). A lanciare una petizione per conoscere la verità ed onorare un giovane studioso, accademici inglesi e di tutto il mondo: a firmarla, qualche italiano di passaggio.
Potremmo continuare all’infinito. Ma chiudiamo con Sanremo, il luogo deputato per trasformare la tragedia in volgare farsa. In quei giorni, proprio in concorrenza con i funerali di Giulio Regeni con una presenza volutamente limitata a chi l’aveva conosciuto e gli aveva voluto bene, si è inteso proporre all’universo nazional-popolare del Festival i due marò come modello dell’Italiano da esaltare e da difendere. Evidentemente ogni sinistra ha il paese che si merita. E viceversa.
Difficile non condividere l’indignazione di Benzoni per una sinistra che marcia più volentieri dietro l’icona del Che Guevara che davanti all’ambasciata d’Egitto. E difficile anche non storcere la bocca per la strumentalizzazione nazionalpopolare della vicenda dei due marò, frutto innanzitutto dell’insipenza dell’allora ministro Ignazio La Russa che voleva cavalcare l’onda della lotta alla pirateria mandando militari a bordo dei mercantili senza definirne le regole d’ingaggio. Il che non toglie però che nel caso del povero Regeni va evitato anche un altro stilema della sinistra: quello di attribuire agli interessi economicii e geopolitici una certa cautela del nostro governo. In un paese in cui si può impunemente piazzare una bomba su un aereo russo non si può escludere che i responsabili dell’assassinio non siano necessariamente agenti del governo.
Sono d’accordo con l’autore.