Al momento di presentare alle Camere il disegno di legge per la concorrenza, il Governo Draghi ha dovuto fare un passo indietro di fronte al muro opposto dai concessionari degli stabilimenti balneari all’ipotesi di mettere a gara il servizio.
Un muro evidentemente ben sostenuto da partiti della maggioranza (tutti, c’è da sospettare, vista la collocazione degli stabilimenti, sparsa su tutte le coste italiane).
E’ stato il primo fermo, inglorioso, che il Governo Draghi ha subìto dalla sua maggioranza. Che ne annuncia altri, ogni volta che si toccheranno interessi presidiati da partiti indecisi a tutto tranne che a porre veti. Ancora una volta gli interessi di tutti (anche ad accedere alle spiagge a prezzi accettabili) vengono dopo.
Ma c’è di più. Non è stata notata la soluzione trovata dal Governo per coprire la sostanziale ritirata. Quella di realizzare una mappatura dei regimi concessori di beni pubblici, che comprenda fra le altre cose – come si legge nel disegno di legge presentato in Parlamento – atti, contratti e convenzioni, la durata, i rinnovi in favore di un medesimo concessionario, di una società controllata dal concessionario o di un suo familiare diretto, del canone, dei beneficiari, della natura della concessione.
A fare notizia non è la decisione, ovviamente necessaria per poter fare qualunque scelta, ma il presupposto: il Governo della Repubblica italiana ignora cose che dovrebbe già sapere benissimo. Non si tratta infatti di contratti fra privati, ma di concessioni di beni pubblici coi Comuni, i cui dati dovrebbero perciò essere a disposizione, non solo di tutte le altre istituzioni della Repubblica, ma di tutti i suoi cittadini.
Invece non è così. Cosi come anni fa non erano conosciute le spese delle unità sanitarie locali, tanto che i governi dell’epoca adottavano atti di indirizzo e coordinamento al solo scopo di farle divulgare.
In Italia cose del genere non sono rare. Accadono regolarmente quando c’è da mettere qualcosa sotto il tappeto; e ci si riesce, perché i controlli sono il buco nero delle amministrazioni nazionali e locali.
A tutto questo siamo abituati, e nel frattempo trasparenza e concorrenza, per non dire mercato, sono diventate brutte parole, come se equivalessero a neoliberalismo o a globalizzazione selvaggia. Il vento ormai è cambiato, si scrive e ancor più si pensa. Chi lo pensa dimentica però che l’alternativa alla trasparenza e anche alla concorrenza (dove non ci sono diritti da far valere per tutti in condizioni di eguaglianza) non è il socialismo, ma la legge del più forte.
È chiaro che, in una situazione del genere, a brindare non sono solo i concessionari degli stabilimenti balneari. Sono tutti quelli interessati a mantenere i loro privilegi, protezioni e rendite ad ogni costo. Anche a costo di far fallire la più grande facilitazione economica che l’Italia abbia ottenuto dopo il Piano Marshall.
A leggere certi commenti, si direbbe che il NGEU sia un affare privato fra la solita “Europa” e il governo, non l’occasione per spostare la distribuzione del reddito a favore di chi ha più sofferto dalle crisi di questi anni, grazie a un’economia che dopo la pandemia ha ripreso a crescere a ritmi insospettati.
I migliori alleati dei titolari di rendite sono quanti schiacciano i cambiamenti politici che si sono avuti in Europa e in Italia negli ultimi due anni – precari, ma innegabili – sullo stesso schema della polemica con Bruxelles dopo la crisi dei subprime.
Se queste sono le condizioni, il tradizionale racconto giornalistico su Draghi andrebbe esattamente rovesciato. Non un tecnocrate dotato di superpoteri (che si infrangono al primo scontro), ma un uomo di governo con un bagaglio liberalsocialista che sta attraversando una giungla di potenti e radicate corporazioni. Certo, non è immaginabile che il giornalismo sappia cambiare il racconto. A maggior ragione bisogna parlarne.
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