Dal Trattato di Maastricht (1993), la parola ‘vincolo europeo’ ha a lungo significato in Italia obbligo di conti in ordine, e quindi restrizione della spesa pubblica. Un vincolo che si era anzi notevolmente intensificato con le misure di contrasto alla crisi della finanza globale (regolamenti UE e poi Fiscal Compact del 2013), sia perché i tetti posti a livello europeo non riguardavano più solo il deficit di bilancio ma anche il debito pubblico, sia soprattutto perché tutta la procedura relativa alla decisione di bilancio nazionale si intrecciava con valutazioni e controlli di Bruxelles, e con la sottoposizione della politica economica, in caso di superamento dei tetti, alla guida di una Trojka (composta da rappresentanti della Commissione, della BCE e del Fondo monetario internazionale) fino al “risanamento” delle finanze dello Stato membro “spendaccione”.
Ci ricordiamo tutti cosa accadde alla Grecia, e che anni dopo esponenti ufficiali dell’Unione si ricredettero sulla bontà della dottrina “lacrime e sangue” imposta a quel Paese. Certo è, comunque, che la pandemia ha imposto all’Unione un rapido (per i suoi tempi di solito lunghissimi) cambiamento di orizzonte. Da una parte i vincoli del Fiscal Compact sono stati momentaneamente sospesi per tutti gli Stati membri, dall’altra si è avviata una “condizionalità” di segno opposto a quella prevista fino ad allora. Col PNRR l’Unione presta o sovvenziona risorse agli Stati membri più in difficoltà, primo in assoluto lo Stato italiano, che ne risulta beneficiario per circa 250 miliardi in sei anni. Naturalmente, prestiti a parte, anche l’erogazione di queste risorse è soggetta a condizioni, riguardanti l’approvazione e soprattutto l’attuazione di certe riforme ritenute necessarie alla crescita, in particolare nelle pubbliche amministrazioni e nella giustizia, nonché riguardanti il controllo del se e del come della spesa degli stessi fondi europei.
Il PNRR dunque mantiene la condizionalità, ma con un segno rovesciato. L’Unione non è più un occhiuto guardiano di conti che non interviene nelle condizioni della crescita. Diventa guardiano dei conti proprio perché vi è intervenuto. Il che dovrebbe porre la stessa Unione al riparo da ogni rimprovero di voler strozzare la crescita, se lo Stato membro non riformasse le proprie amministrazioni o non spendesse nei tempi indicati i fondi europei. Dovrebbe, non necessariamente dovrà. Da noi i lamenti di commedianti interessati non si possono escludere neanche in questo caso. Vediamo perché.
In Italia, in tempi di pandemia, le critiche all’Unione sono cessate proprio grazie al varo del PNRR, che d’altra parte è stato frutto di un forte impegno del governo per indirizzare il grosso delle risorse verso il nostro Paese. Ma questo non vuol dire che sia venuta meno la diffidenza verso l’Unione di gruppi e corporazioni, e di partiti pronti a ingigantirla per ragioni elettorali, a sinistra e ancor più a destra.
Nell’anno in corso il Governo Draghi è riuscito a ottenere dall’Unione tutti i fondi che era possibile ottenere, principalmente grazie all’approvazione delle riforme che erano state richieste. I risultati sono stati però meno buoni sul fronte dell’amministrazione, in termini di riorganizzazione della stessa e di capacità di spesa, a livello regionale e locale ancor più che a livello nazionale.
Ora siamo alla fine del 2022, con un nuovo governo legittimato dai risultati elettorali. Mentre scriviamo, non è ancora chiara la conclusione della partita sulle nomine ai vertici delle amministrazioni chiamate a dare attuazione al PNRR. Ma questa è comunque solo una parte del problema. Anche se tutti i vertici fossero confermati (del che è lecito dubitare), l’inerzia amministrativa rimane potente, e si è anzi rafforzata con un governo che garantisce la continuità di un indirizzo attento alla connessione fra impegni presi e comportamenti attraverso il solo Ministro dell’Economia. Decisamente poco, specie se i segnali del primo mese del Governo Meloni continuassero a manifestarsi. La pur inevitabile sterzata a destra (non solo sul fronte dei diritti, ma anche su quello dell’economia) ha infatti messo volutamente in ombra il più imbarazzante tema del rispetto delle tabelle di marcia richieste per i fondi europei.
Vogliamo sapere a che punto siamo sul tema, e cosa intende fare il governo per rispettare i tempi: possibilmente con una comunicazione semplice, che tutti possono capire. Invece l’attenzione mediatica si concentra su un imbroglio perpetrato ai danni di qualche centinaio di migranti recuperati in mare dalle navi delle ONG: appena il 10 per cento del totale di quelli sbarcati in Italia negli ultimi mesi. Siamo tornati all’estate 2018, per consentire a un partito di rifare il pieno dei voti come aveva fatto allora (cosa peraltro impossibile). È una sceneggiata che potrebbe prepararne un’altra. Quando da Bruxelles, dopo aver certificato che le riforme non sono state attuate e/o che i fondi non sono stati spesi, verrà richiesto all’Italia il recupero non solo dei fondi prestati, ma anche degli altri. Allora potrebbero ricominciare (sempre a fini elettorali) anche i lamenti sull’Europa che strozza l’economia italiana, come se fossimo tornati agli anni del Fiscal Compact, nonostante le differenze che abbiamo visto.
Troppa malizia? Diciamo casomai che troppi commedianti calcano la scena credendo di capire e di sapere tutto, e facendo così correre rischi serissimi a tutti noi.
Scrivi un commento