Secondo una delle celebri battute di Giulio Andreotti, gli ambientalisti somiglierebbero ai cocomeri, verdi fuori e rossi dentro. Dovremo deporre tale idea per assumerci le responsabilità che scaturiscono dal fatto di essere – per dirla col presidente Obama – l’ultima generazione in grado di evitare l’autodistruzione della specie, e per apprezzare un buon accordo come quello raggiunto a Parigi per contenere l’innalzamento della temperatura terrestre.
Battersi per la salvaguardia della biodiversità, contro le emissioni dei gas serra e il dissesto idrogeologico, per la crescita sostenibile non vuol dire proporsi il superamento dei principi liberali. Si tratta invece di dimensioni inedite per il genere umano, dai mille versanti e dalle mille implicazioni.
Ciò non significa che non si possano assumere atteggiamenti dissimili rispetto a fenomeni del genere. La divisione fra “apocalittici” e “integrati”, però, non giova al cambiamento. Come disse Ugo La Malfa ad Alberto Ronchey in occasione di un’intervista, ciò che definiamo capitalismo non è altro che la civiltà industriale, nelle sue varie versioni. Un discorso proficuo sarebbe dunque cosa si intenda per “post-industriale” (con o senza trattino). Un mondo dominato dal terziario avanzato (o “quaternario”) e dalle comunicazioni? Ma è già così quello attuale, almeno in parte. Una terra deindustrializzata? Ciò non consentirebbe neppure di sfamare gli esseri umani e di dotarli degli utensili più semplici. Si tratta, evidentemente, di raggiungere nuovi equilibri, fondati sulla ragionevolezza, sul primato della vita nei confronti della morte, sulla responsabilità verso le generazioni future.
Ѐ giusto far leva sulla paura e sull’angoscia per spingere ciascuno di noi ad assumere comportamenti diversi? Non so: forse sì, di fronte al rischio dell’implosione della civiltà e della stessa fine della vita evoluta sul globo. Di certo occorre scrollarsi di dosso la pigrizia. La stessa che induce alcuni a credere che sia tutta colpa della logica del profitto o a sperare nella palingenesi successiva alla catastrofe. Per non dire dell’interminabile scambio di accuse fra l’Occidente e il Sud del mondo.
Attenzione, però: ragionevolezza non significa accontentarsi di abbassare di qualche decimo la febbre del pianeta (metafora del malessere). Non si può avere un approccio troppo ragionieristico, per dir così. La natura (umani compresi) ha le sue leggi. Ecco: qui sì che occorre una certa radicalità, se vogliamo evitare il deserto (chiedendoci poi, secondo l’amara ironia di Peter Glotz, se si tratti di un deserto comunista o capitalista).
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