L’editoriale di Mario Lavia sul quotidiano Europa di sabato 4 ottobre mette bene a fuoco la questione del tesseramento nel Pd, evidenziando come tale forza politica abbia fin dall’inizio oscillato fra il modello di partito “liquido” e quello “organizzato”. Per cui, riguardo a tale aspetto, “la verità è che il Pd da sempre è a metà del guado”.
Da qui l’esortazione finale alla chiarezza: “Renzi, che è il segretario del Pd, faccia fare alla sua elaborazione e al suo partito un passo avanti, spiegando una volta per tutte come sia possibile combinare, qui e ora, l’intuizione del partito degli elettori con l’attualizzazione della militanza e del tesseramento. Se il segretario pensa che il partito degli iscritti sia una roba del passato, lo dica, lo elabori, e faccia una cosa del tutto nuova. Ma che il Pd diventi un partito senza tessere per inerzia, senza averlo deciso, questo no”.
Un’esortazione a mio avviso resa più urgente dal duro affondo di Massimo D’Alema sulla politica del lavoro. Una sorta di dramma psicopolitico. L’ex premier per anni si è identificato con “il partito”, e con esso è stato per certi versi identificato anche dai suoi avversari interni. Il suo volto, la sua immagine erano a loro modo rassicuranti: “Finchè c’è D’Alema c’è il partito”. L’ex leader ora scopre che il partito è (divenuto) altro, e altri ne sono i protagonisti.
Già, ma cos’è divenuto esattamente? O cosa sta divenendo? Lavia parla fra l’altro di “elaborazione”. La questione della forma-partito, infatti, è strettamente legata all’elaborazione politico-culturale. E qui si pongono le considerazioni e gli interrogativi di Luigi Covatta su “Telemaco” e sul nuovo corso dem. Come dare continuità e concretezza al rapporto stabilito con le forze del socialismo europeo? Come rendere il Pd, al pari degli altri soggetti riformisti del vecchio continente, un vero “crocevia culturale”, superando la logica della giustapposizione? E come porsi dinanzi alla storia e alla tradizione del riformismo italiano? Insomma: il problema delle “tessere” non può essere decontestualizzato.
Perché c’è ancora qualcuno che crede che il pd sia un partito Socialista Democratico a parte Nencini che vuole fare macerie del PSI e dei militanti rimasti.
Nei grandi partiti non contano più le tessere, ci vogliono i cervelli, purtroppo in Italia mancano. Come si è visto in questi ultimi vent’anni, e cioè da quando è iniziata la falsa rivoluzione, basta indossare una giacca e una cravatta e abbiamo il pieno accesso di fare politica, anche se uno non ci capisce niente, tanto per fregare gli italiani come si è visto e si vede tutt’oggi ci vuole poco. Mi fa meraviglia che qualcuno sta dietro ancora alle tessere, non vi ricordate quando si tesserava i morti, (tutti i Partiti) e i capi correnti pagavano il contributo per vincere congressi provinciali o regionali. Ritornando ad oggi come si fa a parlare con Matteo Renzi di Socialismo europeo, quando non solo è un democristiano e pure di sinistra, cioè i nemici più agguerriti del socialismo, ma il buon Matteo non sa neppure dov’è la sezione del partito sia a Rignano suo paese natale che a Pontassieve paese dove vive. Sinceramente e lo dico da Craxiano: per favore lasciate questo Pd, che strabuzza di Catto-Comunisti, e pur di comandare cambia personaggi e linea politica ad ogni pisciata di gallina. Concludendo vorrei domandare a qualcuno di voi , cosa ha fatto Renzi nei confronti di una politica Socialista in questi 10 mesi di governo? Gradirei una risposta, vi ringrazio dell’attenzione, cordiali saluti.
Non sempre la sinistra democristiana è stata contro i socialisti. A cavallo fra gli anni ’50 e ’60 si battè con forza per la “apertura a sinistra”, sfidando anche le gerarchie ecclesiastiche, allora molto più influenti di oggi. Solo negli anni ’80 cercò di “demitizzare” Craxi: il quale però vinse la sfida con la Dc e col Pci anche e soprattutto con l’appoggio di Carniti. Quanto ai “cattocomunisti”, non mi sembra che Renzi gli stia lisciando il pelo: per informazioni rivolgersi a Bersani e alla Bindi.