Nella storia della filosofia la capacità di astrarre si rivela un passaggio fondamentale: si pensi solo alla distinzione aristotelica di materia e forma. In politica si è sovente così travolti dalle circostanze che tale esercizio risulta quasi improponibile.
Proviamo a mettere in parentesi, tuttavia, il contesto “accidentale” nel quale si inscrive la lettera di Matteo Renzi al quotidiano la Repubblica e i riferimenti in essa contenuti alla cronaca politica (in particolare alla mancata conferma elettorale di Franco Marini). Restano in piedi alcuni messaggi importanti. Innanzitutto il sindaco di Firenze denuncia l’uso strumentale dell’appartenenza confessionale al fine di conseguire cariche pubbliche. La logica dell’alternanza al Quirinale di un “laico” e di un “cattolico” è ormai un’ipocrisia, un rituale vuoto, un pretesto, specie al cospetto di un’Italia variegata e plurale. Chiediamoci per un istante, ad esempio: come “inquadrare” la presidenza di Carlo Azeglio Ciampi, profondamente laico e cattolico?
Poi Renzi rileva che spesso coloro che provano a trarre forza dal proprio credo religioso nell’agone politico mostrano un volto retrogrado e farisaico lontano dall’espressione più autentica e genuina della fede.
Ma, passaggio altrettanto importante, egli, a differenza, poniamo, di Ignazio Marino, non tende a relegare la dimensione spirituale nella sfera intima e personale, considerandola al contrario un fermento prezioso nella vita pubblica. Anche in nome di ciò occorre uscire dalle finzioni e dai rituali degli ultimi decenni per ridestare negli italiani la speranza, magari al prezzo di rompere schemi e copioni non più credibili, seppur talora in apparenza rassicuranti.