Quando ero giovane, il primo maggio non viaggiavano neanche i tram. Alle manifestazioni ci si andava a piedi. E ci si andava volentieri. Innanzitutto perché in famiglia avevamo appreso che non sempre il primo maggio si era potuto festeggiare liberamente. Ma anche perchè allora le manifestazioni c’erano.
Poi venne il Concertone. Inizialmente un modo per salvare a buon prezzo quell’unità sindacale che era andata in frantumi negli anni ’80. Poi per andare incontro (sempre a buon prezzo) a quegli stessi giovani ai quali il sindacato in sede propria non sapeva dare risposte. Infine per inerzia, e perché (business is business) non sempre si ha l’occasione di disporre, ancora a buon prezzo, di una piazza non solo mediatica per lanciare la carriera di qualche rockstar e consolidare la fama di qualche band.
Niente di male, signora mia. Si è secolarizzata perfino la Chiesa, figuriamoci se i sindacati devono dire ancora la messa in latino. Ma allora facessero a meno di ricordarsi della sacralità di una data solo per ostacolare la grande distribuzione e rimpinguare di straordinari il pubblico impiego. E trovassero una data (una qualsiasi) per fare una volta all’anno un bilancio delle politiche del lavoro.
L’articolo era tutto bellino e carino e filava liscio fino alla conclusione decrepita banale e liberista. Non ho capito nè l’ ostacolare la grande distribuzione (qua tutti i centri commerciali sono aperti, e i dipendenti che conosco mi hanno detto che NON recupereranno la festività) nè in che modo si possa rimpinguare di straordinari il pubblico impiego (gli straordinari sono centellinatii a inizio anno per ufficio e non superano quasi mai le 10 . dieci! – ore annue).. Credo, caro signore, che tu in fabbrica o in ufficio non ci metti piede da tempo, se ho capito bene. Prima di scrivere, informati. E ricordati che la rivista si chiama mondo OPERAIO. non mondoPADRONE. Qui da me (al sud) si lotta perchè le settimane lavorative dei metalmeccanici sono di SESSANTA ore (ma retribuite 40). E tutti lo sanno e tutti stanno zitti, che già è tanto che si lavora. Alza il culo dalla scrivania e torna in fabbrica. E ricordati che sei socialista e non dovrei dirti io da che parte stare.
Finalmente l’eminente compagno ha compreso che la rosa caduca non può essere il simbolo. IL forte garofano è quel senso della continuità che in noi neosocialisti manca, nel senso della rivoluzione perenne e progressiva, dei cuori e delle menti, per superare le nebbie della neoligarchia, che minaccia di traghettarci in un grigio senza fine.
La rosa è caduca, purtroppo. Auguri
Di solito, caro Simone, le scrivanie sono il banco di lavoro di un cervello, prima che di un culo. E basta avere un cervello per capire che il “Mondo OPERAIO” non sa che farsene di chi le scrivanie le occupa solo col culo: magari per annunciare “lotte” (singolarmente silenziose) contro immaginarie settimane di 60 ore, e per conteggiare gli straordinari degli statali a prescindere dai calcoli dei custodi degli scavi di Pompei che hanno fatto chiudere due domus appena riaperte al pubblico.
Sindacati e sensazioni
Da semplice osservatore, proverei a porre quella che sembra una vera e propria aporia. Le immagini delle manifestazioni sindacali e gli stessi volti dei leader della “triplice” paiono come sbiaditi. La mia personale memoria giunge ai tempi di Lama, Carniti e Benvenuto, i quali incarnavano e, per così dire, condensavano davvero tante storie e tante idee e proposte. Penso ad esempio al discorso sulle “compatibilità” o al “sindacato dei cittadini”. E che dire di Giuseppe Di Vittorio e del piano per il lavoro?
Le organizzazioni dei lavoratori erano tutt’altro che corporative e ripiegate su se stesse, e riuscivano a guardare lontano, pur fra errori e contraddizioni. Esse, però, al di là della stessa questione della “cinghia di trasmissione”, erano a loro modo soggetti politici. Oggi prevalgono altre tendenze, non solo in Italia. Ѐ come se la funzione dei sindacati dovesse essere più modesta, più “di nicchia”. Ciò da un lato consente di evitare la “sindacatocrazia”, con i suoi veti e i suoi diktat; dall’altro rischia forse di spingere tali organizzazioni verso posizioni di fatto conservatrici e ispirate a “pensieri brevi”.
Forse è proprio dai “pensieri brevi” che nasce la “sindacatocrazia”. La difesa ad oltranza di modelli contrattuali e di welfare evidentemente obsoleti, per esempio, è sicuramente un “pensiero breve”, ma al tempo stesso è funzionale alla tutela di un certo potere sindacale. Un potere, però, che sempre meno si fonda sul consenso, perché sempre meno si fonda sulla capacità di contrattare le condizioni di lavoro che ci sono, invece di continuare a tutelare condizioni di lavoro che non ci sono più. E Di Matteo sa meglio di me come finiscono i sistemi di potere autoreferenziali.