La reputazione del più grande partito riformista italiano è un bene pubblico importante. Esso è stato purtroppo dilapidato in poche ore durante l’elezione del Presidente della Repubblica da persone che nelle liste di quel partito erano state elette e che dunque di tale reputazione avevano beneficiato. Era lecito aspettarsi che, pure nella diversità di vedute, e pur nel rispetto delle ambizioni personali di ciascuno, agli eletti stesse un po’ più a cuore un così importante patrimonio comune. Nuove tensioni si profilano all’orizzonte a seguito della scelta di dar vita ad un’alleanza di governo con il Pdl, ma quanto meno esse godranno maggiormente della luce del sole.
In queste ore di sbandamento l’urgenza del cambiamento sembra essere sentita chiaramente da tutti: ma ciò, come ben sappiamo, significa che una soluzione probabile sarà quella del “cambiare tutto affinchè non cambi niente”. Il rinnovamento vero e non solo di facciata, però, non potrà passare per soluzioni verticistiche e riaggregazioni intorno a capi-fazione. Un rinnovamento che non sia gattopardesco potrà solo passare da un congresso autentico, che non venga ridotto a mera elezione di un nuovo leader. E’ a tal fine importante che ciascun democratico oggi si chieda cosa può fare, come stanno facendo in queste ore i circoli che si stanno mobilitando autonomamente per mettere in campo energie, soluzioni e proposte nuove. La questione della leadership è oggi la meno interessante di tutte. Occorrerà definire invece con chiarezza gli obiettivi del partito, la sua visione per l’Italia del futuro, le riforme che esso si propone di attuare e, in questo momento di estrema confusione, gli strumenti di cui si dota per raggiungerli.
Occorre in particolare una discussione seria e aperta su quale sia la forma partito adatta ad affrontare il nostro tempo e le sfide che verranno. La rete non potrà rimpiazzare i partiti e le piazze non vanno contrapposte al Parlamento. E tuttavia, per salvare la democrazia dalle pulsioni populiste e dal miraggio della democrazia diretta, occorrerà ripensare profondamente le forme attraverso cui si esprime la rappresentanza, ed in particolare la forma ed il ruolo dei partiti nella società.
Sarà cruciale soprattutto riuscire a interpretare l’ostilità che la politica vissuta come professione genera in una cittadinanza sfiduciata. Non lo si fa guardando i cosiddetti “grillini” dall’alto in basso, perchè il Movimento 5 Stelle fornisce risposte probabilmente sbagliate a esigenze molto sentite nella cittadinanza e in buona parte interamente legittime. E’ nell’interesse di tutti porre un argine al loro dilettantismo e alla loro mancanza di comprensione verso istituzioni rappresentative che sono il risultato di secoli di evoluzione. E’ però altrettanto vero che i professionisti della politica non hanno dato buona prova di sè. E forse non bastano più le prediche, occorre creare nuovi meccanismi che diano i giusti incentivi e selezionino personale più adeguato.
La crescente complessità dei problemi che abbiamo di fronte richiede l’aggregazione di informazioni sempre più disperse nella società. E’ necessario dunque aprirsi all’apporto di persone che vengono da esperienze, competenze, storie diverse fra loro, accomunate da valori comuni ma disomogenee quanto a vissuto personale. Rispetto a queste esigenze e a questa eterogeneità il Pd è stato poco attento e a volte si è addirittura posto come barriera all’entrata piuttosto che come filtro. Gruppi autoreferenziali non potranno mai darci il cambiamento di cui abbiamo bisogno nel partito e nel paese. Per questo il congresso che verrà non deve essere semplice riaggregazione di correnti intorno a nuovi leader: sarebbe questa solo una ulteriore sconfitta per i riformisti del nostro paese.
Occorrerà dunque ripensare le gerarchie e l’organizzazione del partito, il modo in cui si finanzia, i limiti temporali sia per le cariche elettive che per gli incarichi di partito, nonchè il rapporto e la compatibilità fra incarichi nelle istituzioni e incarichi nel partito, prendendo in considerazione la possibilità di separazione fra i due ruoli. Il documento di Fabrizio Barca è un buon inizio di questa discussione, ma altre idee e possibilità dovranno emergere nelle prossime settimane. Dovrà essere, per quanto possibile, una discussione razionale basata su argomenti, non su slogan o sull’inseguimento delle pressioni populiste. Bisognerà dare tempo e spazio sufficiente alle persone, iscritte o no al partito, per discutere tali questioni in modo serio. Il prossimo congresso deve essere dunque innanzitutto il catalizzatore di una discussione aperta ed approfondita sull’organizzazione partito prima che si possa procedere a definire programmi e decidere sulla dirigenza.