Lo abbiamo detto tante volte nel corso di questi anni: Berlusconi ha trasformato radicalmente il paese. Con le sue televisioni, col linguaggio asciutto, con la visione manichea del dibattito politico, coi sorrisi smaltati, con le barzellette volgari, ha progressivamente imposto all’Italia una nuova forma mentis, dettando l’agenda e costringendo le altre forze dell’agone a rincorrerlo sul terreno a lui più congeniale: talora quello delle tasse, talaltra quello dell’immigrazione. Questo fanno gli uomini dotati di carisma e privi di senso dello Stato: spostano l’attenzione sulla loro figura solleticando giudizi netti, l’amore e l’odio catulliano.
Quanto Berlusconi abbia inciso sul profilo e sulla fisionomia della sinistra italiana è difficile dirlo. E tuttavia la discussione aperta sul problema delle carceri dimostra come gli interessi di una persona, blandita e coccolata prima di essere osteggiata, abbiano snaturato in conclusione l’identità riformista degli pseudo-liberal italiani. Un corpo infetto, avrebbe detto Montanelli.
L’amnistia chiesta da Napolitano è un atto dovuto: la situazione dei nostri penitenziari non è tollerabile, va ben oltre il limite della vergogna, grazie anche ad una serie di provvedimenti insulsi che hanno equiparato, nell’immaginario collettivo e sul piano giuridico, due canne alla tossicodipendenza o l’appartenenza ad un paese straniero ad una forma di reato. Bossi, Fini e Giovanardi, sovente interpreti di una destraccia, hanno cavalcato le paure degli italiani, procurando gli sfaceli ormai alla luce del sole.
Di fronte ad una simile indecenza, 65mila anime stipate come bestie, uno Stato serio reagisce con misure tempestive, articolando interventi su più fronti: emana un provvedimento di clemenza, costruisce nuove (e decorose) carceri, depenalizza i crimini surreali. Il nostro paese, stordito nella sua coscienza da un pietismo peloso, si risolve invece nell’adottare soluzioni tiepide, congiunturali. Il Parlamento vaglia ipotesi perlopiù impopolari con cadenza ciclica: quando una legislatura sta per volgere al termine, ecco che l’opinione pubblica scopre i richiami dell’Europa in materia, moniti che censurano la deriva criminale del paese che diede i natali a Beccaria.
La sinistra italiana non reagisce a questo input, manifesta imbarazzo, teme al tempo stesso di apparire triviale o al soldo del nemico. Basterebbe poco per liberarsi da questa spada di Damocle: basterebbe dire che per i reati fiscali non ci saranno misure d’indulgenza, perché i reati contro la collettività non possono restare impuniti, tanto più in un paese in crisi che arranca negli accertamenti di Equitalia. Basterebbe aver tratto la giusta lezione dal caso Previti, pressoché identico nelle sue anomalie. Eppure l’ala progressista tace: Sel tentenna, il Pd aspetta la burrasca, Rifondazione nemmeno perviene. Si dice che il Colle abbia suscitato parecchi malumori non solo fra i leghisti, cavernicoli noncuranti con la bava alla bocca. Forse è vero, ma se quelle parole daranno speranza e scongiureranno suicidi, almeno stavolta metteremo da parte le pungenti critiche e saremo pronti a fare i corazzieri della Repubblica.