Premessa

Il 14 dicembre 2015, per la prima volta in Italia, più di un centinaio di collaboratori parlamentari si sono riuniti in una partecipata assemblea per rinnovare gli organi direttivi dell’Associazione Italiana Collaboratori Parlamentari (AICP) e per discutere approfonditamente della loro questione lavorativa. L’importanza dell’evento ci impone un riflessione sulla vicenda storica di questa figura professionale il cui apporto al buon funzionamento delle istituzioni parlamentari è gravemente misconosciuto e sottostimato. Paradossalmente, anche tra gli stessi collaboratori, pochi sanno come questa professione si è affermata nel dibattito parlamentare, come è stata regolamentata o meglio de-regolamentata nel corso delle legislature e, in generale, come è stata trattata all’interno e percepita all’esterno delle istituzioni parlamentari. Per arrivare a comprendere tutto questo ho dovuto fare un’attenta ricognizione dei dibattiti che si sono succeduti sia nelle Aule parlamentari, in occasione della discussione dei vari Bilanci interni nei rispettivi rami del Parlamento, che in seno agli Uffici di Presidenza[1] che rappresentano i massimi organi politici delle due Camere preposti alla emanazione delle Delibere, norme di rango primario e pertanto vere e proprie leggi dello Stato e non semplici atti amministrativi. Delibere che necessariamente ho dovuto consultare, per quello che mi è stato possibile, come qualsiasi altro atto[2] utile a ricostruire la storia di questa figura professionale che non mi stanco mai di ripetere è essenziale al buon funzionamento delle istituzioni parlamentari.

Preciso subito che, per economicità espositiva, in questo mio scritto mi atterrò esclusivamente alla documentazione e ai lavori della Camera dei Deputati[3]. Come è facile immaginare, in virtù anche del dettato costituzionale dell’uniformità dei trattamenti fra i parlamentari, quanto da me descritto per la Camera può essere pacificamente esteso, con le ovvie cautele del caso, anche al Senato della Repubblica in quanto la trattazione della materia non poteva che avvenire se non di comune accordo.

Ho ricordato sopra della partecipata assemblea dell’Associazione dei Collaboratori Parlamentari: giovani e meno giovani uniti nella comune lamentela della mancata regolamentazione della loro professione che è causa di numerose irregolarità contrattuali e di veri e propri abusi nei luoghi per eccellenza della legalità: le assemblee parlamentari. Eppure pochi sanno che questa figura è stata oggetto di vari interventi regolamentari. Anzi! Possiamo dire che per un certo periodo di tempo è stata anche sufficientemente regolamentata. Mi riferisco al periodo d’oro per i collaboratori: la seconda metà degli anni 80 quando venne istituito con Delibera il rimborso delle spese per l’opera dei collaboratori dei parlamentari con tanto di schemi contrattuali allegati per facilitare il compito della loro redazione. Purtroppo, come vedremo, l’acceso ostruzionismo di alcuni partiti[4] hanno progressivamente sabotato tale Delibera Collaboratori a favore di un rimborso forfettario che, come dimostrerò nelle mie considerazioni finali, rappresenta un atto non costituzionalmente legittimo.

Senza anticipare troppo, come sopradetto, nella seconda metà degli anni 80 la figura del collaboratore parlamentare viene regolamentata in Italia al punto che, sul modello di altri Paesi europei, sono stati approntati dei veri e propri format contrattuali di riferimento. Per capire però come ci si è arrivati occorre fare un opportuno passo indietro andando addirittura ai mitici anni 60, quando si pose il problema di mettere mano e ordine alla controversa questione dell’indennità parlamentare, regolata all’epoca dalla legge 1102/1948, non proprio in linea con la Costituzione. Andiamo quindi con ordine!

Gli anni 60

Negli anni 60 arriva a compimento il serrato dibattito parlamentare sull’indennità parlamentare. La legge 9 agosto 1948, n. 1102, Determinazioni dell’indennità spettante ai membri del Parlamento, era di dubbia costituzionalità in quanto attribuiva agli Uffici di Presidenza dei due rami del Parlamento una eccessiva discrezionalità su indennità e rimborsi su cui, viceversa, vigeva e vige tuttora riserva di legge ai sensi dell’art. 69 della Costituzione. I padri costituenti, per impedire che, nel “chiuso” delle segrete stanze, le Camere potessero adottare provvedimenti volti a riconoscere indennità ed emolumenti a vantaggio dei propri membri, imposero la riserva di legge affinché sull’argomento vi fosse un aperto dibattito parlamentare e, quindi, un indiretto controllo del popolo. La sopramenzionata legge 1102/48 stabiliva per ogni singolo membro del Parlamento un’indennità di 65 mila lire al mese, una retribuzione per gli anni più che dignitosa, più una diaria (rimborso spese per il soggiorno a Roma) che veniva demandava alla discrezionalità degli Uffici di Presidenza dando origine così a numerosi abusi. La diaria aveva assunto valori di così gran lunga superiori all’indennità parlamentare che non poche voci critiche si levarono contro questa eccessiva autonomia degli Uffici di Presidenza. La disapprovazione generale spinse le forze politiche negli anni 60 a riformare l’istituto dell’indennità parlamentare trovando un accettabile compromesso che si è sostanziato nella legge 31/10/1965, n. 1261, Determinazione dell’indennità spettante ai membri del Parlamento, tuttora in vigore, che all’art. 1 dispone che: “L’indennità spettante ai membri del Parlamento a norma dell’art. 69 della Costituzione per garantire il libero svolgimento del mandato è regolata dalla presente legge ed è costituita da quote mensili comprensive anche del rimborso di spese di segreteria e di rappresentanza. Gli Uffici di Presidenza delle due Camere determinano l’ammontare di dette quote in misura tale che non superino il dodicesimo del trattamento complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di presidente di Sezione della Corte di cassazione ed equiparate.” In merito alla Diaria, oggetto dello scandalo della precedente legge, l’art. 2 dispone che: “Ai membri del Parlamento e’ corrisposta inoltre una diaria a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma. Gli Uffici di Presidenza delle due Camere ne determinano l’ammontare sulla base di 15 giorni di presenza per ogni mese ed in misura non superiore all’indennita’ di missione giornaliera prevista  per i magistrati con funzioni di presidente  di  Sezione  della  Corte  di  cassazione  ed equiparate; possono altresi’  stabilire le modalita’  per  le  ritenute  da effettuarsi  per  ogni  assenza  dalle  sedute dell’Assemblea e delle Commissioni.”

La nuova legge sull’indennità parlamentare, quindi, andava a risolvere le “anomalie” costituzionali della precedente e, non solo, poneva per la prima volta il problema delle “spese di segreteria e rappresentanza” dell’ufficio parlamentare la cui necessità in quegli anni si era fatta sempre più impellente. In realtà, come vedremo, “le spese di segreteria e rappresentanza” sono state un mezzo, oggi diremmo di “distrazione di massa”, per giustificare, agli occhi di un’opinione pubblica attonita, la decisione di un aumento dell’indennità parlamentare per quegli anni considerata eccessiva visto che veniva equiparata al grado di carriera statale più alto quale quella del Presidente di Sezione della Corte di Cassazione. Di colpo 915 parlamentari acquisivano un trattamento economico pari a quello del massimo grado di carriera perseguibile nello Stato e questo per molti rappresentava un insulto considerando le condizioni economiche e sociali in cui versava il Paese. Non mancarono in sede di discussione parlamentare accese critiche che furono subito messe a tacere giustificando tale scelta in virtù del fatto che con tale indennità il parlamentare avrebbe dovuto provvedere anche alle famose “spese di segreteria e rappresentanza”. Posizione questa condivisa anche dall’allora opposizione, il Partito Comunista Italiano, che con il dep. Nannuzzi, in occasione della dichiarazione di voto del 07 ottobre 1965, si schierò a favore dichiarando che: “…non si tratta di stipendio, ma di una indennità comprensiva, oltre che del mancato guadagno (data l’ampiezza che ha ormai assunto e che a nostro parere sempre più dovrà assumere l’attività parlamentare, dati i compiti, le funzioni e i poteri che spettano al Parlamento, e quindi ai parlamentari), anche di altre voci che concorrono a formare la spesa che si incontra per l’esercizio del mandato parlamentare. In quella cifra che per il funzionario dello Stato costituisce lo stipendio, per il parlamentare sono compendiate anche altre voci che riguardano, per esempio, la corrispondenza, le spese di segreteria, telefoniche, telegrafiche, nonché ogni altra spesa per iniziative e attività politiche, e per i collegamenti e contatti con gli elettori che noi qui rappresentiamo”.[5]

Ad un’attenta lettura dei Bilanci delle Camere di quegli anni apprendiamo che già molte delle voci citate dal dep. Nannuzzi era rimborsate a parte; in ogni caso in questa sede è importante conoscere la ratio che ha motivato il legislatore ad assegnarsi un’indennità che all’epoca, metà anni 60, era considerata molto alta. L’indennità parlamentare era, quindi, comprensiva delle spese di segreteria e rappresentanza. Ma di quali spese di segreteria e rappresentanza parliamo? Vanno considerate nelle spese di segreteria anche quelle per la retribuzione del collaboratore/segretario? Non passa molto che i parlamentari cominciano a richiedere a gran voce che le istituzioni di Camere e Senato si facciano carico anche delle spese per la retribuzione dell’indispensabile ausilio di un fidato e competente collaboratore. Ci vorranno 20 anni per vedere arrivare a compimento questo dibattito. Arriviamo appunto agli altrettanto mitici anni 80, anni di grandi cambiamenti economici e sociopolitici.

Gli anni 80

Collaboratore si, collaboratore no? Nella seconda metà degli anni 80 arriva a compimento il dibattito sulla figura del collaboratore parlamentare ormai unanimemente considerato un supporto ineludibile per l’adempimento del mandato parlamentare. Nessuno ha dubbi sulla sua importanza, ma ci sono alcuni problemi di carattere “normativo- regolamentare” non semplici da affrontare e che vanno prima risolti. Per questa e altre questioni relative allo status del parlamentare venne istituito un apposito Comitato Interparlamentare, presieduto dal Senatore Malagodi, per approntare una nuova disciplina del mandato parlamentare ma, per accelerare i tempi ed evitare di passare nuovamente per le “forche gaudine” del dibattito parlamentare, si preferisce agire per i collaboratori per via regolamentare. Ma c’è pur sempre lo scoglio della legge 1261/65 che dispone che l’indennità parlamentare, comprensiva delle spese di segreteria e rappresentanza, non deve superare il trattamento complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di Presidente di Sezione della Corte di Cassazione ed equiparate. A risolvere la questio saranno i deputati Questori della IX Legislatura (Radi, Seppia e Fracchia) che chiariscono che per “spese di segreteria” vanno intese anche le spese per la retribuzione del segretario personale del parlamentare, una figura che svolge mansioni lavorative di carattere esecutivo. Occorre però prevedere per i parlamentari la possibilità di avvalersi di personale qualificato atto a svolgere mansioni di livello superiore, di tipo concettuale, essendo aumentata la complessità dell’attività politico parlamentare; tutte cose che un semplice segretario non può svolgere poiché, appunto, occorre una figura di livello superiore. Questa è la conclusione a cui arrivano i deputati Questori per superare l’impasse. Infatti, nella Relazione al Progetto di Bilancio 1986, chiariscono ogni dubbio specificando che: “Appare da escludere l’inquadramento degli assistenti ai livelli inferiori, perché ciò potrebbe far insorgere perplessità circa la compatibilità del nuovo intervento finanziario della Camera dei deputati con la legge 31 ottobre 1965, n. 1261, per cui l’indennità parlamentare è comprensiva delle spese di segreteria. Affinché possa validamente escludersi una sovrapposizione di interventi finanziari, occorre infatti che il livello di collaborazione prestata dagli assistenti sia obiettivamente diverso e superiore rispetto a quello proprio delle attività esecutive alle quali ha riguardato la legge citata.[6]

Quindi non ci sono dubbi interpretativi: il rimborso spese per il collaboratore può essere istituito per via regolamentare per consentire il pagamento di un assistente-collaboratore che non svolga mansioni di segreteria – cui, al contrario, è demandata l’indennità parlamentare – ma attività di concetto tipici dei dipendenti gli studi professionali a cui la categoria va inquadrata nel relativo CCNL. Infatti, sull’inquadramento contrattuale dei collaboratori i Questori, nella medesima Relazione, specificano che: “Siffatto contratto collettivo potrebbe identificarsi, per analogia, in quelli per i dipendenti degli studi professionali. Il personale assistente dei parlamentari, nell’ambito della classificazione del personale sancita dal contratto stesso, dovrebbe rientrare nel II livello, cui appartengono soggetti che svolgono mansioni di concetto con specifiche ed elevate capacità tecnico professionali e/o creative, con autonomia di iniziativa nell’ambito delle direttive generali del datore di lavoro nonché con eventuale responsabilità di uno o più settori dell’attività che implichi coordinamento o controllo dell’attività di altri dipendenti.”[7]

Questo dibattito, come ho detto, si compie nella IX legislatura, con la Presidente Nilde Iotti (PCI) che firmerà il 4 novembre 1986 il Decreto del Presidente della Camera n. 2048 che rende esecutiva la Delibera dell’Ufficio di Presidenza del 21 ottobre 1986 che regolamenta il rimborso delle spese per l’opera del collaboratore parlamentare (con allegati i vari modelli contrattuali).

Entriamo nei dettagli della sopramenzionata Delibera cosiddetta dei Collaboratori che entra in vigore a partire dal 01 gennaio 1987. Sempre i Questori della IX Legislatura, nella Relazione al Progetto di Bilancio 1987, ne spiegano le caratteristiche principali: “Con il 1° gennaio 1987 è entrata in vigore la normativa relativa al contributo ai Gruppi Parlamentari per le spese sostenute dai propri iscritti per l’opera di collaboratori esterni, deliberate dall’Ufficio di Presidenza del 21 ottobre 1986. Le caratteristiche più importanti possono essere individuate nella possibilità da parte di ogni deputato di stipulare contratti di: lavoro subordinato (a tempo pieno o parziale e comunque non più di due contemporaneamente); collaborazione continuativa e coordinata e consulenza. E di essere rimborsato per la spesa effettivamente sostenuta fino all’importo massimo di 3.000.000 mensile o lire 9.000.000 nel trimestre per i soli contratti di lavoro autonomo. Un altro aspetto della normativa che appare opportuno rilevare è quello relativo allo specifico ruolo della Amministrazione della Camera che in questa materia non ha rapporti diretti con i singoli deputati ma soltanto con i Gruppi parlamentari ai quali spetta verificare le spese sostenute conservandone la documentazione e quindi rimborsare i deputati aventi diritto alle somme liquidate dall’Amministrazione”.[8]

Criticità della Delibera Collaboratori

Dalla lettura della Delibera il primo errore madornale che viene compiuto è quello di delegare i Gruppi Parlamentari, che come è noto sono associazioni di parlamentari, all’erogazione e controllo di tale rimborso facendo coincidere il controllato con lo stesso controllore. Perché gli Uffici di Presidenza non presero, viceversa, la decisione più saggia ossia quella di attribuire direttamente alle amministrazioni delle Camere il compito di erogare e controllare queste non insignificanti risorse pubbliche? Ad opporsi fermamente affinché fosse la Camera dei Deputati ad effettuare le erogazioni di queste somme è all’epoca un giovane deputato, nonché capogruppo del partito radicale, Francesco Rutelli, che nella seduta del 26 novembre 1986, prima dell’entrata in vigore della Delibera, attacca duramente questa ipotesi. Le sue parole sono inequivocabili: “Gli assistenti dei parlamentari sono necessari, ma non è possibile innestare nella struttura di assistenza all’attività legislativa un esercito di 630 persone, che finirebbe per assestare i colpi definitivi alle già gracili colonne portanti della struttura amministrativa e burocratica della Camera. Dobbiamo allora procedere, contemporaneamente all’assunzione dei 630 collaboratori dei parlamentari, che sono a nostro avviso una esigenza indilazionabile, ad una serie di iniziative che abbiamo varie volte evidenziato e che, lo ripeto, il collega Teodori riprenderà e riassumerà nel corso del suo intervento. Sottolineo, tra parentesi, che ci sembra indispensabile che gli assistenti siano presi dall’amministrazione dello Stato, per evitare tutti i problemi collegati alla necessità di licenziare a fine legislatura alcune centinaia di persone, e soprattutto per far sì che i parlamentari possano beneficiare del contributo qualificato di persone che già operano per l’amministrazione dello Stato, che restino per una o più legislature all’interno della Camera dei deputati e poi ritornino, arricchiti da tale esperienza, nelle amministrazioni dalle quali provengono. Quindi, siamo favorevoli agli assistenti dei parlamentari, ma solo a determinate condizioni e non in una situazione che determinerebbe il travolgimento dei già precari equilibri nel rapporto tra deputati ed uffici nel quadro dei servizi che la Camera garantisce.”[9] Per Francesco Rutelli, quindi, la Camera dei deputati è impossibilitata a far fronte alla erogazione e ai controlli di questi importi, pena il blocco della macchina organizzativa, e che i collaboratori andrebbero presi direttamente dalla pubblica amministrazione per evitare di licenziarli ad ogni fine legislatura. Delle due proposte sarà accolta solo la prima e non passerà molto che cominceranno ad emergere le prime irregolarità nell’utilizzo di questi rimborsi, per il motivo sopra ricordato: il controllato e il controllore insistono nel medesimo soggetto.

Ma altri fattori intervengono a minare dalle fondamenta la Delibera Collaboratori quali le forti resistenze ideologiche contro la figura del “portaborse”, in particolare del Partito Comunista. Significativa la loro plateale presa di posizione, in occasione del dibattito sul Bilancio interno Camera del 1987[10], quando arriveranno a dichiarare pubblicamente nell’Aula di Montecitorio che non si doteranno di “portaborse” ma che impiegheranno tali risorse per finanziare il proprio gruppo parlamentare e il partito sul territorio. Esplicite le parole del deputato Guido Alborghetti: “Per quanto ci riguarda, i parlamentari comunisti hanno deciso di non utilizzare i fondi assegnati al loro gruppo per dotarsi di «portaborse» — come si dice con termine dispregiativo— ma piuttosto di attrezzarsi con strutture collegiali, capaci di fornire servizi utilizzabili dal gruppo e dai singoli deputati, a Roma e nelle altre zone del territorio nazionale. Ciò ci permetterà di migliorare la qualità del nostro lavoro, della nostra documentazione e di usufruire di servizi e ricerche indispensabili per la nostra attività.”[11]

Una Delibera nata per regolamentare la figura del collaboratore del parlamentare viene dal PCI apertamente osteggiata nelle sue finalità per essere utilizzata come un illegittimo finanziamento del proprio gruppo parlamentare, che già godeva di risorse elargite dalla Camera[12], e del proprio partito politico sul territorio[13] tramutandosi di fatto in un illecito finanziamento pubblico ai partiti.

Dispiace rilevare che è proprio la sinistra, sempre in prima linea nel difendere i diritti dei lavoratori, a prendere posizione contro una regolamentazione della figura del “portaborse” creando di fatto le condizioni per un suo diffuso “sfruttamento” nelle sedi per eccellenza della legalità e questo solo per un’assurda e antistorica supremazia della dimensione partitica del supporto parlamentare. Ostruzionismo del PCI, ma anche come abbiamo visto di altre formazioni politiche, che creerà quell’ibrido che di fatto snaturerà l’originario obiettivo della Delibera, comportando la sua mancata implementazione e di conseguenza tutti i mali e le degenerazioni successive note anche per le numerose inchieste giornalistiche. Arriveremo più avanti a capire come verrà stravolta e snaturata tale Delibera perché, come ho sopradetto, gli anni 80 rappresentano per i collaboratori parlamentari pur sempre il loro periodo d’oro.

I tempi d’oro

Il PCI e il partito radicale, per quanto importanti, erano formazioni politiche di opposizione e, quindi, non potevano influire più di tanto nelle effettive decisioni assunte dal Parlamento e in quegli anni emerge una seria volontà di regolamentare la professione del collaboratore parlamentare. Infatti, in occasione dell’approvazione del Bilancio 1987[14], passerà l’ODG Usellini 9/Doc. VIII n.10/12, concernente il rimborso spese per i collaboratori dei deputati, presentato appunto per equiparare gli scatti retributivi per i collaboratori a quelli del personale della Camera. In sintesi: ad ogni scatto percentuale della retribuzione del personale della Camera doveva scattare un analogo aumento per la retribuzione dei collaboratori. Ciò è stato motivato dal fatto che essendo: “… stata data attuazione alla previsione che consente ad ogni deputato di avvalersi di assistenti per lo svolgimento della propria attività e che la previsione stessa è tradotta nel bilancio triennale 1987-1989 con stanziamenti costanti e dello stesso importo per ciascuno dei tre anni in contrasto con la natura dello stanziamento che, essendo riferito a compensi di lavoro dipendente od autonomo svolti a favore dei deputati, deve avere adeguamento analogo a quello previsto per i compensi dei dipendenti della Camera”. Per tale ragione, Usellini nel suo odg chiede all’Ufficio di Presidenza un impegno per: “adeguare lo stanziamento per le spese relative agli assistenti nel triennio 1987-1989, tenendo presenti gli analoghi incrementi previsti per le spese relative al personale della Camera;”[15].

Per comprendere meglio la ratio di questo odg, la passione che l’animava e per la sua ancora grande attualità riporto ben volentieri l’intervento integrale del deputato DC Mario Usellini: “… in riferimento al problema degli assistenti, vi sono esempi che potrebbero dimostrarsi utili anche per il nostro Parlamento, al fine di ottenere la massima trasparenza da parte di coloro che sono chiamati a svolgere queste funzioni. Ho avuto occasione di rilevare, insieme ad altri colleghi, in occasione di una visita al Congresso americano che il Parlamento degli Stati Uniti pubblica l’elenco dei parlamentari unitamente a quello dei rispettivi assistenti. Si tratta di una pubblicazione ufficiale che consente di individuare, nel caso in cui vi siano più assistenti, quali siano le funzioni di ciascuno nell’ambito dell’attività che svolgono per il parlamentare: se si occupino di problemi relativi all’attività legislativa del parlamentare o all’attività di informazione collegata alla stampa o invece relativi a materie specifiche di diretto interesse. Ciò consente di aumentare il controllo da parte dei mezzi di informazione e dell’opinione pubblica sulla correttezza delle scelte effettuate dai parlamentari per quanto riguarda i loro collaboratori. Resta ferma, comunque, l’opportunità di evitare che le relative somme siano attribuite in bianco, esclusivamente alla funzione. In tal senso sarebbe opportuno forse (quasi per una sorta di automatismo) che il bilancio pluriennale contenesse l’adeguamento monetario dei parametri relativi ai trasferimenti di queste voci. A proposito delle voci relative alle retribuzioni corrisposte agli assistenti (a null’altro essendo destinabili), non si capisce perché esse non debbano seguire l’adeguamento previsto per il personale dipendente della Camera (adeguamento delle retribuzioni che rientra, credo, nella logica ordinaria). Per quanto riguarda, dunque, le voci direttamente riferibili a retribuzioni, sia per i rapporti di lavoro dipendente sia per rapporti di lavoro autonomo, sarebbe corretto non ancorarsi ad una cifra costante (la riduzione di fatto del valore dell’attribuzione). Si dovrebbe, quindi, adeguare la retribuzione con il ricorso a determinati parametri, così come è stato fatto per le altre collaborazioni di cui i parlamentari si avvalgono e che rientrano direttamente nei servizi garantiti dagli uffici e dall’istituzione nel suo complesso.”[16]                 

Approvato dall’Assemblea l’odg Usellini sarà reso operativo dall’Ufficio di Presidenza che: “…al fine di dare seguito all’ordine del giorno che aveva come primo firmatario l’Onorevole Usellini, ha altresì deliberato, in attesa della definizione della percentuale di aumento delle retribuzioni dei dipendenti della Camera per il triennio 1988-1990, cui si sarebbe dovuto fare riferimento secondo l’ordine del giorno citato, di aumentare, sempre a decorrere dal 1° gennaio 1988, del 5,50 per cento la misura del contributo accordato per i collaboratori dei deputati. La misura dello stanziamento è stata inoltre commisurata a sostenere gli oneri derivanti dai rimborsi IVA ai collaboratori che prestano la loro opera con un rapporto di lavoro autonomo.”[17]

In sintesi questi sono gli anni d’oro della professione che non solo viene regolamentata con tanto di schemi contrattuali di riferimento ma veniva fissava anche un’equiparazione con gli scatti retributivi del personale della Camera[18]. Ma tutto questo, come vedremo, durerà poco. In pochi anni la Delibera Collaboratori verrà prima annacquata e poi, sotto Luciano Violante, abrogata. Occorre andare agli anni 90.

Gli anni 90

Negli anni 90 avviene la sistematica demolizione della Delibera per il rimborso delle spese per l’opera dei collaboratori parlamentari con il succedersi di regressivi interventi che vedono prima svincolare tale rimborso dagli scatti retributivi conseguiti dal personale della Camera, poi l’inserimento di altre generiche voci di spesa rimborsabili e, infine, la sua abrogazione e sostituzione con un rimborso forfettario delle spese inerenti il rapporto eletto ed elettori che è ancora oggi, pur con delle modifiche, in vigore. Per comprendere come questo sia stato possibile occorre seguire nel dettaglio gli interventi che si sono succeduti nel corso delle varie legislature. Prima di cominciare occorre fare una necessaria premessa. Anche se negli Uffici di Presidenza le decisioni sono sempre collegiali e votate a maggioranza il Presidente dell’organo politico riveste pur sempre un’importanza decisiva. Per questa ragione io attribuirò ai nomi dei rispettivi Presidenti le delibere assunte dagli organi collegiali da essi presieduti.

  • XI Legislatura (Presidenza Giorgio Napolitano)

Il periodo della Presidenza di Giorgio Napolitano si caratterizza per una sostanziale continuità con la legislatura precedente con la sola novità di sostituire l’aumento del rimborso sulla base degli scatti retributivi conseguiti dal personale della Camera con le variazioni dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati. Di particolare interesse, inoltre, è l’approvazione di una nuova disciplina delle spese di rappresentanza da parte del Collegio dei Questori, su mandato conferito dall’Ufficio di Presidenza il 18 settembre 1992.[19]

In ogni caso la Presidenza Napolitano sarà ricordata per le deliberazioni n. 73/93 e 102/94 relative la concessione di un contributo ai Gruppi parlamentari al fine di garantire la stabilità del posto di lavoro del personale dipendente in servizio alla data del 1° ottobre 1993. In estrema sintesi: l’azione di Napolitano è stata orientata a dare soluzione al problema della stabilizzazione del personale dei Gruppi parlamentari lasciando irrisolti le criticità del rimborso previsto per le spese per i collaboratori.

  • XII Legislatura (Presidenza Irene Pivetti)

La XII legislatura dura solo un paio d’anni ma sufficienti per la giovane Presidente Irene Pivetti per assestare il primo micidiale colpo alla disciplina del contributo per l’opera dei collaboratori dei deputati. La Delibera dell’Ufficio di Presidenza del 07 maggio 1996, infatti, snatura tale contributo ammettendo a rimborso anche le spese sostenute per l’attività di ricerca e la fornitura di beni e servizi di supporto all’attività inerente al mandato parlamentare. Quindi il rimborso non sarà più specificatamente indirizzato alla retribuzione dei collaboratori anche se le somme, sempre erogate dal Gruppo di appartenenza, sono conferite sulla base di allegate certificazioni.

  • XIII Legislatura (Presidenza Luciano Violante)

I tentativi di manomissione del rimborso per il collaboratore trovano piena realizzazione nella legislatura a guida Luciano Violante che si caratterizza per essere la peggiore per quanto riguarda la categoria. E’ nota a tutti la vicenda dell’albergo Marini in piazza san Silvestro, preso in affitto sotto il suo mandato e costato al pubblico erario 9 mila euro al mese a deputato, poco note invece sono le sue decisioni relative ai collaboratori parlamentari. A lui si deve l’abrogazione dell’originaria Delibera dell’Ufficio di Presidenza del 21 ottobre 1986 e la sua sostituzione con un rimborso forfettario inerente il rapporto eletto elettori. Tale decisione è stata presa in occasione dell’Ufficio di Presidenza del 17 ottobre 1996, esattamente 10 anni dopo la Delibera Collaboratori.

Occorre approfondire meglio i cambiamenti prodotti dalla Delibera Violante perché questi avranno conseguenze devastanti per i collaboratori parlamentari. Andiamo con ordine!

Il rimborso delle spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori

Con la nuova Delibera n. 24 del 17 ottobre 1996 viene disposto “un rimborso forfettario delle spese di segreteria e rappresentanza finalizzata a rendere possibile l’esercizio del mandato parlamentare, nonché a mantenere il rapporto tra eletto ed elettori, restando escluso ogni vincolo di mandato.” Cosa nello specifico il rapporto tra eletto ed elettori significhi non è dato sapere. Si lascia appositamente tutto sul generico per favorire le interpretazioni più disparate. Si dispone, inoltre, che il “rimborso spetta nella misura in cui le spese siano state effettivamente sostenute” e le “spese sono ammesse a rimborso purché direttamente rivolte alle finalità indicate al comma 2” ossia quelle volutamente lasciate generiche “delle spese di segreteria e rappresentanza finalizzata a rendere possibile l’esercizio del mandato parlamentare, nonché a mantenere il rapporto tra eletto ed elettori, che significa tutto e niente. Ma attenzione che ora viene il bello. Al comma 5 la Delibera Violante dispone che: “il rimborso di cui al comma 2 è erogato per il tramite del gruppo parlamentare di appartenenza. Ai fini dei diritto al rimborso, ciascun deputato attesta al proprio Gruppo, (che come sappiamo è costituito da propri sodali) con dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, di aver effettivamente sostenuto nel trimestre di riferimento spese direttamente rivolte alle finalità indicate nella presente delibera, specificandone l’ammontare complessivo e di aver ottemperato in particolare al disposto del comma 4 (ossia di non avere assunto il coniuge, il convivente e parenti e affini fino al quarto grado). I gruppi parlamentari conservano le predette dichiarazioni per dieci anni, tenendole a disposizione del Collegio dei deputati Questori. In caso di estinzione del Gruppo parlamentare, che intervenga prima del predetto termine, le dichiarazioni di cui al presente comma devono essere restituite ai dichiaranti, che subentrano nell’obbligo di conservazione.”

Adesso arriva il bello! Non passano cinque mesi, esattamente il 12 marzo 1997, che, con un blitz dell’Ufficio di Presidenza, viene modificato il rimborso forfettario inerente il rapporto eletto ed elettori nella parte in cui si prevede l’obbligo di dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, sostituita con una semplice dichiarazione del deputato, e nella parte in cui i gruppi parlamentari sono tenuti a conservare per 10 anni le dichiarazioni dei deputati che viene sostituito con il termine della legislatura. Praticamente un “tana libera tutti’; una istigazione a fare di quelle somme quello che si vuole, tanto finita la legislatura nessuno potrà chiedere conto di come queste somme sono state spese. Da qui in poi per i collaboratori parlamentari sarà la fine: il Parlamento italiano, tranne rarissime eccezioni, sarà il far west dell’illegalità. L’impunità garantita dalla Delibera Violante sarà da detonatore all’esplosione delle irregolarità contrattuali. E, infatti, talmente sarà diffuso questo andazzo che non mancheranno le prime inchieste giornalistiche sui “portaborse in nero”. Occorre però arrivare agli anni 2000.

Gli anni 2000

  • XV legislatura (Presidenza Fausto Bertinotti)

Mentre la XIV Legislatura, Presidenza Casini, si caratterizza nel segno della continuità con quella che l’ha preceduta, lo scandalo “portaborse in nero” esploderà nelle mani della coppia Bertinotti-Marini.

Sempre limitandoci ai fatti della Camera: la Presidenza Bertinotti sarà ricordata esclusivamente per aver imposto l’onerosità del rapporto di lavoro tra deputato e collaboratore al fine del rilascio del badge di ingresso, senza porsi minimamente il problema delle cause delle diffuse irregolarità contrattuali. Infatti, con Deliberazione n. 58 del 17 marzo 2007 si dispone l’accredito presso le sedi della Camera dei deputati ai soli collaboratori per i quali i deputati attestino l’onerosità del rapporto di collaborazione, mediante presentazione di una copia del contratto di lavoro vistata da un consulente del lavoro, ovvero da altro professionista qualificato, escludendo, invece, la possibilità per i deputati di accreditare collaboratori con i quali abbiano un rapporto a titolo gratuito. Nella medesima Delibera viene inoltre consentito l’accredito anche per i collaboratori che abbiano un rapporto di lavoro con un soggetto terzo, il quale, a sua volta abbia un rapporto contrattuale finalizzato all’erogazione di servizi con il deputato ovvero con il partito, il movimento politico il gruppo parlamentare o loro articolazioni interne cui il deputato medesimo faccia riferimento. Ciò dovrà essere attestato con una dichiarazione del medesimo deputato e in tal caso dovrà inoltre essere prodotta copia del contratto sempre vistata da un consulente del lavoro. Ma non passa molto tempo, meno di quattro mesi, che, sulla falsariga di Violante, scesa l’attenzione mediatica, Bertinotti con successiva Delibera[20] riesamina la questione degli accessi consentendo nuovamente gli accrediti anche ai collaboratori senza contratto. Nello specifico consente l’accredito anche ai collaboratori: dipendenti di enti e di associazioni distaccati presso il deputato; persone che svolgano attività di tirocinio formativo presso il deputato; soggetti titolari di reddito da pensione ovvero dipendenti di enti pubblici o privati che dichiarino di svolgere attività di collaborazione a titolo non oneroso in favore del deputato. Insomma riprende l’andazzo di sempre.

  • XVI legislatura (Presidenza Gianfranco Fini)

Una prima vera inversione di tendenza si avrà solo nella XVI legislatura con la Presidenza di Gianfranco Fini che abrogherà subito la Delibera Bertinotti n. 69 del 05 luglio 2007[21], che di fatto aveva riconsentito l’accesso alle sedi della Camera ai collaboratori senza contratto, e avvierà un primo significativo controllo del rimborso forfettario istituito da Violante assegnando all’Amministrazione della Camera, finalmente, il compito di verificarne il loro effettivo impiego. La nuova Delibera Fini[22], entrata in vigore dal 01 marzo 2012, sostituisce il rimborso forfettario delle spese sostenute per mantenere il rapporto tra eletto ed elettori con il rimborso delle spese per l’esercizio del mandato, tuttora in vigore, ridotto di 500€[23] e con l’obbligo di rendicontazione puntuale di almeno il 50 per cento di tale somma con dichiarazioni quadrimestrali. Una rivoluzione si direbbe! Purtroppo non mancano anche in questa Delibera delle criticità. Innanzitutto, si è concesso di inserire voci di spesa, quali ad esempio quelle per l’organizzazione di convegni e sostegno delle attività politiche, che sono difficilmente verificabili e facilmente eludibili e rappresentano una forma surrettizia di finanziamento pubblico ai partiti. Inoltre, anche le modalità di rendicontazione lasciano molto a desiderare, in particolare quelle relative alle “spese erogate al soggetto politico (partito, gruppo parlamentare, movimento politico, associazione ecc.) quale rimborso delle spese per la fornitura di servizi resi a supporto dell’attività parlamentare” attestate da semplici dichiarazioni del partito/gruppo/movimento di riferimento. Di segno decisamente positivo, invece, è la decisione di assegnare all’Amministrazione della Camera le attività di verifica di tali spese, attraverso controlli a campione delle rendicontazioni quadrimestrali dei deputati[24].

Comunque la Presidenza Fini ha rappresentato una prima reale inversione di tendenza rispetto al buio delle precedenti gestioni.[25]

La XVI Legislatura va anche ricordata per: la nascita della prima associazione di collaboratori parlamentarti (Ancoparl, Associazione Nazionale dei Collaboratori Parlamentari[26]); l’approvazione di alcuni odg al Bilancio interno sulla regolamentazione della professione e per l’avvio dell’iter legislativo delle proposte di legge in materia di disciplina del rapporto di lavoro tra i membri del Parlamento e i loro collaboratori, anche se non è andato oltre l’audizione in Commissione Lavoro delle associazioni di collaboratori parlamentari.[27]

  • XVII Legislatura (Presidenza Laura Boldrini)

A quasi tre anni di legislatura non c’è stato un solo Ufficio di Presidenza oppure atto dedicato ai collaboratori parlamentari. Dell’iter legislativo delle proposte di legge, già presentate nella scorsa legislatura, sui collaboratori parlamentari è inutile parlare come anche degli odg presentati ai Bilanci interni. L’unico meritevole di attenzione è l’ordine del giorno 9/Doc. VIII, n. 6/022, a prima firma Paolo Nicolò Romano, accolto con riformulazione[28], che invita, per le rispettive competenze, “l’Ufficio di Presidenza e il Collegio dei Questori a valutare modalità di interlocuzione con i rappresentanti della categoria dei collaboratori parlamentari, ai fini di un confronto sulle problematiche connesse alla loro professione e per un migliore funzionamento delle attività e dei servizi da essi offerti.” Un primo grande passo sarebbe, infatti, promuovere un’interlocuzione fra Istituzione e collaboratori non lasciata all’episodicità e informalità, che ha contraddistinto i confronti del passato, ma regolata da un protocollo di intesa che preveda l’obbligo di consultazione dei collaboratori su ogni decisione assunta dall’Istituzione che direttamente o indirettamente li riguardino.

Purtroppo però, ormai girata la boa, questa legislatura sembra avviarsi nella direzione della continuità con quella che l’ha preceduta.

Considerazioni

In questo breve e sintetico excursus abbiamo ripercorso la storia della disciplina dei collaboratori parlamentari utile per capire non solo quello che è stato fatto, ma quello che si potrebbe fare per arrivare ad un pieno riconoscimento professionale di questa figura essenziale al buon funzionamento delle istituzioni parlamentari. Per questo motivo ritengo importante sintetizzare nei punti sotto i tratti salienti di quanto sopra ripercorso approfondendo meglio gli aspetti costituzionali, normativi e regolamentari forieri di interventi anche giudiziari attestata l’impossibilità di un’autoriforma dell’Istituzione parlamentare a fronte della sistematica violazione di principi costituzionali che continuano a verificarsi al suo interno pur essendo ormai note da anni le cause.

In sintesi, abbiamo detto che:

  1. L’indennità spettante ai membri del Parlamento, a norma dell’art. 69 della Costituzione, è costituita da quote mensili comprensive anche del rimborso di spese di segreteria e di rappresentanza. In base alla legge 1261/65, tuttora in vigore, gli Uffici di Presidenza delle due Camere determinano l’ammontare di dette quote mensili in misura tale che non superino il dodicesimo del trattamento complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di presidente di Sezione della Corte di Cassazione ed equiparate;
  2. Per superare tale limite, evitando di mettere mano nuovamente alla sopramenzionata legge, gli Uffici di Presidenza delle due Camere decisero di istituire la figura del collaboratore parlamentare per via regolamentare. Sono sostenuti da solide basi giuridiche in quanto non si tratta di una mascherata indennità ma di un rimborso che l’istituzione parlamentare mette a disposizione del singolo parlamentare per dotarsi di professionisti idonei a consentire di espletare a Roma e nel collegio elettorale il mandato nel modo migliore;
  3. Tale figura professionale non può essere un semplice segretario la cui retribuzione deve rientrare nella quota parte dell’indennità prevista dalla legge 1261/65, ma un collaboratore altamente qualificato idoneo a sostenere “concettualmente”, attraverso la predisposizione di elaborati (atti parlamentari), l’attività politico parlamentare dell’eletto;
  4. Gli Uffici di Presidenza di Camera e Senato, che istituiscono tale primo rimborso, commettono due decisivi errori. Il primo è quello di non specificare nella stessa Delibera le competenze professionali (scienze giuridiche, politiche, economiche e sociali) che la nuova figura professionale dovrà possedere, limitandosi solo a parlare in fase di dibattito di soggetti altamente qualificati. Il secondo, sicuramente il più determinante, è quello di far coincidere controllato e controllore attribuendo ai Gruppi parlamentari il compito di verificare la veridicità degli impieghi di tale somme senza all’opposto istituire – come avrebbero dovuto fare considerando la mole enorme di denaro pubblico erogato ai 915 parlamentari ammontante, nella fase di prima applicazione della suddetta Delibera, a due miliardi e settecentoquarantacinque milioni di lire al mese – una Commissione terza ed imparziale volta a verificare la sua concreta applicazione e che poteva essere costituita oltre che da parlamentari e funzionari delle due Camere anche da figure esterne alla politica come magistrati, docenti universitari e rappresentanti dei collaboratori parlamentari;
  5. Tale delibera ha avuto vita difficile fin dal principio per le forti opposizioni ideologiche, prevalentemente a sinistra, contro i c.d. “portaborse” e per gli opportunismi che si sono inevitabilmente venuti a creare per gli inesistenti controlli[29];
  6. La manomissione della Delibera è avvenuta per fasi compiendosi pienamente con la Presidenza Violante che ha istituito il rimborso forfettario inerente il rapporto eletto elettori a valere su risorse stabilite per il collaboratore e di fatto promuovendo un atto illegittimo in quanto si è proceduto a sostituire un rimborso per un servizio messo a disposizione dell’Istituzione parlamentare – come all’origine era stata intesa la Delibera Collaboratori per poter procedere speditamente tramite regolamento interno – con una surrettizia indennità di funzione in contrasto sia con l’art. 69 della Costituzione che con la legge 1261 del 1965, tuttora in vigore, che vieta esplicitamente che le spese di segreteria e rappresentanza siano slegate dall’indennità parlamentare e che il totale delle somme erogate possano superare “il dodicesimo del trattamento complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di presidente di Sezione della Corte di cassazione ed equiparate.” Se sommiamo l’attuale indennità dei parlamentari, già equiparate al 100 per cento del trattamento complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di Presidente di Sezione della Corte di Cassazione e questo ulteriore rimborso vediamo raddoppiare, tra l’altro esentasse, tale indennità. Non convincono le motivazioni edotte in premessa alla Delibera Violante, relativamente all’entrata in vigore dell’art. 26, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, Misure di razionalizzazione della finanza pubblica,[30] che ha disposto la piena tassabilità dell’indennità parlamentare, in quanto le spese di segreteria e rappresentanza, eventualmente sostenute tramite l’indennità, sarebbero potute essere comunque deducibili a fini fiscali. Per questa ragione nessuna motivazione fiscale può giustificare la sostituzione di un contributo finalizzato alla retribuzione di collaboratori altamente qualificati con un rimborso forfettario volto a compensare il “venir meno” delle spese di segreteria e rappresentanza in seguito alla nuova tassazione dell’indennità parlamentare già ampiamente scongiurata, tra l’altro, dalle ampie detrazione fiscali godute dai parlamentari per le erogazioni liberali ai partiti politici. Analogo discorso vale anche in merito alla riduzione dell’indennità parlamentare a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 13 del decreto legge n. 138 del 2011 convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148;
  7. L’ostruzionismo prima e lo stravolgimento dopo della originaria Delibera Collaboratori ha dato origine ai diffusi e noti fenomeni di lavoro nero ed irregolare presso i luoghi della formazione del diritto nel nostro Paese. Pertanto, il rimborso forfettario istituito da Violante e successivamente modificato da Fini va abrogato non solo perché, come sopra detto, direttamente in contrasto con l’art. 69 della costituzione e con una legge dello Stato tuttora in vigore ma, per come è stata ingegnosamente congegnata, per aver consentito la continua e sistematica lesione di diritti costituzionalmente sanciti quali, a titolo esemplificativo, la lesione degli artt. 3, 4, 35, 36, 37, 39, 40 e 53 che hanno causato, e causano tuttora, pregiudizio ai tantissimi lavoratori che in trent’anni (parliamo di migliaia di persone) si sono avvicendati prestando il loro onorabile servizio all’interno delle Istituzioni parlamentari senza godere dei diritti garantiti alla generalità dei lavoratori, pertanto subendo una grave e continuata discriminazione.

Conclusioni

I collaboratori parlamentari invocano tanto il modello europeo[31]. Basta semplicemente far ritornare in vigore la precedente Delibera sui collaboratori parlamentari, eventualmente riadattata ai tempi, stando attenti però che le somme erogate vengano versate direttamente dall’Istituzione e non dai Gruppi parlamentari e che venga istituito un Comitato Interparlamentare terzo ed imparziale preposto alla verifica delle certificazioni relative sia alle qualificazioni (per evitare che i collaboratori vengano assunti per mansioni di semplice segreteria per non cozzare con quanto disposto dalla legge 1261/65) che alle retribuzioni dei collaboratori.

Come abbiamo visto i deboli interventi promossi in questi anni dalle due Camere non hanno evitato che forme di lavoro irregolari si radicassero all’interno delle sedi parlamentari. Questo perché gli interessi dietro il rimborso delle spese inerenti il mandato sono talmente forti[32] che difficilmente i gruppi parlamentari e i singoli parlamentari se ne priveranno. Per questa ragione non vedo altra strada che il ricorso alle vie giudiziarie e, questo, anche a seguito della nuova sentenza n. 120/2014 della Corte Costituzionale che ha aperto finalmente una breccia sulla insindacabilità dei regolamenti parlamentari stabilendo il fondamentale principio che “l’indipendenza delle Camere non può […] compromettere diritti fondamentali, né pregiudicare l’attuazione di principi inderogabili”. E perché no? Investendo della questione anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo come hanno fatto alcuni dipendenti della Camera dei deputati nella storica pronuncia Savino ed altri c. Italia del 28 aprile 2009. La Corte di Strasburgo pur riconoscendo agli organi del contenzioso interno della Camera la natura di tribunali precostituiti per legge, hanno sollevato la violazione dei principi di indipendenza e di imparzialità del giudice nella misura in cui, nella fattispecie oggetto della sentenza, l’organo chiamato a giudicare in via definitiva la controversia alla Camera era l’Ufficio di Presidenza, lo stesso organo competente ad emanare gli atti impugnati dai dipendenti. La storica Sentenza portò la Camera dei Deputati ad istituire un apposito organo di seconda istanza i cui componenti non possono coincidere con i membri dell’Ufficio di Presidenza. Ebbene! I collaboratori parlamentari italiani non hanno più alibi.
Paolo Lombardi
Laureato in sociologia indirizzo politico istituzionale.
Autore del saggio “La scienza della formazione politica”, EPAP, Firenze, 2004.
Collaboratore Parlamentare dal 2006.

[1]  Al Senato denominato Consiglio di Presidenza.

[2]  Circolari dei deputati e senatori Questori, proposte di legge, ordini del giorno ecc.

[3]  Lavorando alla Camera dei Deputati mi è risultato più semplice basarmi su tale documentazione.

[4] Dispiace dirlo ma i più grandi nemici dei c.d. “portaborse” sono stati paradossalmente proprio le formazioni politiche di sinistra, in primis il Partito Comunista.

[5] Resoconto stenografico seduta n. 348 di giovedì 07 ottobre 1965, pag. 17811.

[6] Doc. VIII n. 8 “Progetto di bilancio delle spese interne della Camera dei deputati per l’anno finanziario dal 01 gennaio al 31 dicembre 1986 e per il triennio 1986-1988”, deliberato dall’Ufficio di Presidenza il 10 luglio 1986, pag. 16.

[7] Idem.

[8] Doc. VIII n. 10 “Progetto di bilancio delle spese interne della Camera dei deputati per l’anno finanziario dal 01 gennaio al 31 dicembre 1987 e per il triennio 1987-1989”, deliberato dall’Ufficio di Presidenza il 27 marzo 1986, pag. 19.

[9] Resoconto stenografico seduta n. 563 di mercoledì 26 novembre 1986, pag. 49603.

[10] Conto consuntivo delle spese interne della Camera dei deputati per l’anno finanziario 1986 (doc. VIII, n. 11) e progetto di bilancio delle spese interne della Camera dei deputati per l’anno finanziario dal 1 ° gennaio al 31 dicembre 1987 e per il triennio 1987-1989 (doc. VIII , n. 10). La X legislatura è entrata in vigore da pochi mesi, esattamente il 02 luglio 1987.

[11] Resoconto stenografico seduta n. 58 di martedì 01 dicembre 1987, pag. 5572.

[12]  Analogo discorso per il Senato della Repubblica.

[13] La prima legge sul finanziamento pubblico ai partiti è del 1974 (c.d. legge Piccoli del 2 maggio 1974 n. 195) anche se già dal 1971, con la riforma tributaria, i partiti politici godevano di un finanziamento pubblico indiretto. Inoltre il PCI negli anni 80 oltre che dallo Stato italiano era ampiamente finanziato anche da alcuni Paesi stranieri come l’Unione Sovietica.

[14] Votato nella seduta n. 59 di mercoledì 02 dicembre 1987.

[15] (9/doc. VIII, n. W/12) «Usellini, Grillo Salvatore, Rubinacci, Visco, Cardetti, Ravasio, Vito, Russo Raffaele, Grillo Luigi, Fiori, Pellizzari, Guarino, Ferrari Wilmo».

[16] Resoconto stenografico seduta n. 58 di martedì 01 dicembre 1987, pag. 5586.

[17] Doc. VIII n. 1 “Progetto di bilancio delle spese interne della Camera dei deputati per l’anno finanziario dal 01 gennaio al 31 dicembre 1988 e per il triennio 1988-1990”, deliberato dall’Ufficio di Presidenza il 28 luglio 1988, pag. 18.

[18] Altrettanto verrà fatto al Senato della Repubblica.

[19] Anche se, non avendo ancora avuto la possibilità di consultare tale disciplina per incomprensibili resistenze da parte dell’Ufficio di Presidenza a rendere pubblico tale atto, non mi è possibile comprendere la relazione ed eventuale combinazione con quella riferita ai collaboratori.

[20] Delibera n. 69 del 05 luglio 2007.

[21] Soppressione avvenuta in occasione dell’Ufficio di Presidenza del 23 aprile 2009.

[22] Delibera n. 185 del 30 gennaio 2012.

[23] Passerà dai 4.190 euro mensili agli attuali 3.690 euro a deputato. Al Senato della Repubblica l’importo del contributo per il rimborso inerente l’esercizio del mandato rimarrà invariato a 4.180.

[24] Anche se non risulta che siano mai stati effettuati.

[25] Questo lo si è potuto verificare anche in altri campi come: la decisione di rescindere il contratto di locazione di palazzo Marini 1; l’imposizione delle minuzie ai deputati per l’esercizio del voto, contro il fenomeno dei c.d. “pianisti”; la revisione della disciplina dei vitalizi parlamentari e del regime pensionistico dei dipendenti della Camera dei Deputati. In sintesi un’azione volta ad una complessiva revisione delle spese generali dell’Istituzione.

[26] Di cui sono stato fondatore e membro del consiglio direttivo.

[27] Dopo Ancoparl si costituì anche il Cocoparl, il Coordinamento dei Collaboratori Parlamentari.

[28] Nella seduta n. 474 di mercoledì 05 agosto 2015 in occasione della votazione del Conto consuntivo della Camera dei deputati per l’anno finanziario 2014 e progetto di bilancio della Camera dei deputati per l’anno finanziario 2015 (Doc. VIII, nn. 5 e 6).

[29] Da tutte le parti politiche tranne il Movimento 5 Stelle i cui parlamentari sono soggetti ad una rigida rendicontazione su ogni tipo di spesa, non solo quella per i collaboratori, pena l’espulsione dal gruppo parlamentare e dal movimento politico.

[30] Nella Delibera è erroneamente riportato il 1984.

[31] Il Parlamento Europeo il 16 dicembre del 2008 ha approvato la Proposta di Regolamento del Consiglio che modifica il regime applicabile agli altri agenti delle Comunità europee (COM/2008/0786) che al Titolo VII introduce gli “assistenti parlamentari” come categoria di personale specifica del Parlamento europeo stabilendo: l’Inquadramento per gradi (cap. 1); Diritti e doveri (cap. 2); Condizioni di assunzione (cap. 3); Condizioni di lavoro (cap. 4) e Retribuzione e rimborso spese (cap. 5).  In sintesi: al fine di garantire, attraverso regole comuni, la trasparenza, la non discriminazione e la certezza del diritto, gli assistenti dei deputati, che prestano servizio esclusivamente nelle tre sedi del Parlamento europeo (Bruxelles, Strasburgo, Lussemburgo), sono assunti mediante un contratto diretto con il Parlamento europeo, sotto la responsabilità e in conformità delle istruzioni personali del deputato e nel pieno rispetto delle disposizioni applicabili in materia fiscale e previdenziale uniformate in un unico regime e non più in 27 distinti regimi. La Proposta approvata ha trovato compiuta attuazione nel Regolamento (CE) n. 160/2009 del Consiglio del 23 febbraio 2009 che modifica il regime applicabile agli altri agenti delle Comunità europee pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 27 febbraio 2009.

[32] Sommando i rimborsi annui erogati nei due rami del Parlamento, parliamo di una cifra pari a oltre 40 milioni di euro annui, per l’esattezza 43.696.800€ moltiplicati per la durata della legislatura. Ipotizzando la durata naturale di 5 anni di legislatura la somma erogata a rimborso è pari a 218.484.000 euro di cui non si conosce, per la metà di tale l’importo, l’effettiva destinazione.