E’ il 2 settembre 1849. Un gruppo di finti cacciatori approdano alla spiaggia maremmana di Cala Martina, nei pressi di Follonica, dopo essersi lasciati alle spalle il comodo rifugio di Casa Guelfi. Fra essi due personaggi d’eccezione: Giuseppe Garibaldi e Giovan Battista Cugliolo (o Coliolo), detto Capitan Leggero. Alla vista del mare l’Eroe dei Due Mondi esulta come un bambino, certo di essere arrivato alla salvezza in quello che da sempre è stato il suo elemento naturale. Mai esultanza fu più giustificata. Per arrivare lì i due avevano attraversato pericoli ed avventure di ogni sorta, dopo essersi lasciati alle spalle due mesi prima Roma e la sua ormai soccombente Repubblica, nel tentativo di suscitare una rivolta nelle altre parti dello Stato Pontificio, sollevazione che mai si verificò.
Dall’agognata Citta Eterna passarono in Umbria, quindi in Toscana, per raggiungere poi San Marino: dove – visto il non riuscito tumulto – Garibaldi scioglie dal voto di fedeltà i suoi seguaci e tenta inutilmente di raggiungere Venezia, ultima Repubblica indipendente dall’Austria. Ed è nella terra romagnola, nelle Valli di Comacchio, che, morta Anita, inizia un viaggio a ritroso verso la costa toscana conosciuta come “la trafila (trafugamento) di Garibaldi”. Con l’aiuto di molti patrioti e con una massiccia dose di fortuna Garibaldi e Leggero riescono ad arrivare alla spiaggia maremmana. Non si potrebbe definire quell’episodio se non un’impresa. Basti pensare che i due solitari fuggiaschi erano braccati dalle truppe francesi, napoletane, spagnole, austriache e granducali.
Dopo l’imbarco, avvenuto in maniera avventurosa e riuscito con la collaborazione di un pescatore dell’Isola d’Elba, i due fuggiaschi riescono a raggiungere la Liguria e quindi il Regno di Sardegna. Poi le loro strade si divisero, con Leggero che opta per l’America Centrale (dove combatterà per l’indipendenza dell’Honduras), mentre Garibaldi andrà negli Stati Uniti, dove lavorerà nella fabbrica di candele di un altro italiano celebre, Antonio Meucci, futuro (e sfortunato) inventore del telefono.
Le pagine di quell’evento sono state molte volte ricordate in una letteratura storica ricca e copiosa. Come celebre è rimasto il commento che Francesco Crispi fece una volta saputo della salvezza di Garibaldi e Leggero: “Come diavolo avranno fatto?”.
Oggi a Cala Martina c’è un monumento che ricorda l’episodio. Sulla base sono incisi i nomi dei principali attori di quella fuga che si fece beffa di militari di carriera e di sagaci poliziotti.
Undici anni più tardi i destini di Garibaldi e della Maremma tornarono ad incrociarsi. Salpato da Quarto con i suoi Mille il Generale fa sosta non lontano da Cala Martina, a Talamone, per rifornirsi di armi, uomini e viveri. Anche qui l’immancabile monumento ricorda ai posteri l’accaduto.
Ancora un passaggio in questi splendidi siti, ancora un’avventura stavolta finita positivamente, a testimonianza che il Generale dalle parti del Mar toscano meridionale poteva sentirsi a casa propria. E sicuramente a ragione.