Sta per cominciare la quinta edizione di Filosofia al Mare, un’iniziativa volta ad avvicinare i cittadini al dibattito filosofico senza cedere alle sirene della banalità e della superficialità. L’evento si articola in una serie di appuntamenti serali (filosofiaalmare.orthotes.com ) che si svolgeranno fra il 10 e il 20 luglio in Abruzzo, a Francavilla al Mare e a Ortona.
Ho chiesto al professor Carlo Tatasciore, Direttore scientifico della manifestazione, di indicarci brevemente il senso di tale appuntamento e i principali motivi della scelta del tema di quest’anno, Conversazioni sul bene. Ecco cosa ha risposto: <<Subito dopo la chiusura delle conversazioni di “Filosofia al Mare” 2013, in cui era stato proposto il tema della vita, così caratteristicamente “filosofico” proprio in quanto di vasta apertura, ho pensato che la continuazione nel 2014 sarebbe stata occupata dalla questione del bene. In primo luogo perché il bene, in senso materiale, etico e civile, risulta essersi particolarmente allontanato dalle nostre prospettive quotidiane, sostituito piuttosto da una crescente inquietudine e a volte disperata incertezza. Lo si vorrebbe dunque rilanciare nell’immaginazione, nella speranza e nel progetto, proprio quando l’attesa di una vita giusta e buona sta deludendo impietosamente le aspettative dei più. Sarei contento di contribuire a ridar forza, nello spazio pubblico, al senso della possibilità in questo nostro tempo, in cui prevale quella che Salvatore Veca ha chiamato “dittatura del presente”.
Il domandare filosofico non si identifica con la pura analisi del presente, bensì cerca di comprendere, in forme e atteggiamenti anche molto divergenti fra loro, il proprio tempo senza rimanerne prigioniero, per “pensarlo”, appunto, e pensare ciò che non è ancora semplicemente dato. In “Filosofia al Mare” la responsabilità di rimanere fedeli a questo compito della filosofia è affidata ancora una volta a ospiti molto noti e apprezzati, che con esperienza comunicativa e profondità teoretica sapranno avvicinare la filosofia senza banalizzarla a un pubblico che assiste, partecipa, interviene, munito della “strana” concentrazione che l’estate sa offrire. E proprio nella conversazione di tipo filosofico l’occorrenza di doverla interrompere semplicemente per il calar della notte, senza un vero e proprio punto conclusivo, ma con la percezione di un interiore arricchimento da parte degli intervenuti, risulta più accettabile che in altri contesti cognitivi. Il bene vale anzitutto nella e per la sua “indefinibilità”, e intorno ad esso può nascere anche “dissidio”, impossibilità di trovare un accordo. Tuttavia ci riguarda sempre, perché è ciò a cui aspiriamo e che tentiamo di raggiungere, sia individualmente sia collettivamente, puntando a un ideale che mostra la sua vera consistenza proprio quando è sostenuto da una forza proveniente dalla realtà stessa.>>
Ho poi rivolto due domande al professor Franco Rella (Università di Venezia), fra i protagonisti dell’evento.
Accanto alla tradizionale controversia sul bene e sul giusto forse potremmo cogliere la tensione fra il bene e il possibile, fra il Bene (al singolare e magari con la maiuscola) e le varie possibilità.
Una volta pronunciato il bene con la maiuscola – Il Bene – temo che si sia contestualmente annientato il possibile. Platone pone il Bene al centro della Repubblica, che non a caso si articola in regole, divieti, esclusioni. Plotino invece lo pone al termine di un percorso verso la Bellezza come manifestazione del Bene sulla soglia di una esperienza estatica: la “fuga solo a solo”. Temo dunque che dovremo accontentarci del bene e del giusto con la minuscola. La verità, ha detto Melville, ha confini sfrangiati. Anche il bene e il giusto hanno confini ben poco definiti, e comunque mai definitivi. D’altronde sappiamo che l’uomo è arrivato al sapere del bene insieme al sapere del male, mescolati. Per questo Adamo è stato allontanato dal Paradiso terrestre. Per questo, come ha detto Rilke, abbiamo un sapere che nemmeno l’angelo possiede.
In un suo intervento sull’ultimo numero della rivista di ricerca letteraria Anterem, intitolato Schegge di verità, mi ha colpito un passo dedicato al rapporto fra il mondo reale e il possibile, a sua volta “attraversato e messo in questione da un impossibile che chiede di avere spazio in esso”. Un discorso controcorrente rispetto all’idea oggi dominante per la quale, specie in ambito politico e sociale, ci sarebbe ben poco da scegliere.
Aristotele aveva contrapposto la storia alla poesia: l’una racconta ciò che è stato, l’altra racconta il possibile. O meglio, l’arte indaga, come dice Kundera, l’esistenza, vale a dire “il campo delle possibilità umane”. Kafka, dice ancora Kundera, propone “una possibilità estrema e non realizzata del mondo umano”. Io penso invece che Kafka proietti nell’ambito del possibile l’impossibile, qualcosa che mette in crisi, mette in tensione, non solo il reale ma anche l’insieme dei possibili: “Una mattina Gregor Samsa si svegliò da sonni inquieti si trovò trasformato nel suo letto in un immane insetto”. Montale: “Forse un mattino andando in un’aria di vetro, arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo: / il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro / di me, con un terrore di ubriaco”.
È l’eterno ritorno di Nietzsche, è l’ora extratemporale di Proust, e la dialettica in stato d’arresto di Benjamin. È l’antidoto all’idea dominante del “neutro”: ne-uter, lo spazio in cui non c’è scelta possibile.