Giorni fa Silvano Andriani, su l’Unità, ripercorreva assai lucidamente vicende e (retro)pensieri della sinistra italiana, tali da imprimere nel dopoguerra al nostro paese tratti anomali rispetto ad altre realtà europee.
Mi sentirei di aggiungere a quell’analisi due passaggi più recenti.
Il primo: l’idea, negli anni ’80, coltivata ad esempio dal quotidiano la Repubblica, che il Pci si fosse di fatto socialdemocratizzato e che rappresentasse il vero interlocutore italiano, poniamo, di Willy Brandt o del Labour britannico.
Il secondo: la costruzione, all’inizio del XXI secolo, di una sorta di nuovo pantheon della sinistra “di governo” di casa nostra evitando un confronto profondo e serrato sulle potenzialità e sui limiti che avevano caratterizzato l’esperienza del Pci, del Psi e di altre forze. In particolare, ci si presentò eredi di Carlo Rosselli e del socialismo liberale senza fare davvero i conti con se stessi, senza impegnarsi sul serio a elaborare le proprie contraddizioni. Il tutto all’insegna della rimozione, della giustapposizione, della fuga in avanti.
E ciò ancora pesa nella nostra vicenda nazionale.