Come avevano anticipato i piu avvertiti, ieri gli otto togati di Karlsruhe hanno optato per una sentenza che non pone il “Meccanismo di Stabilità Europea” (ESM nell’acronimo inglese), né il collegato “Fiscal Compact”, fuori della”Grundgesetz”, come la Legge Fondamentale viene conosciuta dal grande pubblico in Germania. E tuttavia pone dei distinguo che non lasceranno certo le cose come prima, prescrivendo rigide condizioni attuative per non accentuare il deficit di democrazia nell’UE. Spetterà dunque al Bundestag vagliare in sede di ratifica. Una storia non nuova. Era avvenuto già nel 2009, quando la Corte Costituzionale tedesca, nel deliberare la costituzionalità del Trattato di Lisbona, osservò che il Bundestag doveva svolgere un ruolo più autorevole nello “scrutinare” la legislazione europea.
Sia pure con linguaggio giuridico e partendo da presupposti più affini alla filosofia del diritto, la Corte Costituzionale ha detto nella sostanza quello che specialmente Wolfang Schäuble, ministro delle Finanze, aveva affermato qualche giorno prima commentando la decisione della Banca Centrale Europea. Lo aveva fatto, anche lui con coraggio, non appiattendosi sulla interpretazione, intrisa di grossolana arroganza, dei maggiori e più autorevoli quotidiani tedeschi, tra cui il prestigioso Frankfürter Allgemeine Zeitung, e tuttavia senza fare sconti sulle questioni di fondo.
Shäuble nel suo commento aveva reso esplicito quello che era implicito nella decisione della Banca Centrale Europea: gli «acquisti illimitati» nei mercati secondari dei titoli a breve emessi dai Paesi a rischio, tra cui l’Italia, sono strumenti che rientrano nel mandato dell’Istituzione di Francoforte ma prima di metterli in atto sarà necessario un previo accordo sui vincoli. In altri termini, il governo tedesco a differenza della stampa, riconosceva nella decisione della BCE il rispetto della linea di demarcazione tra politica monetaria  (impedire le disfunzioni del mercato a causa delle difformità dei tassi di interesse), di sua spettanza, e politica di bilancio, di prerogativa dei Governi.
Dunque non ha «vinto» Draghi né ha «perso» la Merkel (basta, per favore, con le parabole calcistiche!), la quale dissociandosi dallo sgangherato strepitio da mercato rionale della stampa tedesca, che, ancora una volta aggiungiamo noi, ha tolto la maschera ad una «germanità» inossidabile, ha relativizzato la portata e «l’audacia» della presidenza della BCE. Che ha fatto affermando quasi sottovoce che le decisioni sulla salvaguardia e, aggiungiamo noi, il destino dell’euro, «spettano ai politici», leggasi a chi é investito di legittimità sovrana, non ai tecnici. E’ bene ricordare queste parole che,con la solennità e l’apparente calma con cui sono state pronunciate, sembrano scritte sulla pietra.
Oggi il merito di Draghi non é di aver reinventato la ruota, tant’é che nei fatti non succederà nulla fino a quando Monti e Rajoy non si decideranno, se mai lo faranno, ad attivare per i due Paesi l’ESM, che é la condizione sine qua non per gli acquisti della BCE. Egli ha solo saputo sottrarsi alla «furia dei potenti», mantenendo sangue freddo e facendo con precisione il suo dovere. Insomma non ha accettato , come avrebbe probabilmente fatto il suo predecessore Trichet, «l’abuso di posizione» della Germania che, fatto assai grave, su cui andrebbe seriamente meditato, avrebbe dato carburante ad una speculazione già sin troppo aggressiva.
Ma ci sono altre lezioni su cui andrebbe meditato, soprattutto da una parte della nostra classe politica troppo timida e insicura quando parla di Europa, dimenticando che l’Europa resta vestita di interessi nazionali; oggi più di ieri; domani più di oggi. I custodi di Karlsruhe con la loro decisione hanno sollecitato piu’ potere al Bundestag prefigurando «de jure condendo» l’architettura istituzionale nei rapporti tra Governo e Parlamento. Anche qui lanciando un monito e mettendo dei paletti all’abitudine dell’UE di legiferare attraverso la burocrazia di Bruxelles, creando in pratica quel deficit di democrazia tanto e sempre più lamentato dagli osservatori tedeschi, noto sornionamente a quelli britannici, ma purtroppo trascurato in nome di un malinteso senso di europeismo dai nostri politici. I quali, tra l’altro, hanno lasciato maturare in questi tempi di ristrettezze e di «sevizie» al contribuente italiano, tra i 4 e i 5 miliardi di euro di «contributo netto» cioé di un trasferimento netto dal bilancio italiano a quello della Commissione di Bruxelles, che meriterebbe lei, per gli sprechi che produce, di essere sottoposta ad una severa «spending review».
L’ «europeismo» non deve spingersi ad accettare aprioristicamente quello che si vende come «europeo». E il primo diniego potrebbe rivolgersi dalla Germania al Presidente Barroso che nella bozza di Unione Bancaria vorrebbe mettere tutte le Banche dei Paesi dell’eurozona, oltre 6.000, sotto sorveglianza di un’Agenzia che dovrebbe essere creata in seno alla BCE:
che il bilancio della Commissione debba essere sottoposto alla «spending review» cominciano ad essere in molti a pensarlo. A mo’ di esempio, ma il fenomeno é diffuso, possono citarsi le elargizioni in eccesso che sotto la direzione di una pigra e smarrita  Lady Ashton l’Ue da tempo compie sotto il nome di una politica estera e di difesa comune, in realtà sempre più impalpabile e corrosa da interessi privati. O come quelli che consentono a Tony Blair di prendere munifiche indennità per continuare a fare il mediatore di affari, spesso sospetti, mentre l’obbiettivo del processo di pace in Palestina scivola inesorabilmente dai «Due Stati» verso lo Stato bi-nazionale, che ridurrà il popolo palestinese a un appendice appena tollerata.
E pensare che oltre venti anni fà l’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi rischiò una grave frattura con il nostro maggiore alleato pur di salvaguardare, ad onta di chi come Scalfari lo accusava di connivenza col terrorismo, l’indipendenza della nostra politica mediterranea, nella convinzione che l’Italia avrebbe saputo più di altri interpretare quel percorso virtuoso indicato dalle Nazioni Unite di allora, e che ora é schernito da Israele sotto la ignavia di personaggi quali la Ashton e Blair e nell’indifferenza di una Europa che, gestione della crisi finanziaria in testa, si avvia ad essere la caricatura di quella voluta dai vecchi Padri Fondatori.