Ѐ fisiologico, specie ai giorni nostri, che ciò che accade in un paese abbia un’importante risonanza politica e mediatica negli altri. Né si può pretendere dai discorsi dei politici quella coerenza che ci attendiamo, ad esempio, dalle argomentazioni dei filosofi. Più in generale, poi, la rigidità e l’ostinazione tendono a nuocere alla vita dei singoli e delle comunità.
Perché nascano e si consolidino i partiti, però, occorre una visione. E a quanto pare è proprio questa che manca a molti dei leader attuali. Non possiamo che rallegrarci dinanzi all’esito del referendum in Irlanda, ad esempio. Ma come valutare le sue ricadute sul dibattito politico italiano? Trovo che esso sia troppo “umorale” e volubile, per così dire. Come se un giorno si sognasse (sul versante del centrodestra) una forza clerical-popolare, il giorno dopo un partito all’americana e quello seguente si volesse imitare David Cameron. Così, all’indomani del voto irlandese, si è detto che Mara Carfagna, attenta al tema dei diritti civili, potrebbe aspirare a guidare Forza Italia. E Matteo Salvini, che non nasconde le proprie simpatie per Marine Le Pen, è giunto a evocare lo spirito berlusconiano del ’94 e la rivoluzione liberale.
Insomma: ben venga una sorta di dialettica politica globale: ma l’impressione è che a prevalere siano piuttosto la confusione e un antico stile provinciale.