L’espressione impiegata da papa Francesco a Lampedusa – la globalizzazione dell’indifferenza – sta avendo una risonanza mediatica ed emotiva notevole. Perché?
A parer mio si intrecciano tre motivi fondamentali. Spesso vi sono parole usate con superficialità, senza coglierne appieno il senso e il significato. Cosa intendiamo davvero per globalizzazione, ad esempio? Il villaggio globale di Marshall McLuhan o l’abbattimento delle barriere ai flussi di persone, capitali e merci? O magari entrambi i fenomeni?
Al livello del giornalismo e dello spettacolo, poi, con facilità vengono coniate parole ed espressioni. Quanto però esse sono realmente evocative? Quante volte sono più vicine a uno scioglilingua o a una frase a effetto che alla reale capacità di descrivere o cogliere in profondità? Insomma: è un terreno sovente vicino a quello degli spot pubblicitari. Il messaggio del vescovo di Roma, al contrario, è autentico.
Globalizzazione dell’indifferenza, inoltre, delinea un campo di persone e cose. Teatro: il mondo intero. Sembrerebbe un ossimoro, ma in realtà sonda ed esplora l’intreccio complesso che lega ciascuno di noi a tutti gli altri. Siamo interdipendenti – da qui la globalizzazione – e nel contempo non scorgiamo i bisogni e i sentimenti degli altri. Un destino comune ci sospinge ancor più a chiuderci nelle nostre fortezze vuote.