Come è (o dovrebbe essere) noto a tutti, la costituzione materiale della seconda Repubblica è fondata sui mantra. Vale a dire su delle opinioni che a furia di essere ripetute in modo martellante assurgono a verità rivelate. Il fatto è che, nella ( quasi) totalità dei casi, si tratta di pure e semplici sciocchezze.
Fondamentale tra questi mantra è la convinzione che le leggi elettorali abbiano un valore fondante: e non solo perché assicurano governi stabili e opposizioni costruttive, ma anche perché rendono i comportamenti politici più virtuosi, anche moralmente. In quest’ottica, le coalizioni fatte prima delle elezioni perché rese necessarie dalla legge elettorale sono virtuose, perché consentono di “sapere chi ha vinto” e di governare tranquillamente per tutta la legislatura successiva; mentre gli accordi fatti dai partiti dopo le elezioni sono dei volgari inciuci, fatti per motivi inconfessabili sulle spalle dei cittadini e certamente destinati al fallimento.
Ora, spiace dirlo, è vero esattamente il contrario. Poche parole sugli “accordi successivi”, soprattutto, ma non solo, nei regimi a regime proporzionale (oggi, per esempio, anche nel Regno Unito). Accordi fatti su programmi concordati, alla luce del sole; e che hanno garantito e garantiscono governi stabili, e nella stragrande maggioranza dei casi di legislatura. E questo non solo nella virtuosa Europa; ma anche nella corrotta e “mai abbastanza deprecata” prima Repubblica.
Che dire, invece, delle “coalizioni obbligate” praticate lungo tutto l’arco della seconda Repubblica e oggi riproposte come grande riforma da Renzi e Berlusconi? Diciamo che queste sì sono “volgari inciuci fatti alle spalle dei cittadini e destinati al fallimento”. Lo scopo dei contraenti è, infatti, puramente e semplicemente, di vincere le elezioni: il socio di riferimento per governare con una minoranza di suffragi; gli altri per portare più gente possibile in Parlamento. Ne deriva la necessità di avere le coalizioni più ampie ed eterogenee possibili; e, conseguentemente, di concentrare la maggiore attenzione sulle trattative, riservate sui posti, dedicando invece la minore attenzione possibile ai programmi, questi sì formalmente pubblici. Una roba destinata a sfasciarsi ben presto. L’alleanza, elettoralmente obbligata, tra Berlusconi e Bossi, nel 1994 si è violentemente rotta entro pochi mesi. Gli Ulivi e le Unioni hanno visto la lacerazione tra le loro forze costituenti nello spazio di due anni. Della ”Italia bene comune” sono scomparse financo le tracce, e a poche settimane dalle ultime elezioni.
Si è detto, e si continua a ripetere ossessivamente (ogni regime ha al cultura politica e il giornalismo che si merita), che la colpa di tutto questo, il male da estirpare, sta nei piccoli partiti e nella loro malvagia vocazione al ricatto. Falso. Il male, quello che ha portato Berlusconi a dimettersi nel 2011 e Bersani a chiedere soccorso a Napolitano dopo il disastro elettorale e postelettorale, sta invece nei grandi. O, se preferite, nei loro leader. Quegli stessi che oggi invocano, e presumibilmente otterranno, una legge elettorale su misura per loro.