Caro Direttore, tutto il periodo repubblicano, dal ’46 a oggi, coincide con la nostra vita politica. Siamo stati in trincee diverse nella sinistra italiana divisa e lacerata […].
Alessandro Bravi
Aprile 16, 2013 al 3:29 pm - Rispondi
Nessun altro sarebbe più….. Amato! Tifiamo per lui.
Carlo Correr
Aprile 16, 2013 al 5:59 pm - Rispondi
Amato non è amato
I socialisti un problemino ce l’hanno, e neppure tanto piccolo. Si odiano. Mica tutti, per carità, ma in parecchi sì. Io penso che anche questa sia stata una delle ragioni che hanno portato il Partito socialista alla dissoluzione. Nel momento più grave di crisi, tra i vertici è mancata prima di tutto la solidarietà. È prevalsa l’acredine, la gelosia, lo spirito di rivalsa per qualche vecchio rancore e l’‘avversario’, meglio sarebbe dire ‘gli’ avversari dal PCI a una parte della magistratura e dell’establishment economico-finanziario, hanno avuto buon gioco nello sradicare letteralmente un partito che pure aveva superato discretamente bene il secolo di vita.
Un sentimento che si è mantenuto in tutto il ventennio successivo e che ha impedito ai socialisti della diaspora, salvo lodevoli eccezioni, non di parlarsi, ma almeno di tentare di ricostruire un discorso comune. Un’assurdità che è ancora più eclatante se la si colloca nello sfacelo del panorama politico attuale.
È da prima delle elezioni che il nome di Giuliano Amato (anche io lo davo tra i favoriti assieme a Romano Prodi in una risposta a un post recente) è ben presente tra i cosiddetti ‘addetti ai lavori’. Eppure mi sembra difficile che per chi ha le proprie radici politiche nel PSI, quello di oggi come quello di ieri, trovare un candidato migliore. Per carità, non è che l’uomo sia privo di difetti (e chi non e ha!) come è vero che in questi anni non si è esposto granché per rivendicare e sostenere le ragioni di chi ha continuato a sventolare la vecchia bandiera. Ha avuto le sue ragioni. Forse ha creduto che per la sinistra italiana il percorso dovesse essere diverso da quello di una ‘ricostruzione’ di quello che c’era, di un partito dei ‘reduci e combattenti’ o ha dubitato della qualità e della capacità dei leader in campo. Chissà. Le divergenze di opinione sono normali, legittime, anche tra i socialisti, ma quello che conta è un’impronta di fondo, un comune sentire che non mi sembra essere stato mai assente.
Eppure tra i socialisti non vedo alcun entusiasmo. Anzi emergono pubblicamente candidature alternative (Emma Bonino), degnissime, ma che dovrebbero seguire e non anticipare quella di Amato. Lasciamo perdere il PD, dove si preferisce sempre un ex democristiano a un socialista, ma tra i socialisti sparsi nei due poli? Tattica preelettorale per non ‘bruciare’ il candidato vero? No, piuttosto mi ricorda quanto avvenne con Sandro Pertini eletto ‘contro’ il Psi perché anche allora sembrava che tra socialisti non corresse buon sangue.
Luigi Capogrossi
Aprile 17, 2013 al 8:23 am - Rispondi
Amato è senz’altro il più esperto conoscitore della macchina istituzionale e della giungla organizzativa che è divenuto l’ordinamento statale burocratico italiano, ha una enorme comprensione della politica e una visione di lungo respiro: il problema è duplice, da un lato pesa su di lui l’oscura ma presente condanna senz’appello dei socialisti, dall’altra e soprattutto il culto del nuovismo che ha ubriacato tutte le forze politiche (si fa per dire) presenti in Parlamento. E soprattutto una realtà politica così disgregata può eleggere un buon presidente?
Luigi Covatta
Aprile 17, 2013 al 4:20 pm - Rispondi
Sul Foglio di oggi Sergio Pizzolante, per opporsi alla candidatura di Amato, tenta addirittura di contrapporgli Luciano Cafagna. Ma è impresa ardua anche per lui. Non a caso, del resto, quando nel 1993 lasciò la guida del governo Amato prese a prestito da Cafagna la tesi della continuità della partitocrazia fra il regime fascista ed il regime repubblicano, guadagnandosi anche un poco meditato rimbrotto di Norberto Bobbio. E Cafagna pensava evidentemente ad Amato quando, nella Grande slavina, contestava la retorica delle “facce nuove”: “Il problema non è quello di facce nuove – e sconosciute – ma di facce pulite e competenti, e quindi conosciute”, scriveva, perché “le facce nuove e sconosciute possono rivelarsi la peggiore feccia di questo mondo”.
Quanto poi a una sua presunta acquiescenza verso il pool di “Mani pulite”, è bene ricordare che Amato fu costretto alle dimissioni proprio per essersi intestato, insieme con Conso, l’unico tentativo concreto di dare una soluzione politica alla bufera giudiziaria che travolgeva i partiti. E del resto nell’intervista pubblicata nel libro che ho curato con Gennaro Acquaviva non mi sembra che in proposito abbia detto nulla di particolarmente originale rispetto agli altri intervistati.
Resta da chiedersi se Amato avrebbe potuto fare di più per contenere la diaspora seguita allo scioglimento del Psi. Pizzolante (che pure, se ricordo bene, fu tra i pochi a scommettere sul suo potenziale ruolo di federatore) pensa che non fece abbastanza. Ma, a giudicare dal rancoroso stato d’animo che ora manifesta, era forse una missione impossibile.
Nessun altro sarebbe più….. Amato! Tifiamo per lui.
Amato non è amato
I socialisti un problemino ce l’hanno, e neppure tanto piccolo. Si odiano. Mica tutti, per carità, ma in parecchi sì. Io penso che anche questa sia stata una delle ragioni che hanno portato il Partito socialista alla dissoluzione. Nel momento più grave di crisi, tra i vertici è mancata prima di tutto la solidarietà. È prevalsa l’acredine, la gelosia, lo spirito di rivalsa per qualche vecchio rancore e l’‘avversario’, meglio sarebbe dire ‘gli’ avversari dal PCI a una parte della magistratura e dell’establishment economico-finanziario, hanno avuto buon gioco nello sradicare letteralmente un partito che pure aveva superato discretamente bene il secolo di vita.
Un sentimento che si è mantenuto in tutto il ventennio successivo e che ha impedito ai socialisti della diaspora, salvo lodevoli eccezioni, non di parlarsi, ma almeno di tentare di ricostruire un discorso comune. Un’assurdità che è ancora più eclatante se la si colloca nello sfacelo del panorama politico attuale.
È da prima delle elezioni che il nome di Giuliano Amato (anche io lo davo tra i favoriti assieme a Romano Prodi in una risposta a un post recente) è ben presente tra i cosiddetti ‘addetti ai lavori’. Eppure mi sembra difficile che per chi ha le proprie radici politiche nel PSI, quello di oggi come quello di ieri, trovare un candidato migliore. Per carità, non è che l’uomo sia privo di difetti (e chi non e ha!) come è vero che in questi anni non si è esposto granché per rivendicare e sostenere le ragioni di chi ha continuato a sventolare la vecchia bandiera. Ha avuto le sue ragioni. Forse ha creduto che per la sinistra italiana il percorso dovesse essere diverso da quello di una ‘ricostruzione’ di quello che c’era, di un partito dei ‘reduci e combattenti’ o ha dubitato della qualità e della capacità dei leader in campo. Chissà. Le divergenze di opinione sono normali, legittime, anche tra i socialisti, ma quello che conta è un’impronta di fondo, un comune sentire che non mi sembra essere stato mai assente.
Eppure tra i socialisti non vedo alcun entusiasmo. Anzi emergono pubblicamente candidature alternative (Emma Bonino), degnissime, ma che dovrebbero seguire e non anticipare quella di Amato. Lasciamo perdere il PD, dove si preferisce sempre un ex democristiano a un socialista, ma tra i socialisti sparsi nei due poli? Tattica preelettorale per non ‘bruciare’ il candidato vero? No, piuttosto mi ricorda quanto avvenne con Sandro Pertini eletto ‘contro’ il Psi perché anche allora sembrava che tra socialisti non corresse buon sangue.
Amato è senz’altro il più esperto conoscitore della macchina istituzionale e della giungla organizzativa che è divenuto l’ordinamento statale burocratico italiano, ha una enorme comprensione della politica e una visione di lungo respiro: il problema è duplice, da un lato pesa su di lui l’oscura ma presente condanna senz’appello dei socialisti, dall’altra e soprattutto il culto del nuovismo che ha ubriacato tutte le forze politiche (si fa per dire) presenti in Parlamento. E soprattutto una realtà politica così disgregata può eleggere un buon presidente?
Sul Foglio di oggi Sergio Pizzolante, per opporsi alla candidatura di Amato, tenta addirittura di contrapporgli Luciano Cafagna. Ma è impresa ardua anche per lui. Non a caso, del resto, quando nel 1993 lasciò la guida del governo Amato prese a prestito da Cafagna la tesi della continuità della partitocrazia fra il regime fascista ed il regime repubblicano, guadagnandosi anche un poco meditato rimbrotto di Norberto Bobbio. E Cafagna pensava evidentemente ad Amato quando, nella Grande slavina, contestava la retorica delle “facce nuove”: “Il problema non è quello di facce nuove – e sconosciute – ma di facce pulite e competenti, e quindi conosciute”, scriveva, perché “le facce nuove e sconosciute possono rivelarsi la peggiore feccia di questo mondo”.
Quanto poi a una sua presunta acquiescenza verso il pool di “Mani pulite”, è bene ricordare che Amato fu costretto alle dimissioni proprio per essersi intestato, insieme con Conso, l’unico tentativo concreto di dare una soluzione politica alla bufera giudiziaria che travolgeva i partiti. E del resto nell’intervista pubblicata nel libro che ho curato con Gennaro Acquaviva non mi sembra che in proposito abbia detto nulla di particolarmente originale rispetto agli altri intervistati.
Resta da chiedersi se Amato avrebbe potuto fare di più per contenere la diaspora seguita allo scioglimento del Psi. Pizzolante (che pure, se ricordo bene, fu tra i pochi a scommettere sul suo potenziale ruolo di federatore) pensa che non fece abbastanza. Ma, a giudicare dal rancoroso stato d’animo che ora manifesta, era forse una missione impossibile.