di Livio Valvano

Una emergenza, una crisi o una guerra – perchè questa è paragonabile a una guerra – incidono profondamente nei rapporti tra individui e tra cittadini e comunità. Alle brutte – e qui siamo davvero alle brutte – il senso di giustizia intesa come equità nei rapporti sociali scala velocemente di posto: verso la vetta, nella classifica delle priorità. Dalle cose più semplici, come il giudicare il comportamento di un cittadino che cammina in strada durante il periodo delle restrizioni, al trattamento sanitario riservato ai vip e ai potenti, che secondo alcuni sono preferiti per accedere al tampone rispetto al normale cittadino (vedi il caso di Valeria Marini): fino ai rapporti economici che contrappongono la persona che non rischia nulla, cioè il ricco o il dipendente pubblico, rispetto al lavoratore precario (gli interinali, le badanti e la miriade di lavoratori occasionali, alla giornata, messi fuori gioco) e al lavoratore autonomo che invece naviga in mare aperto.

La crisi mette sul tavolo tutti i conflitti, li fa esplodere, li rende evidenti e costringe ad affrontarli fino al raggiungimento di un nuovo equilibrio. E’ un percorso che questa emergenza ha già attivato e che passa inevitabilmente, come sempre, dal ruolo di trasformatore della classe media. Se c’è una categoria che noi tutti abbiamo l’interesse a proteggere questa è quella delle “partite Iva”. L’arcipelago del lavoro autonomo: quasi 5 milioni di soggetti che fanno impresa o esercitano attività professionali, che ogni giorno contano su se stessi e rischiano per sè, le loro famiglie e i dipendenti che con loro lavorano. Il 90% del tessuto economico italiano, che dalla fine di febbraio, cioè da oltre un mese, ha iniziato a manifestare segni di cedimento.

Il governo ha predisposto delle misure, mettendoci molti denari, e altri ancora ne metterà. Ma sono provvedimenti sufficienti?

Sono utili ma non sufficienti, perchè non rispondono ai meccanismi di fondo di quel delicatissimo e strategico sistema: e non è un problema di quantità di risorse messe in campo, come strumentalmente e cinicamente la destra sta blaterando. Un esempio che vale per tutti: pensiamo a un piccolo negozio di abbigliamento. Si sarà impegnato per la stagione primavera-estate e cosi avrà stimolato la domanda per l’industria: insomma dall’ultimo anello della catena si mette in moto una filiera. Che se ne fa di 600 euro per un mese quel piccolo commerciante? Avrà bisogno di almeno 60 mila euro per saldare gli impegni finanziari assunti per la stagione che sta andando in fumo e per le vendite che non farà. Il suo destino è segnato, le perdite imprevedibili lo porteranno al fallimento.

Cosa possiamo fare allora? Intervenire con provvedimenti shock di sistema è l’unica via per uscire da una crisi bellica. Si potrebbe mettere in campo una moratoria di almeno un anno delle procedure esecutive su tutti i debiti accumulati fino ad oggi: anche i debiti commerciali, per mettere sullo stesso piano il piccolo operatore e l’imprenditore che ha una sufficiente dotazione di liquidità. Se gli diamo tempo di riprendersi quel piccolo commerciante potrà spalmare le perdite di questa stagione con i profitti dei prossimi anni.

Dobbiamo dargli tempo. A partire dal consolidamento dei debiti bancari (come si fece negli anni ’90) e dalla necessaria ristrutturazione dei debiti verso lo Stato, Equitalia, Inps e Agenzia delle entrate. Se al capitano Salvini lo Stato ha concesso 80 anni per restituire senza interessi i rimborsi elettorali indebitamente incassati (quindi frutto di una truffa), per le piccole e medie impreselo Stato deve almeno considerare di allungare i tempi, eliminando sanzioni e interessi e passando da 6 a 20/30 anni il rimborso delle rate sulle dilazioni concesse da Equitalia.

Così come lo Stato si procura liquidità grazie all’Unione europea, alla Bce ed ai risparmiatori che gli danno credito e quindi tempo per restituire, così oggi il mondo dell’impresa ha bisogno di tempo, fiducia e risorse, non di una mancia di sopravvivenza. Sarebbe un provvedimento di riequilibrio, di forte comprensione e di grande efficacia, alla portata del nostro bilancio statale: un provvedimento di fiducia nei confronti di chi si sforza di mantenere gli impegni facendone una questione di orgoglio. Molto prima degli 80 anni concessi la Lega Nord non ci sarà più: mentre il paese reale, con i piccoli imprenditori e le loro famiglie sì. Un gesto di equità che riconoscerebbe la coincidenza tra i destini del paese e quelli della classe media: cioè il motore del cambiamento della società nella storia.