Massimo Cacciari intervistato da Roberto Capocelli

Cacciari, insieme ad altri lei ha lanciato un appello per una nuova Europa. A sinistra si moltiplicano gli inviti all’unità, dalla “concentrazione repubblicana” di Nencini al “fronte repubblicano” di Calenda. Le proposte concrete sembrano però mancare.

Io credo che ci si debba mettere in cammino perché mi pare evidente che si sia chiusa una fase storica, non solo in Italia ma un po’ in tutta Europa. Una fase che vedeva protagoniste le grandi forze che poi hanno dato vita alla stessa Unione europea: penso alla tradizione social-democratica, alla tradizione popolare. Queste forze sono in crisi dappertutto e sono impegnate in una sorta di ricostruzione che deve presupporre la capacità di riconsiderare tutti i propri fondamentali. Quindi si tratta di aprire una discussione ovunque ci sia la buona volontà per farlo; nelle associazioni, nei movimenti, negli stessi partiti anche tradizionali, che se non si metteranno in radicale discussione sono destinati a scomparire.

 

Quali sono i soggetti che possono animare una trasformazione così profonda?

E’ un lavoro collettivo, non ci sono dei soggetti specifici: tutti noi e nessuno di noi.
L’appello per una Nuova Europa ha questo significato: è un invito a moltiplicare le iniziative, perché qui non si tratta di raccogliere firme. Si tratta di mobilitarsi affinché in ogni sede, in ogni ufficio, in ogni scuola, in ogni territorio, in ogni partito si apra una discussione intorno alla rifondazione dell’Europa, che certo può avere come soggetti soltanto forze che hanno una tradizione democratica, social-democratica, popolare: perché le altre forze che ormai si agitano in Europa hanno una visione opposta, cioè quella di andare a ricostruire sovranità statali e quindi disfare l’Unione.

 

Va molto di moda a sinistra dire “ripartiamo dai territori”, salvo poi smantellare tutte le strutture che permetterebbero di esserci davvero su quei territori. Ma se per miracolo fossimo capaci di tornare ad essere presenti sui territori cosa andremmo a raccontare?

Raccontiamo quello che sta avvenendo, cioè che siamo in una situazione nella quale crescono le diseguaglianze, e questo problema non si affronta con promesse più o meno demagogiche e tanto meno sfasciando l’Europa: perché la possibilità di affrontare una nuova stagione di progresso anche dal punto di vista del benessere si fonda su una ripresa dell’unione politica europea. E’ evidente che gli staterelli singoli saranno travolti dagli interessi economico-finanziari dei grandi imperi, è inevitabile. Quindi si deve fare un discorso di verità che cessi di avere quella totale subalternità culturale che la cosiddetta sinistra negli ultimi 30 anni ha avuto nei confronti dei processi di globalizzazione e di finanziarizzazione. Non si va più ad applaudire Marchionne. Certo, si dice che Marchionne ha incarnato il capitalismo contemporaneo: che però non ha al suo interno i servo-meccanismi, gli automatismi che permettano una redistribuzione più equa della ricchezza. Dobbiamo pensare a meccanismi che permettano di rilanciare il welfare: che certo va tutto riconsiderato e non può più avere i caratteri astrattamente universalistici che aveva nel secondo dopoguerra, nei decenni d’oro dell’egemonia anche culturale socialdemocratica. E’ un discorso difficile che parte da una riorganizzazione del movimento: perché se, appunto, non hai come è stato negli ultimi anni i privilegi o i meccanismi della cooptazione e della salvaguardia del gruppo dirigente dato, e non formi una classe politica a partire da ciò che ciascuno conta effettivamente nel suo lavoro nel suo territorio, nella sua professione. se non parti dalla rappresentatività reale della classe politica e non la formi mettendo alla prova tutti quelli che vogliono far politica su questo punto (della loro effettiva rappresentatività) finisci con l’avere appunto le persone che attualmente compongono la classe politica del Pd, che dovunque si presentano perdono.

E’ una situazione assurda. L’idea che Moro potesse perdere a Bari, o Andreotti a Frosinone o De Mita in Campania era non contemplata, non passava per la testa di nessuno. La forza dei grandi partiti di massa del passato era che ogni leader era stato messo alla prova, era rappresentativo in toto del proprio territorio e della propria regione: e questo è un elemento che si è perso totalmente. Oggi abbiamo movimenti di opinione, ma l’opinione è ballerina: un anno ti dà il 40% e tre anni dopo ti dà il 15. E questo accadrà anche con i nostri 5 stelle. Certamente, se le persone non intendono che la democrazia possa essere senza partiti organizzati, che il consenso si debba ottenere direttamente dal popolo, questa è una prospettiva possibile e che, tra parentesi, è la prospettiva che è stata praticata in Italia negli ultimi 30 anni: si pensa che non ci sia più bisogno di avere questa rappresentatività territorialmente radicata, basta un leader che sia telegenico e che convinca attraverso il blog: e quindi andiamo a caccia di questo leader. E’ stato cosi per il centrodestra come per il centrosinistra: a noi sembrano cose diverse, ma in realtà c’è una continuità assoluta tra Berlusconi, Renzi e i nostri Salvini e Di Maio. Tutti si sono appellati al popolo direttamente, tutti hanno visto le forme della rappresentanza con grande fastidio, tutti hanno detto che rottamavano e hanno preso i voti promettendo innovazioni fantastiche, tutti sono bulimici di potere. E d’altra parte è inevitabile che sia così, perché laddove non trovano alcuna forma di contraddizione anche culturale, laddove soprattutto la stampa negli ultimi 30 anni è andata avanti esattamente cosi, con la casta etc, distruggendo dovunque fosse possibile ogni forma di legittimità a cominciare dai partiti, l’effetto è questo. E’ stata una deriva culturale che dura da 30 anni, inarrestabile.

 

Cosa pensa della rete come strumento di democrazia diretta?

Quella della rete non è altro se non un’ideologia: la rete permetterebbe finalmente la democrazia diretta. E’ una palla colossale. Si tratta di fare una vecchia e sana critica dell’ideologia, come Marx fece la critica della filosofia del diritto di Hegel. In questa benedetta rete siete totalmente soli come quei personaggi individuati meravigliosamente da Crozza: la rete, infatti, individua e traccia. E basta. Ci vorrebbero far credere che schiacciando un bottone si possa decidere qualcosa, e non ci accorgiamo, innanzitutto, che le domande che vengono formulate sono formulate da qualcuno anonimo e segreto, un potere davvero occulto. Poi come viene combinato e trattato il risultato del nostro voto ci è altrettanto misterioso. Quindi siamo non solo individui impotenti, ma siamo anche nell’assoluta ignoranza, nella mancanza più totale di trasparenza sul meccanismo di formulazione della domanda e sul meccanismo per cui si giunge a definire un risultato. Lo ripeto: si tratta di una perfetta ideologia. La democrazia diretta non esiste, non è mai propriamente esistita, malgrado chiacchiere di vario tipo. La democrazia è democrazia rappresentativa. Si tratta di decidere se è una democrazia davvero partecipata oppure se è una democrazia autoritaria. I meccanismi e l’ideologia della rete conducono, alla fine, diritti dritti a Putin o addirittura al Partito comunista cinese.

 

Come si rende partecipata la democrazia?

Si rende partecipata la democrazia creando organizzazioni e forme di associazione e organismi sindacali, sia operai che padronali; strutture che sono tutte in crisi. E’ in crisi la Coldiretti, la Confcommercio, è in crisi la Confindustria, tutte le forme di intermediazione sono saltate e una democrazia che non ha questi corpi intermedi cessa di essere una democrazia: perché questa è fatta di corpi intermedi, è fatta di rappresentanze autonome, è fatta di sindacati e di partiti, e sono tutti in crisi. Non a caso “partecipazione” è una vuota parola, perché non si è mai espressa come partecipazione individuale, ma è sempre stata un processo collettivo: non è mai solitaria con il tuo computer da solo in casa. Questo è il punto fondamentale. Se non reagiamo culturalmente a questo andazzo finiremo con forme di democrazia autoritaria o di nessuna democrazia. E’ pacifico, niente di scandaloso: la democrazia è nata e la democrazia crepa come tutte le cose di questo mondo. Ma rendiamocene conto e smettiamo di fare delle sciocche ideologie indegne di persone che ragionano.

 

Eppure se un’ideologia prende tanto piede deve esserci un vuoto. Quale?

Nella storia ci sono ideologie tremende che hanno avuto un successo di massa anche attraverso le elezioni più legittime, più democratiche. Le ideologie possono avere un successo travolgente quando fanno leva su situazioni di crisi, di difficoltà, su situazioni di miseria: e quando soprattutto quelli che dovrebbero fare i democratici le sbagliano tutte, non capiscono niente della situazione e della composizione sociale e perdono ogni rapporto con i bisogni, con i problemi. Propri allora le ideologie più tremende si impongono. E’ folle pensare che perché un’ideologia è un’ideologia sgangherata non possa affermarsi. Dipende dalle condizioni di contesto, dipende chi si oppone a quell’ideologia. Siamo in un paese in cui le sinistre le hanno sbagliate tutte. Quindi o si crea un momento di grande discontinuità e si denunciano tutti gli errori commessi, tutte le incomprensioni e tutte le ignoranze, i peccati di negligenza e di ignoranza messi insieme, o non parte una nuova fase che abbia come obiettivo l’Unione europea. Ciascuno parte con le proprie caratteristiche ma con l’idea poi di stringere un accordo. Alle prossime elezioni europee ci può essere una componente socialdemocratica anche tradizionale e va bene, e poi tutte queste forze che secondo me socialdemocratiche non sono, come il Pd, Macron, Tzipras. Devono trovare un’intesa. Una Grosse koalition tra l’area socialdemocratica e quella popolare è l’unico modo perché non ci sia domani nel Parlamento europeo una maggioranza di destra con dentro magari prigioniera la Merkel. Ma perché questo avvenga, se noi ci presentiamo con le vesti tradizionali – il Pd in Italia, il Ps in Francia, non so chi sia sopravvissuto di socialista in Spagna – ma prendiamo il 5% , allora la Merkel a quel punto sarà costretta all’alleanza con gli Orban: costretta anche all’interno del suo partito e l’Europa è finita, e ce lo meriteremmo.

 

Quali priorità deve avere un progetto politico per salvare l’Unione europea?

Ovviamente la riforma delle istituzioni europee, poi la revisione di tutte le politiche sociali. E il pilastro della solidarietà, perché non può esserci un pilastro soltanto di stabilità. Ma questo progetto politico non viene messo in piedi perché si vuole difendere le proprie azioni del passato. E se non si va in questa direzione non c’è niente da fare: vinceranno Salvini, Orban, la Le Pen. E’ evidente. Se si continua ad andare avanti dicendo che si è fatto bene e la gente non capisce, allora si faranno capire mandandoci a ramengo completamente. Il problema non è andare a remengo noi: il problema è che dopo di noi ci sono Salvini e Orban. Auguri.