Come in un horror film, uno spettatore che riveda il film Romanzo criminale (un film di Michele Placido del 2005, tratto dall’omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo del 2002), ritrova, fuori dal film, vivo e vegeto il personaggio del Nero, cioè Carminati, un neofascista romano legato al terrorismo nero degli anni Settanta (soprattutto ai Nuclei Armati Rivoluzionari), ma anche agli ambienti della malavita, in particolare alla banda della Magliana.
Ma non siamo più negli anni Settanta, non c’è più la banda della Magliana (quei «quattro cialtroni», come poi avrebbe detto Carminati), e tuttavia, dopo anni di indagini e di registrazioni telefoniche, ecco come Carminati detto er Guercio dipinge il mondo della criminalità del 2012 (anno della registrazione effettuata dai carabinieri) rivolgendosi a Brugia, suo braccio destro, il «braccio militare» della nuova banda: «È la teoria del Mondo di Mezzo compa’. Ci stanno, come si dice, i vivi sopra e i morti sotto. E noi stiamo nel mezzo. Perché ci sta un mondo, un Mondo di Mezzo, in cui tutti si incontrano. […] Tu stai lì. Non per una questione di ceto. Ma di merito. Perché anche la persona che sta nel Mondo di Sopra ha interesse che qualcuno del Mondo di sotto gli faccia delle cose che non può fare nessuno». Così spiega il capo al suo braccio destro: nel Mondo di sopra stanno i potenti o presunti tali; nel Mondo di Sotto la manovalanza del crimine (Carlo Bonini, La regola del «mondo di mezzo», in la Repubblica del 3 dicembre 2014, p. 2).
Non è chiaro se Carminati sia consapevole del fatto che la Terra di mezzo è una regione del mondo mitico creato da J.R.R. Tolkien (1892-1973): si tratta del mondo abitato dagli esseri umani, stretto fra i ghiacci del nord e il fuoco del sud, oppure anche fra l’inferno e il paradiso. Anche l’Italia, in fondo, si trova stretta fra i gelidi ghiacciai alpini e le infuocate sabbie sahariane.
Ma di che si occupa la «nuova» banda? Secondo il Gip è intrecciata negli appalti e nella gestione di un’infinità di enti e attività romane. Dagli affari legati ai «punti verdi qualità» agli investimenti per le piste ciclabili, dalle commesse del Comune e delle società municipalizzate alla gestione dei campi rom e delle strutture per stranieri richiedenti asilo e minori non accompagnati, dalla raccolta dei rifiuti alla manutenzione del verde pubblico. Secondo gli inquirenti si tratta di un gruppo «d’indiscutibile potenza economica, evidenziata dai 60 milioni di euro di fatturato consolidato (R. Frignani – I. Sacchettoni, Rom, rifiuti, parchi. La Cupola capitolina e gli affari sporchi, in Corriere della sera-Roma del 3 dicembre 2014, p. 2). Sono stati arrestati in 37, e sono circa un centinaio gli inquisiti: fra di essi amministratori e funzionari pubblici, ex dirigenti di importanti società del Comune; e la maglia forse si andrà allargando.
Ciò che è importante, a questo punto, non è solo il lavoro della procura di Roma, della polizia, dei carabinieri e dei finanzieri, ma anche la reazione delle forze politiche e dell’opinione pubblica, al di là delle reazioni immediate che hanno portato il vecchio sindaco Alemanno (inquisito) a sospendersi dal suo partito e alla sospensione di alcuni politici capitolini del Pd, anch’essi inquisiti. I partiti sono consapevoli del grande lavoro di disboscamento interno e di ricostruzione su basi differenti dell’attività politica che va compiuto?
Appaiono importanti anche alcune altre questioni: in primo luogo è evidente che la politica deve allontanare da sé il più possibile la gestione di società municipalizzate o comunque partecipate e divenirne invece organo di controllo e di verifica. In secondo luogo va superata la politica dell’emergenza: che sia gestione di immigrati, di rifugiati politici, di minorenni soli, di disastri ambientali, dell’immondizia, del verde pubblico, tutto in Italia è «emergenza» e andrebbe invece ricondotto a un insieme di procedure di intervento ben discusse e definite, anche sul piano amministrativo, in modo da evitare che l’incertezza possa generare abusi: naturalmente rivedendo con competenza e attenzione non minore di quella mostrata dalla banda mafiosa (ma con obiettivi differenti) le norme di appalti, subappalti e forniture, per evitare che fra gli interstizi si introducano le borse capienti della criminalità. Infine occorre capire che se la politica non riceverà più contributi statali occorrerà ripensare le modalità accettabili e corrette con cui possa autofinanziarsi.
La vera novità infine consisterebbe nell’evitare la solita reazione moralistica del passato, la sceneggiata pubblica di tanti dirigenti sulla mancanza di moralità, l’invocazione di un impossibile ritorno di «qualcuno» dal passato: strapparsi i capelli in pubblico, ricoprirsi (metaforicamente) il capo di cenere serve solo a mascherare nuove collusioni, nuove corruzioni, nuove azioni delinquenziali. Non pare proprio che la «società civile» sia più civile dei quadri politici, ma la politica appare debole e incapace di prendere decisioni. Forse lavorare per rendere le istituzioni democratiche più forti, per ridurre il numero dei continui ricorsi alle elezioni, per fissare un quadro politico-istituzionale stabile ed efficiente è la migliore risposta che si possa mettere in campo.