Il 25° anniversario della morte di Bettino Craxi è stato celebrato da molti e in molti modi, al punto da far ritenere che sia finita la damnatio memoriae nei confronti suoi e dei socialisti. È però importante fare chiarezza sugli autori politici di questa celebrazione, perché solo così se ne possono ricostruire le ragioni.

Le scelte e le occasioni sono state diverse. Nella presenza fisica al cimitero di Hammamet, la destra di governo è stata nettamente prevalente, col Presidente del Senato e col Ministro degli Esteri. Una presenza accompagnata peraltro da dichiarazioni che talvolta rivelavano un’intenzione di appropriazione politica storicamente inconsistente e illogica. La storia socialista, dall’inizio alla fine, è nella sinistra. Non si possono scambiare per un cambio di passo le attenzioni e il rispetto di Craxi per Almirante e per il Movimento Sociale, che volevano casomai testimoniare un modo di vivere l’antifascismo diverso da quello che i comunisti avevano mantenuto per decenni.  Il fatto è che la stessa damnatio memoriae è nata e ha prosperato nella sinistra da parte di chi non riusciva ad ammettere diversità interne, e aveva visto nella sfida degli anni Ottanta una minaccia letale alla propria identità e nella soluzione giudiziaria di Tangentopoli un modo per superarla senza pagare pegno.

In occasione dell’anniversario, si sono espressi importanti protagonisti di quella storia quali Umberto Ranieri e Goffredo Bettini. Ranieri aveva già criticato spesso la posizione del PCI nei confronti di chi “perseguì un disegno strategico: recuperare al socialismo italiano la fisionomia originaria e autonoma che aveva smarrito nella morsa della doppia subalternità al Pci e alla Dc”. Il suo giudizio critico consiste anche nella “risposta inadeguata” della cultura comunista alle sfide lanciate su Mondoperaio.  E gli errori che imputa a Craxi nell’ultima fase della sua segreteria sono errori di carattere politico.

Inedite sono le valutazioni di Bettini sul protagonismo socialista degli anni Ottanta, con un bilancio in chiaroscuro fra “coraggio, tempismo, importanti intuizioni” e un “ottimismo perverso”, che incoraggiò i “comportamenti spreconi, goderecci e volgari” che saranno “la base antropologica del trionfo di Berlusconi”, e soprattutto quella sul “giudizio povero e opportunista” con cui il Pds rispose alla chiamata di correo per tutti i partiti compiuta da Craxi nel discorso alla Camera del luglio 1992.  I post-comunisti avrebbero dovuto ammettere, scrive, di essere “pienamente parte di un sistema politico istituzionale arrivato alla frutta. Perché gestiamo insieme agli altri partiti la sanità pubblica. Perché il sindacato all’interno delle grandi aziende di Stato decide parte delle assunzioni; perché il 30% del mercato degli appalti nell’edilizia è destinato alle cooperative”.

Detto da uno dei più berlingueriani, non è poco. Resta il silenzio della nuova dirigenza del PD. E se sarebbe privo di senso parlare di rimozione, per ragioni generazionali, rimane difficile non vedervi troppa leggerezza per una storia alla quale neanche giovani dirigenti politici dovrebbero credersi estranei.

Molto significativo il contributo di storici e giornalisti, da Andrea Spiri, curatore di Bettino Craxi. Lettere di fine Repubblica, a Fabio Martini, Controvento, da Aldo Cazzullo, Craxi L’ultimo vero politico, alla nuova edizione di Massimo Franco, Il fantasma di Hammamet. Questi libri, che sono stati o saranno recensiti sulla rivista, segnalano un complessivo cambiamento rispetto alle reticenze del passato. Si aggiunga la trasmissione del film di Gianni Amelio Hammamet in prima serata su Rai Uno.

Nel  ritratto tracciato dal Presidente Mattarella, si trova infine condensato cosa rimane di Bettino Craxi nella storia della Repubblica: egli “ha impresso un segno negli indirizzi del Paese in una stagione caratterizzata da grandi trasformazioni sociali e da profondi mutamenti negli equilibri globali.”, sia quale “interprete autorevole della nostra politica estera”, sia quale autore di politiche che “incisero sulla finanza pubblica, sulla competitività del Paese, sugli equilibri e le prospettive di governo”.  Altrettanto significativi i riferimenti alla fase finale del suo percorso politico: “La crisi che investì il sistema politico, minando la sua credibilità, chiuse con indagini e processi una stagione, provocando un ricambio radicale nella rappresentanza. Vicende giudiziarie che caratterizzarono quel burrascoso passaggio della vita della Repubblica”. Per collocare anche questa fase in una dimensione storica, il Presidente adopera un approccio sistemico. Approccio tanto più necessario dopo i barbari ricorsi alla tecnica del capro espiatorio che abbiamo conosciuto.

Siamo, forse, a un giro di boa. Certo è che quanti vorranno tornare a riflettere sugli anni di Craxi troveranno una vasta serie di contributi dei protagonisti di allora e di accurate ricostruzioni storiografiche, che grazie alla Fondazione Socialismo sono stati pubblicati da Marsilio e dal Mulino. Un patrimonio che Gennaro Acquaviva ha accumulato in questi lunghi anni, per metterlo a disposizione di tutti e salvare una tradizione che ha ancora molto da dire.