Ricordo che al liceo, a fine anni ’80, per un’oretta emerse la questione di Roma capitale, grazie a un’associazione di idee fra il pensatore Campanella e lo studioso Luigi Firpo (di cui di certo non pochi ricorderanno le provocazioni sulla scarsa attitudine dei “romani” a incarnare il ruolo di primi cittadini d’Italia). In classe vivevamo quei discorsi come un motivo per comprendere meglio la geopolitica del paese, e (perché no?) come un modo per collegare il passato al presente. Nessuno, credo, neppure per un istante, pensava sul serio di trasferire la capitale della Repubblica.
Ecco: spesso notiamo che gli intellettuali “di” partito si sono quasi estinti. Ancora vi sono, però, quelli “pubblici” (persone di studio più propense di altre a uscire dalla torre d’avorio e a confrontarsi sui problemi emergenti). Il problema è che si tratta di una cerchia troppo ristretta di autori, e per di più paiono sempre gli stessi. E se si provasse a rinvigorire quella forma di partecipazione alla vicenda nazionale e globale?