L’altro giorno a palazzo San Macuto Guido Crainz, nel congratularsi con Filippo Ceccarelli per l’archivio personale da lui donato alla biblioteca della Camera (che contiene soprattutto ritagli della stampa quotidiana), per sottolinearne l’importanza ha osservato che oggi è proprio la stampa quotidiana ad ospitare il dibattito pubblico più qualificato, che invece un tempo si svolgeva sulle riviste.
Sarà che per argomentare la sua tesi Crainz ha citato, oltre al Mulino, anche “il mitico Mondoperaio degli anni ‘70”: ma in quanto direttore del meno mitico Mondoperaio degli anni 2000 non ho potuto fare a meno di essere colto da un dubbio esistenziale e di pormi qualche domanda (oltre che di recitare mentalmente un mea culpa).
In attesa del perdono divino, passo alle più laiche domande. Come mai la rivista che ora dirigo è sostanzialmente esclusa dal dibattito pubblico? Tralascio le scemenze sul digitale e sull’obsolescenza della carta stampata, so anche che è caduto il muro di Berlino e che c’è la crisi delle ideologie, e vengo al dunque. Mondoperaio non è più “mitico” perché il Psi è crollato? Vero: ma anche negli anni ’70 il (grande) successo della rivista non coincideva col (modesto) successo del partito. Perché non c’è più Bobbio? Vero: ma non è che nella stampa quotidiana ora si veda l’ombra di un filosofo alla sua altezza. Perché fra i trentenni di oggi non ci sono emuli di Ernesto Galli della Loggia o di Giampiero Mughini? Forse: ma anche fra i nostri più giovani collaboratori ce n’è di mica male. Perché non ci sono più Rinascita e La Discussione? Probabilmente è l’unica risposta sensata, anche se Mondoperaio non è stato mai organo stretto di partito.
E allora? Guardando Ceccarelli mi è venuto in mente che Lamberto Sechi lo assunse a Panorama quando aveva poco più di vent’anni. E che del resto io stesso (che anche allora non ero nessuno) a poco più di trent’anni avevo libero accesso alle colonne della Repubblica di Eugenio Scalfari. Mi sono quindi chiesto da quanti anni non si assume più un ventenne in una redazione e non si allarga ai trentenni la cerchia dei collaboratori. Come se i trentenni degli anni ’70, felicemente salvati dal disincanto degli anni ’90, avessero fissato un ferreo numero chiuso: con le conseguenze che si possono apprezzare sia per la qualità del dibattito pubblico che per quella dell’informazione.