Cara amica,

ho avuto finalmente modo di leggere sul blog di Walter Tocci le sue argomentazioni sulla scuola che mi avevi segnalato. Evidentemente si aggiungono a quelle (non troppe in verità) di altri che avevo cercato per capire i motivi di tanta opposizione alla proposta del governo. Devo dire che si sono aggiunte alle precedenti senza mutare la mia impressione di fondo: che la scuola, e soprattutto la condizione dell’insegnante, siano una realtà così ingarbugliata da rendere (quasi) impossibile generalizzare.

Quanti status ci sono di “insegnante”? Di ruolo, abilitati, in graduatoria e confermati ex articolo X, in graduatoria ma non confermati, da Gelmini, da non-Gelmini, da concorso Y e non Z, con clausola, senza clausola, incardinati a livello regionale, che messi in regola devono cambiare regione. Ho letto settimane fa, sulla Stampa di Torino, la lettera di un’insegnante che, supplente da decenni nel suo paese, è contro perché, assunta (come le toccherà con questa legge), dovrà andare ad insegnare (abitare) in un’altra città e regione: dopo avere ormai cronicizzato decenni di incarichi “alla persona” (incertezza, relazioni, regali) ora è contro la stabilizzazione.

Una confusione pazzesca, dove una cosa è chiara: ciascuno – per tutelarsi nei rapporti con il posto di lavoro, con il preside, per incarichi, supplenze, ecc., nei rapporti con le famiglie degli alunni (spesso ostili) ecc. ecc. –  nel corso degli anni ha avuto, ha e avrà bisogno di amicizie, e soprattutto del sindacato. Quanti sindacati ci sono nella scuola? Neanche qui si può parlare in generale, come vorrebbe un discorso fondato nel merito e “politico”: perché nessuno parla di “unità sindacale”, neppure dopo questa travolgente, vivificante, eccitante, esperienza di “lotta”?

E’ questa condizione (e non intendo parodiarla ma riassumerla come posso, non avendo avuto la pazienza di annotare tutte le sigle indicative delle condizioni personali degli insegnanti) che secondo me spiega perché sono “tutti” contro e come mai tutti i sindacati coalizzati sono riusciti a portare in piazza e a rappresentare l’allarme e la preoccupazione di tanti insegnanti. Questo spiega anche perché nonostante siano in gioco 100.000 assunzioni in ruolo (centomila!) non ci siano state manifestazioni o prese di posizione a favore della proposta del governo: perché in sede di applicazione serviranno – eccome – i sindacati, e le relazioni e le amicizie. Altro che i principi e i diritti e la libertà di insegnamento.

E la faccenda dei “presidi-sceriffi”? Non siamo, purtroppo, in un western all’italiana. E’ chiaro che questa frantumazione dei poteri di fatto ai quali è appesa (informalmente) da anni, da decenni, la vita degli insegnanti, veda come il fumo agli occhi una proposta di cambiamento centrata (anche) su una nuova declinazione di un ruolo non marginale: la responsabilità del governo quotidiano della scuola non in generale, ma di quell’istituto lì, di quel plesso scolastico lì.

A farla breve: sai qual è il vero difetto della proposta del governo, in questo contesto? Che è una proposta di legge, cioè è “formale”: mentre la scuola italiana è da decenni la preda di tanti poteri “informali”, compresi quelli “democratici” come i sindacati. Che vogliono continuare ad avere le mani in pasta,  e – quel che è forse decisivo – continueranno ad averle. Che è poi quello che vuole Walter Tocci.