Vi sono due possibili letture del nuovo governo. La prima, quella più facile e sostanzialmente accreditata dagli stessi protagonisti, sottolinea la volontà di un governo di legislatura in grado di fare le riforme necessarie al paese. In quest’ottica i necessari compromessi e i condizionamenti che Renzi ha subito sono da ritenere il prezzo da pagare per avere una compagine più solida e con minori instabilità al suo interno; sono la mossa furba di un leader sicuro di poter indirizzare una squadra di governo verso gli obiettivi da lui definiti, rispondenti a quell’idea di riforma della politica italiana e di grande trasformazione dello stato che, con grande efficacia e notevoli capacità di convinzione, è stata proposta nei mesi passati. La stessa assenza – da alcuni commentatori notata – di grandi personalità e di figure dotate di un alto profilo professionale e di autonomo carisma, acquisito indipendentemente dalla collocazione politica, sarebbe funzionale ad un disegno in cui la volontà di cambiamento espressa del premier possa più duttilmente concretarsi nell’attività di governo.
Ma v’è anche una lettura meno scontata, che presupporrebbe una disincantata e lucida consapevolezza da parte di Renzi dei vincoli all’interno dei quali è stato costretto a forgiare la propria squadra di governo e insieme la disponibilità ad effettuare un ulteriore colpo d’azzardo, senza paura di attuare scelte rischiose. In questo caso, il governo, col suo frettoloso formarsi sulle spoglie di una esecuzione da molti giudicata impietosa del suo predecessore e collega di partito, non avrebbe lo scopo di permettere il compimento di una legislatura, ma di costituire la premessa affinché – incassata l’unica riforma cui è davvero interessato, quella elettorale – Renzi possa andare alle elezioni chiedendo un consenso convinto da parte dell’elettorato per poter governare senza condizionamenti e vincoli da parte della “vecchia politica” e senza il ricatto dei partitini. Ciò spiegherebbe il sacrificio di un accordo con Berlusconi sull’Italicum, che certo non lo ha reso popolare agli occhi della sinistra e di molta parte del suo partito. Esso gli permetterebbe infatti di ottenere tre consistenti benefici: le liste bloccate della nuova legge elettorale porterebbero a una rappresentanza parlamentare Pd a lui fedele, così scongiurando ogni pericolo d’agguato, allo stato possibile; si avrebbe una notevole semplificazione del quadro politico con la quasi scomparsa dei partiti minori, ivi compreso quello di Alfano; si otterrebbe la definitiva uscita dai giochi di Berlusconi, costretto ormai all’opposizione per una legislatura.
Ma in fin dei conti le due ipotesi non sono in contraddizione, perché o questo governo si lascia plasmare dalla volontà del premier, dimostrandosi un docile strumento nelle sue mani; oppure, in caso contrario, avrebbe esso la possibilità di attuare l’azzardo descritto, che ha buone probabilità di riuscita. In entrambi i casi sarebbe una vittoria per Renzi. L’unica cosa che non può permettersi (e che l’Italia più non sopporterebbe) è una navigazione a vista, priva di prospettive, invischiata nelle mediazioni quotidiane con le varie anime che compongono il governo, un tirare a campare solo in nome della eterna, immarcescibile volontà di gestire il potere per il potere.