Le dimissioni dal Pd di Sergio Cofferati, che ha contestato brogli nelle primarie per la candidatura a presidente della Regione Liguria, ha finalmente messo a nudo un sistema di selezione del personale politico tutt’altro che democratico.
Com’è noto le primarie sono uno strumento di partecipazione mutuato dagli Stati Uniti. In quel sistema politico, basato su di un consolidato sistema bipartitico ad elevata alternanza, la sovranità è espressa da una classe elitaria, espressione di lobby economiche e sociali, con una partecipazione popolare minoritaria.
Il ricorso alle primarie è l’implicita ammissione della carenza di democrazia nella politica nazionale e della sua degenerazione oligarchica, come spiegano bene Luciano Canfora e Gustavo Zagrebelsky nel loro recente libro “La maschera democratica dell’oligarchia”: “Nei nostri regimi democratici perciò, quando l’oligarchia si instaura, lo fa mascherandosi, senza mai presentarsi apertamente, come un’entità usurpatrice”.
Si guardi a ciò che è avvenuto in Italia: la mancanza della sovranità monetaria e di buona parte di quella economica, i governi del “presidente” non usciti dalle urne, la sterilizzazione del Parlamento, nonché lo svuotamento leaderistico delle forze politiche, alcune delle quali in preda ad una grave deriva populistica. Nella sostanza il popolo è stato progressivamente privato di quella sovranità che gli è formalmente riconosciuta dalla Costituzione.
E’ la crisi della democrazia rappresentativa, che è a sua volta frutto della crisi dei partiti. Profetiche appaiono le parole di uno dei padri costituenti e maestro di diritto, Piero Calamandrei, che già nel luglio 1948 in un articolo pubblicato sulla Rivista “Il Ponte” denunciava che “I partiti da libere associazioni di volontari credenti si sono trasformati in eserciti inquadrati da uno stato maggiore di ufficiali e sottoufficiali in servizio attivo permanente: nei quali a poco a poco si intiepidisce lo spirito dell’apostolo e si crea l’animo del subordinato, che aspira ad entrare nelle grazie del superiore. La elezione dipende dalla scelta dei candidati: la quale è fatta non dagli elettori, ma dai funzionari di partito. E i candidati, più che per meriti personali di specifica competenza professionale, sono scelti per le loro attitudini a diventare buoni funzionari del loro partito in Parlamento” (oggi dipendenti del loro leader nelle assemblee elettive).
Ora ci si accorge che così non può essere, che la politica, per riprendere il suo ruolo, deve essere innanzitutto rappresentanza e partecipazione, a meno che non si voglia lasciare tutto nelle mani della finanza e delle istituzioni tecnocratiche sovranazionali. Ma se le primarie sono l’ammissione della carenza di democrazia nei partiti, la democrazia italiana si potrà salvare solo se ai partiti, che oggi sono semplici associazioni di privati cittadini, verrà dato uno status legale e i meccanismi di selezione, partecipazione e rappresentanza interna saranno regolati per legge, ricordando la previsione costituzionale dell’art. 49. Prima ancora che la riforma elettorale e quella istituzionale, il nostro paese avrebbe bisogno di una legge sui partiti.