“Con buona pace dei difensori del Bene Comune, l’Italia non è la Scandinavia: qui ciò che è pubblico è pagato da tutti, ma appartiene soltanto ai partiti e ai loro analfabeti di riferimento. Per questo è meglio, o comunque meno peggio, avere dei padroni che dei padrini. Se non altro ci costano meno”. Così ha chiuso il suo Buongiorno di Ferragosto Massimo Gramellini, vicedirettore della Stampa, riferendosi all’annuncio che lo stipendio del prossimo ct della Nazionale italiana di calcio sarà pagato “al sessanta per cento da una multinazionale di scarpette”.
Fra gli addetti ai lavori e i commentatori non è l’unica chiave di lettura di quella scelta, ma certo è quella che più si spinge nel filosofico. Davvero l’Italia non è la Scandinavia. Forse Gramellini non lo sa (o, com’è possibile, la smania di essere spiritoso e “di mondo” sul mercato dell’opinione e dei suoi valori editoriali lo fa scivolare nella smemoratezza): nella storia d’Italia la rassegnazione al malgoverno autoctono e l’acquiescenza e la subalternità ai poteri dominanti, per alcuni secoli anche stranieri, hanno marcato (o marchiato, sempre da “marca” viene) la nostra coscienza e la vita pubblica nazionale, non di rado guidate da apostoli e letterati “non conformisti”.
Oggi l’omaggio è reso alla monocultura pubblicitaria dominante, e c’è chi – anche per un’avarizia anch’essa antica – non ripugna all’idea di darsi dei padroni. Certo, non bisogna drammatizzare: in fondo si tratta soltanto di una sfera elastica presa a calci da una squadra di mercenari episodicamente in “maglia azzurra”: se proprio attorno all’Italia protagonista del calcio mediatizzato non avessimo visto crescere e consolidarsi, in forme e intensità senza precedenti, quel poco che abbiamo di sentimento condiviso della nazione italiana – l’unico, forse, in cui ci si ritrova periodicamente “senza se e senza ma”.
Una bella sintesi di spirito pubblico e di pubblicità commerciale da parte del gruppo dirigente della Federcalcio appena eletto; e, in questo Buongiorno, un simbolo di cittadinanza sotto padrone, un nuovo traguardo della nostra modernità traballante.