La cornice della presentazione è quella delle “istituzioni inutili”, il Cnel. La scelta di De Rita è storica (qui nacque il Rapporto con Campilli presidente); affettiva e orgogliosa (De Rita lo ha presieduto con una certa efficacia per dieci anni); e argomentativa (l’efficacia sociale delle istituzioni è una parte della critica del presente del nuovo Rapporto).

Le prime tre righe del testo sono collocate nella logica narrativa della comunicazione pubblica, cioè segnalando le parole del dibattito che rivelano lo stato delle cose: Dopo anni di trepida attesa, la ripresa non è arrivata, non è più data come imminente; e quasi si ha il pudore, forse la stanchezza, di continuare a usare un termine ormai consumato nel racconto collettivo“. Dice De Rita: “Non si parla più di sviluppo, ma di ripresa. E siccome la parola si è consumata, ora in giro la parola corrente è “reggiamo!. Un segnale di attendismo opaco, che va sostituendo le imprecazioni contro la crisi, lasciando però senza connotazioni la risposta su come possiamo uscirne.

Il giudizio di fondo che il Rapporto contiene potrebbe riassumersi in questa sintesi: siamo il paese del capitale inagito. Infatti le famiglie appaiono più liquide: ma restando dominate da incertezze e da percezione di insicurezza i soldi sono parcheggiati sotto il materasso, tanto che il mercato immobiliare si è nettamente dimezzato. Al tempo stesso le imprese – quelle che sopravvivano alla falcidia – presentano conti migliorati e un cresciuto patrimonio netto, ma l’incidenza degli investimenti sul Pil è al minimo storico dal primo dopoguerra. Infine è vero che il “made in Italy” corre (turismo compreso, con l’Italia al quinto posto nel mondo) ma il paese rischia di marginalizzarsi nel sistema internazionale.

Parrebbe l’evidenza del “luci ed ombre” di tanti rapporti sull’Italia. Ma ci sono alcune novità. Il cantore della società italiana concepita come un soggetto collettivo che elabora meglio di altri paesi dolori e opportunità, e che quindi alla fine la sfanga e ce la fa sempre, questa volta alza bandiera bianca. Dai e ridai, così la società italiana non ne viene fuori. Si incista nel suo disagio, nella sua insicurezza e tiene ferma la moneta che – De Rita lo dice parafrasando San Bernardino da Feltre (francescano del ‘300) – così non diventa capitale.

Colpa della società o colpa delle istituzioni? Colpa, si legge nel Rapporto, di un sistema-paese liquefatto. Ancora De Rita: “Usiamo pure l’espressione di Baumann, la società liquida. Ma la società liquida ha liquefatto il sistema. Anzi, i sistemi. Il sistema parlamentare c’è’ ancora? il sistema burocratico c’è ancora? Il sistema dei contratti c’è ancora? E ed è così che la crisi di sistema produce adattamento alla mediocrità“.

Qui la narrazione sociologica del Rapporto (ovvero delle Considerazioni generali) ha un’impennata letteraria. Va alla ricerca di mondi vitali e in verità li trova. Ma li trova come monadi autoreferenziali, orizzontali, vivaci e in ebollizione interna: ma incapaci di gerarchizzarsi, ovvero di generare efficacia sociale, valore aggiunto per gli altri e per la società tutta. E inventa la categoria delle “sette giare”. “Mondi separati e vitali ci sono, ma sono vitali dentro di sé, senza avere adeguata efficacia esterna. Così come non hanno alcuna gerarchia. E sono mondi pubblici e privati, che riguardano (appunto le sette giare) finanza, politica, istituzioni, sommerso, commercio, gente comune e persino il mondo della comunicazione ormai più dedito alla rappresentazione personale che all’interpretazione sociale”.

Quasi in colpa rispetto alla tradizionale autonomia sociale di tanti rapporti Censis, ora è proprio De Rita a invocare la politica:“Renzi parla del rilancio della politica. Ma non basta dirlo, fin qui occupandosi solo di riforme riguardanti la politica stessa (Senato, Province, Legge elettorale). Bisogna intendere la politica come robusta interpretazione dei cambiamenti e soprattutto come indirizzo delle aspettative“.

Il finale riporta la bussola all’aggiornamento della visione degasperiana: riforme sì, ma con il paese che comprende e partecipa. De Rita vede spunti di autoritarismo che serpeggiano in Europa (con le loro diversità, dalla Merkel a Putin) tesi ad esprimere (in una logica europea che ancora non è sganciata dal ruolo degli Stati) la volontà appunto degli Stati di evitare che liquefazione, populismo, demagogia, incarognimento, facciano saltare la democrazia. Molti lo auspicano, ma il tema, dice in conclusione, è iscritto nel capitolo “rischi”.