In occasione della presentazione del libro La gogna di Alessandro Barbano1il professor Sabino Cassese ha raccontato di un commento a un suo ex allievo divenuto un magistrato della repubblica: gli faceva notare che sebbene fosse molto scrupoloso e competente nel suo operato in tribunale fosse del pari insensibile all’auto governo del sistema giudiziario: “se ti cadesse un pezzo del tetto mentre scrivi le tue sentenze non te ne accorgeresti nemmeno” Così più o meno riferiva il professor Cassese.

Si potrebbero aggiungere le geremiadi di importanti sociologi che non perdono occasione per sottolineare l’importanza dei corpi intermedi e lamentarne lo scarno coinvolgimento, anche in questo caso senza un approfondimento su cosa sono via via divenute le strutture di rappresentanza, i loro apparati, le risorse di cui beneficiano.

Viene da chiedersi il perché di analisi a mezza strada.

Se i due cardini dello stato moderno sono una amministrazione efficiente e il senso di appartenenza dei cittadini, in Italia sono assenti tutti e due. Magistrati, sindacalisti e le altre miriadi di corporazioni o associazioni sono come il resto degli italiani e delle italiane, le ombre sono le stesse.

La nostra è una società dove il rapporto tra carriera e risultati misurabili con la realtà è sempre stato ininfluente. Il nostro è un sistema con un suo profondo equilibrio, restio ad essere riformato in quanto le diverse componenti che si sono venute intrecciando hanno un sostrato comune: un radicale individuali­smo, tanti e diffusi interessi da proteggere, una grande capacità metabolizzatrice.

Da noi si sono sviluppati nel tempo conglomerati sociali che hanno come interesse primario l’autoconservazione; costi quel che costi si oppongono ad ogni riforma e lavorano a delegittimare chi si pro­ponga in qualche modo di cambiare, di migliorare. Il destino dei nostri riformatori sta a mostrarlo.

Siamo un conglomerato di corporazioni autoreferenti e a toccarne una si correrebbe il rischio di sciogliere la matassa che tutte le tiene: scuola, università, medicina, giustizia, e chi più ne ha ne metta. Ognuna autoreferente, intoccabile. Non vi è un vero e proprio costume in grado di innervare il contesto sociale, non vi sono regole condivise e di fronte all’assenza di un ethos comunitario prevalgono gli interessi autoriferiti.

Quanto lamentano il professor Cassese o altri del pari, non avviene a caso o per malasorte: il capitale sociale di un popolo, il suo carattere, sono necessariamente connessi alla sua storia, a radici che li determinano, innescano un circuito di alimentazione, un retrofit. E i nostri vizi si ripetono da secoli, potremmo almeno risalire alla fine del Rinascimento: miopia temporale, gelosa difesa del particolare, ripetizione di formule che diventa un vero e proprio tic culturale, la sedimentazione burocratica che rappresenta le precipitazioni degli elementi sostanziali del carattere. E’ la nostra lunga storia che ha reso solide le regole del sistema e più che cambiarle, occorre, per chi opera, adattarvisi il più abilmente possibile.”2

1 Il 5 dicembre 2023 al Maxxi di Roma.

2 Alberto Asor Rosa, Machiavelli e l’Italia, Einaudi, 2019, pag.198.