Il direttore di Mondoperaio e molti collaboratori della rivista hanno diffuso un documento per sostenere il Sì nella prossima consultazione referendaria. Di seguito il testo dell’appello ed il dibattito aperto da Gianfranco Pasquino
Sono passati quasi quarant’anni da quando, sulle colonne di Mondoperaio, si aprì il dibattito sulla riforma della Costituzione. Allora la nostra era una vox clamantis in deserto, anche se già da allora era evidente la necessità di correggere la deriva assembleare in cui era caduto il nostro parlamentarismo.
Fra di noi non mancò chi, sulla scia di quanto sostenuto alla Costituente da Piero Calamandrei, propose addirittura di mutare radicalmente la forma di governo in senso presidenzialista. Ma tutti comunque convenimmo sull’opportunità di rafforzare l’esecutivo e di semplificare il procedimento legislativo, anche sull’esempio di altre democrazie europee che pure avevano adottato la forma di governo parlamentare.
Poi le vicende dei primi anni ‘90 fecero sì che si operasse una cesura nella continuità del sistema politico con una semplice riforma elettorale, prescindendo dalla pur necessaria revisione della Costituzione: ed avere preferito regolare diversamente dal passato i rapporti di forza senza provvedere a regolare di conseguenza i rapporti fra le forze è fra le cause non ultime della crisi politica che stiamo vivendo.
A sanare questo vizio d’origine del nuovo sistema politico, del resto, non sono serviti neanche i velleitari tentativi di mutare la forma di Stato in senso federalista: ed è anzi fra i meriti della riforma che verrà sottoposta a referendum avere corretto le incongruenze che di quei tentativi sono state il frutto. Senza dire che portare nella legislazione nazionale il punto di vista delle Regioni varrà a superare conflitti di competenze che attualmente si affollano davanti alla Corte costituzionale, quando non sfociano addirittura, come è avvenuto di recente, nella convocazione di referendum popolari.
Quanto ai rapporti fra governo e Parlamento, non si può ignorare che oggi, benché il governo non sia così forte come in altri paesi, il Parlamento è sempre più debole: mentre è presumibile che regolando con maggiore chiarezza gli equilibri fra le due istituzioni entrambe si rafforzino, e che il superamento del bicameralismo paritario valga addirittura a spuntare l’arma della questione di fiducia, con la quale sempre più spesso i governi hanno ricattato le due Camere, e che ora nei confronti di una delle due non potrà essere usata, a fronte di obiezioni di merito fondate e sostenute da adeguato consenso.
Non ci sfugge, peraltro, che il testo che verrà sottoposto al giudizio degli elettori non risolve tutti i problemi, e presume anzi ulteriori interventi di adeguamento dell’edificio costituzionale. Ed è auspicabile che essi prendano corpo in un contesto meno condizionato da opportunismi politici di cortissimo respiro come quelli che hanno caratterizzato negativamente l’iter parlamentare della legge di revisione.
E’ anche per sanzionare lo sfrenato politicismo del variegato ed incoerente fronte degli oppositori, del resto, che invitiamo gli elettori a votare Sì. Ma è soprattutto perché con questa riforma giunge ad un primo approdo un processo che avviammo noi stessi quasi quarant’anni fa.
Luigi Covatta, Michele Achilli, Gennaro Acquaviva, Salvo Andò, Mario Artali, Antonio Badini, Valentino Baldacci, Luciano Benadusi, Achille Bonito Oliva, Domenico Cacopardo, Luigi Capogrossi, Mario Chiti, Zeffiro Ciuffoletti, Dino Cofrancesco, Simona Colarizi, Giovanni Cominelli, Edoardo Crisafulli, Camillo De Berardinis, Mauro Del Bue, Danilo Di Matteo, Fabio Fabbri, Ugo Finetti, Aldo Forbice, Elisa Gambardella, Vito Gamberale, Marco Gervasoni, Giulia Giuliani, Marino Lizza, Nicla Loiudice, Matteo Lo Presti, Gianpiero Magnani, Giuseppe Mammarella, Michele Marchi, Pio Marconi, Antonella Marsala, Andrea Millefiorini, Matteo Monaco, Raffaele Morese, Ugo Nespolo, Corrado Ocone, Piero Pagnotta, Giuliano Pennisi, Giuliano Parodi, Luciano Pero, Carmine Pinto, Pino Pisauro, Marco Plutino, Paolo Pombeni, Gian Primo Quagliano, Mario Raffaelli, Gianrico Ranaldi, Stefano Rolando, Elisa Sassoli, Eugenio Somaini, Celestino Spada, Tiziano Treu, Bruno Zanardi.
Purtroppo, no. Le deforme costituzionali renzianboschiane non hanno nulla, proprio nulla a che vedere con quanto i socialisti di “Mondoperaio” negli anni Settanta (e poi, più vagamente, Bettino Craxi) proposero e desideravano conseguire. Non esiste nessuna continuità fra i renzianboschiani e il pensiero riformatore socialista, che naturalmente né Renzi né Boschi conoscono e si sono mai curati di apprendere.
Il testo approvato non semplifica affatto il procedimento legislativo. Anzi, lo aggrava, rendendo ancora più probabile il solito dispositivo: “emendamenti distrutti in modo ‘bestiale’ (canguri, coccodrilli, giaguari e altri animali) con l’accompagnamento ricattatorio del voto di fiducia”. Come si possa pensare che in quesro modo il Parlamento italiano conquisterebbe un ruolo significativo sfugge a chiunque sappia quali sono le modalita’ di funzionamento dei parlamenti, quasi tutti bicamerali, nelle democrazie contemporanee.
Ai firmatari sfugge anche che, se la funzione di rappresentanza politica è il cuore delle democrazie parlamentari, l’Italicum con i suoi nominati (temo che la Corte Costituzionale, doverosamente bocciando la legge, non ci consentirà mai di sapere con esattezza quanti nominati, ma allo stato almeno il 60 per cento) e con le pluricandidature (un vero obbrobrio) distrugge qualsiasi rapporto fra eletti ed elettori. Candidamente il ministro Boschi ha dichiarato che i capilista bloccati saranno i “rappresentanti del collegio”. La rappresentanza politica si fonda sulle elezioni non sui paracadutati garantiti.
Quanto al potenziamento del governo, altri meccanismi erano possibili, come ad esempio il voto di sfiducia costruttivo, recentemente scoperto da commentatori ignari di qualsiasi dibattito istituzionale. Naturalmente il voto di sfiducia costruttivo è totalmente incompatibile con qualsiasi premio di maggioranza.
Infine, ma né last nè least, pessima è l’attribuzione ad un Senato di elezione comunque indiretta del potere di nominare due giudici costituzionali. Questi 100 senatori “indiretti” acquisiscono un potere squilibrato: un giudice ogni 50 di loro, rispetto ai 630 deputati che eleggeranno tre giudici (uno ogni 210 di loro).
Non sono al corrente di pulsioni plebiscitarie dei socialisti: ma almeno sul tentativo plateale del capo del governo di cercare e di pretendere un voto su di sé, mi sarei aspettato dai firmatari qualche pensosa riserva.
Lascerei a Travaglio e a Paolo Flores il vezzo di storpiare I nomi, anche nel caso dell’esecrata riforma costituzionale. E lascerei a Candide l’idea che un voto sulla Costituzione non sia un atto eminentemente politico: anche perché il “velo d’ignoranza” è stato più volte squarciato lungo l’iter della legge Boschi, ed ora c’è addirittura chi dichiara (Cuperlo) che col referendum si celebrerà di fatto il congresso del Pd.
Nel merito, Pasquino sa benissimo che il bicameralismo paritario è rigorosamente made in Italy (ne erano consapevoli anche i costituenti, che almeno previdero una diversa durata delle legislature delle due Camere, formalmente in vigore fino al 1963).
Quanto agli emendamenti “bestiali” con cui il governo azzera di fatto l’autonomia del potere legislativo, a Pasquino non sfugge che questo già accade nei confronti del Parlamento bicamerale ora in carica. Forse gli sfugge, invece, che il potere fiduciario è un’arma a doppio taglio, di cui però il governo non potrà servirsi nei confronti del nuovo Senato: per cui sarà interessante vedere cosa succederà quando un’assemblea non ricattabile col voto di fiducia si opporrà a qualche provvedimento governativo sulle materie di sua competenza.
Non c’è dubbio, infine, che fra le nostre idee di quarant’anni fa e la riforma di oggi è difficile riscontrare qualche continuità. Non c’è neanche dubbio, peraltro, che nel frattempo il Psi è stato distrutto, Craxi è morto da latitante, e nel 1994 è nata una nuova Repubblica: e che il maggioritario non è nato con l’Italicum ma con la legge Mattarella, che fu una vera e propria scuola di paracadutismo per collocare i “garantiti” nei collegi giusti.
Comunque né i parlamenti eletti col Mattarellum né quelli eletti col Porcellum hanno avuto il tempo di adeguare al nuovo sistema elettorale i quorum per l’elezione dei giudici costituzionali o del capo dello Stato (figuriamoci per introdurre la “sfiducia costruttiva”). Per cui, anche se la riforma Boschi è solo un primo passo sulla strada che indicammo quarant’anni fa, almeno è un passo. Mentre ho l’impressione che se vincesse il No quella strada sarebbe per sempre ostruita.
Totalmente d‘accordo!
Toni inutilmente aggressivi a parte, la critica di Pasquino alla riforma costituzionale si riduce a due punti, più un terzo che riguarda i socialisti. La complicazione del procedimento legislativo. E’ chiaro che se si passa dal bicameralismo paritario a quello differenziato i procedimenti legislativi “si complicano”: basta leggere la Costituzione tedesca. Ma nel nostro caso non più di tanto: alla fine ce ne sono due tipi, con alcune eccezioni al secondo. Quanto al bestiario (canguri ecc.), se Pasquino avesse letto la legge si sarebbe accorto che l’istituzione del voto a data certa serve esattamente all’obiettivo di eliminarlo, oltre che a contenere al massimo l’abuso del decreto-legge. Tutte prassi che col bicameralismo paritario e con un sistema politico ormai disposto su tre poli sarebbero ulteriormente incentivate dal rigetto della legge. Alla legge elettorale penserà la Corte (non Covatta, non Pinelli, ma nemmeno Pasquino, il quale anticipa il giudizio di legittimità costituzionale: beato lui). A parte gli aspetti giuridici, fa comunque bene Covatta a ricordare da dove veniamo: da una legge elettorale pensata per far stare gli elettori “o di qua o di là”, e che invece alimentò la frammentazione interna alle coalizioni, in splendida continuità fra prima e seconda fase della Repubblica. Una parola, infine, sui socialisti. Ma a che titolo parla proprio lui, che venti anni fa irrideva alla loro fine? Devo essermi perso una puntata.
La coerenza non è sempre una una virtù ma l’incontiinenza nemmeno.
Pasquino si aspettava più “riserve”. Le riserve ci sono state e immagino anche diffuse. Ma è metodo di Mondoperaio (che lui dovrebbe conoscere) che la valutazione integrale di una questione obbliga alla fine a guardare allo scenario prevedibile per dire se quelle riserve sono imprescindibili o diventano un alibi (caro alla sinistra) per vincere la battaglia e perdere la guerra.
Sono stato il più giovane segretario di Sezione a livello nazionale del P.S.I. nel 1987 all’età di 17 anni,lettore ed abbonato per lunghi anni a Mondoperaio ed alla Critica Sociale….#Adesso come Coordinatore di una Associazione Adesso! non posso che concordare ed essere felice per la vostra scelta a favore del SI al referendum Costituzionale !
Se per caso vincesse il NO tutti questi campioni che si dichiarano Socialisti ed eredi di Nenni che diranno. Mi auguro che finalmente non si occupino più di politica. Leggetevi Patrck Henry e le sue affermazioni sulla Costituzione Americana visto che parlate tutti correntemente l’inglese come renzi. “The Constitution is not a document for the government to restrain the people: it is an instrument for the people to restrain the government”
Grazie dei commenti, alcuni dei quali, pero’, un po’ criptici (incontinenza di che e di chi: del governo che fa troppi decreti? di chi crede che queste revisioncine siano la Grande Riforma quarant’anni dopo?) Non pratico e non gradisco il character assassination, ma se Pinelli sostiene che “irridevo alla fine dei socialisti” ha il dovere di tirare fuori le prove. Quanto al metodo, solo i socialisti possono parlare dei socialisti? solo le donne possono parlare delle donne? solo i giornalisti possono parlare dei giornalisti? Si leggesse un po’ di Robert K.Merton e di Isaiah Berlin.
Concordo con il vostro manifesto e lo sottoscrivo. Gradirei essere informato delle iniziative in merito.
Domenico Del Bove, già segretario della Sezione Socialista di Itri (anni 80), già assessore e Sindaco di Itri (LT) anni 80/90.
Certo, però, fa una certa impressione vedere Covatta difendere il pastrocchio costituito dal combinato disposto della riforma Boschi e dell’Italicum, definendolo un primo passo verso l’idea di riforma indicata dai protagonisti di una stagione così importante quale quella che Mondoperaio ha rappresentato negli anni Settanta, in particolare riguardo al dibattito sulla riforma della Costituzione.
Per quanto mi sforzi, comparando quesi preziosi contributi con il testo della riforma attuale e tutto quanto scritto a sostegno di esso, mi riesce difficile contenere la tristezza che tutto questo mi suscita.
Sono sinceramente un po’ deluso dalle argomentazioni dell’appello. Due osservazioni volanti sulle stesse
1) Si dice che “portare nella legislazione nazionale il punto di vista delle Regioni varrà a superare conflitti di competenze che attualmente si affollano davanti alla Corte costituzionale”
In che modo? I “senatori” eletti indirettamente dalle regioni non saranno, com’e’ nel caso tedesco, vincolati al rispetto delle posizioni delle regioni, non avranno cioe’ alcun vincolo di mandato. Se la Regione non è d’accordo col Senatore che aveva eletto (perchè magari nel frattempo ha cambiato maggioranza) il conflitto di competenze non viene affatto superato. Al massimo accentuato se gli scazzi regionali si iniziassero a ripercuotere sulle questioni nazionali.
2) “Quanto ai rapporti fra governo e Parlamento, non si può ignorare che oggi, benché il governo non sia così forte come in altri paesi, il Parlamento è sempre più debole: mentre è presumibile che regolando con maggiore chiarezza gli equilibri fra le due istituzioni entrambe si rafforzino, e che il superamento del bicameralismo paritario valga addirittura a spuntare l’arma della questione di fiducia, con la quale sempre più spesso i governi hanno ricattato le due Camere, e che ora nei confronti di una delle due non potrà essere usata, a fronte di obiezioni di merito fondate e sostenute da adeguato consenso.”
Questo paragrafo inizia bene e finisce malissimo. Siccome il Parlamento è debole perchè ricattato dal governo con la fiducia (verissimo), allora noi lo indeboliamo ulteriormente e inaspriamo i termini del ricatto. La Camera la teniamo a bacchetta con la fiducia e con l’Italicum, tramite il quale nominiamo 2/3 dei deputati e ne leghiamo l’elezione al colore del governo tramite il ballottaggio. Del Senato che c’importa, tanto non serve per la fiducia e al massimo rende piu’ complicato modificare la costituzione (altra cosa assurda, senatori non eletti direttamente dal popolo che hanno una voce nelle modifiche della costituzione e nell’elezione del Presidente della Repubblica).
Solo alla fine mi pare si riveli il vero senso dell’appello:
“E’ anche per sanzionare lo sfrenato politicismo del variegato ed incoerente fronte degli oppositori, del resto, che invitiamo gli elettori a votare Sì. Ma è soprattutto perché con questa riforma giunge ad un primo approdo un processo che avviammo noi stessi quasi quarant’anni fa.”
In sostanza: ci stanno sulle palle le opposizioni e cmq “40 anni fa dicevamo una cosa simile”. Senza pero’ entrare nel merito di quanto fosse simile cioe’ che veniva detto (poco se non pochissimo) e quanto sia dissimile la situazione politica (molto se non moltissimo).
Nel complesso compagni, perdonatemi, ma vi preferivo quarant’anni fa.
Anch’io, caro Pisauro, mi preferivo quarant’anni fa, e non solo perchè avevo quarant’anni di meno. Si dà però il caso che in questi quarant’anni siano successe tante cose, e tra l’altro sarebbe interessante che anche su di esse si pronunciassero quanti oggi paventano che la democrazia sia in pericolo: magari rivisitando le posizioni che presero quando venne introdotto il maggioritario perchè, secondo molti di loro, il principio della rappresentatività poteva ben essere sacrificato a favore di quello della governabilità.
Se poi vogliamo fare della filologia, ricorderò che all’epoca Giuliano Amato (Mondoperaio, luglio/agosto 1977) pose l’esigenza di rafforzare l’esecutivo rispetto al Parlamento. Poi alcuni riscoprirono il presidenzialismo di Calamandrei, altri il semipresidenzialismo di Mitterrand (e di De Gaulle), altri ancora (Craxi) il presidenzialismo austriaco. La questione che ci si deve porre, però, è se oggi quei modelli sono ancora attuali non per l’Italia, ma per gli Usa, la Francia e l’Austria.
Quanto ai senatori che non rispondono alle Regioni che li hanno eletti, mi sembra un caso di scuola: e comunque “è la politica, bellezza”. Mentre Pisauro dovrebbe sapere che il potere fiduciario è un’arma a doppio taglio, e prendere atto che finora i governi hanno potuto usarla dal verso giusto per comandare a bacchetta il Parlamento bicamerale.
Infine: è vero, mi stanno sulle palle Brunetta e Di Maio, Salvini e la De Petris, La Russa e Fassina. Anche in questo caso “è la politica, bellezza”. E diceva Nenni che la politica sarebbe il mestiere più facile del mondo se il giorno dopo non si dovessero subire le conseguenze di quello che si è deciso il giorno prima.
Il fatto caro Covatta e’ che a fare l’elenco degli errori di molti esponenti politici che non vengono dalla nostra storia (dico nostra perche’ penso che le firme nel documento testimoniano che siamo tutti figli della stessa cultura politica) potremmo passare mesi e mesi e non ne verremmo a capo. Ma il punto non sono loro, siamo noi, cosa facciamo e diciamo qui ed ora. E se per giustificare le scelte dell’oggi dobbiamo guardare a quelli di ieri o a quelle degli altri, qualche problemino c’e’, perche’, ci dice sempre Nenni, la politica non si fa con i sentimenti, figuriamoci coi risentimenti.
Ma visto che ci preoccupiamo, e giustamente, delle conseguenze nefaste delle scelte del giorno prima, mi chiedo e ti chiedo, e di quella porcata dell’Italicum che diciamo? Ci piace pure quello o andiamo a firmare i referendum per correggerne le storture piu’ pericolose? A volte basta poco per riscattare tutto. Anche se invece temo mi risponderai di nuovo: “è la politica, bellezza”…
Sono quaranta anni che sulla riforma del bicameralismo vengono riempite pagine di giornali e di libri,ma ad oggi l’unico risultato tangibile e’ la deprecata ,per i detrattori come Pasquino, riforma Boschi.La riforma Boschi e la legge elettorale associata non sono certamente il massimo ma e’ l’unico atto concreto che si e’ riuscito ad avere in quaranta anni di dibattito,a questo punto il merito della riforma diventa marginale e lo scontro vero si sposta tra chi vuole il cambiamento e chi vuole che le cose restino immutate, lo scontro vero e’ tra riformismo e conservazione.
Ho aderito all’appello in base a riflessioni maturate più nel corso dell’iter parlamentare della riforma che sulla considerazione del testo finale. Per molti aspetti discutibile anche per me. Ma, alle corte, perché intestare questo testo al primo ministro e/o al ministro Boschi (il fronte del no è ad hominem et feminam)? Ad entrambi si deve il disegno di legge che ha avviato l’iter e se ci si prende la briga di leggerlo e metterlo a confronto con quello che sarà oggetto del referendum si vedrà l’abisso che li separa.
Di mezzo c’è il ruolo e il lavoro delle Camere, doveroso in questa materia. A parte la maggioranza del Parlamento (che il fronte del no chiama Renzi o/e Boschi) qualcuno oggi e di fronte all’elettorato si assume la responsabilità di questo abisso? Sono così chiare le responsabilità politiche degli esiti legislativi nell’assetto istituzionale attuale? Si può imputare a Renzi e a Boschi di non aver marcato ad ogni passaggio la distanza dalla proposta iniziale e di aver vantato, invece, il risultato delle varie tappe della elaborazione parlamentare del processo da loro avviato? Perché per due anni abbiamo visto all’opera l’assetto istituzionale che si rimprovera al testo finale di voler togliere di mezzo. Con il ruolo che il governo vi ha e che continuerebbe ad avere, vincesse il no. Sicché, a stringere, il vero torto del segretario del Pd-presidente del Consiglio è di avere avviato il processo e di averlo portato a termine (di certo non lo ha “guidato”: “è andata bene” il suo commento ricorrente anche in questa materia) nella sede scelta da tutti – qualcuno ha proposto un’assemblea costituente, ma si sa (?) com’è andata. Sicché, infine, vale la considerazione del presidente Giorgio Napolitano: non possiamo aspettare, ancora una volta, una “migliore occasione”.
Qualcosa di simile alla “porcata” dell’Italicum (ballottaggio con premio di maggioranza), caro Pisauro, venne proposta da Giuliano Amato e da Giorgio La Malfa nella seduta della Bicamerale Iotti del 4 novembre 1993, perchè era opinione comune che la legge Mattarella (già approvata) non avrebbe assicurato nessuna governabilità. Ottenne il consenso di Martinazzoli (ede anche di Pannella), ma non quello di Occhetto, che aveva fretta di portare al traguardo la sua gioiosa macchina da guerra. La porcata che c’era nella legge Mattarella era quella che consentiva di costituire alleanze collegio per collegio: come fece Berlusconi alleandosi nei collegi del Nord con la Lega ed in quelli del Centrosud con Alleanza nazionale. Fu così che vinse, ma fu così anche che venne mandato a casa dopo un anno: e la prima legislatura del maggioritario si concluse con un ribaltone. :
caro Covatta, purtroppo non ritrovo il resoconto stenografico della seduta cui fai riferimento. Ho trovato solo questo bollettino (consultabile a questo link: http://legislature.camera.it/_dati/leg11/lavori/Bollet/40801_13.pdf) dove si ricorda la proposta di ballottaggio avanzata dall’onorevole Labriola del PSI e si menzionano gli interventi tuo, di Giuliano Amato, Giorgio la Malfa, Martinazzoli e Pannella.
Labriola propone il doppio turno DI COLLEGIO che permette agli elettori di ogni collegio di scegliere al ballottaggio i candidati che avessero superato una “SOGLIA MINIMA DI AMMISSIONE” e permettendo “facoltà di desistenza”. Insomma qualcosa di molto simile al sistema francese, proposta discutibile ma certamente ragionevole.
Immagino, ma non ho elementi di certezza, che Amato e La Malfa avessero inserito una qualche forma di premio di maggioranza, forse rispetto alla quota proporzionale, ma mi piacerebbe saperne di piu’.
In ogni caso mi paiono proposte distantissime da questo doppio turno NAZIONALE in cui non un seggio, ma 340, vengono, tutti insieme, assegnati al partito politico che prendesse anche solo un voto piu’ dell’altro nel turno di ballottaggio. Ballottaggio cui avrebbero accesso le prime due liste del primo turno, SENZA ALCUNA SOGLIA MINIMA DI AMMISSIONE ne’ per quanto riguarda la percentuale ne’ in termini di voti assoluti. In questo facendo peggio perfino della Legge Acerbo (che aveva una soglia al 25% in un turno unico) contro cui noi socialisti facemmo le barricate prima e dopo la sua applicazione nella campagna elettorale che il compagno Matteotti denuncio’ nel discorso che gli costo’ la vita.
Insomma, per la difesa dell’Italicum trovo davvero difficile trovare precedenti utili sia in quello che pensavamo ieri, sia in quello che pensano altri, stante che un siffatto sistema, sarebbe, a mia conoscenza, un unicum tra le democrazie di stampo liberale che sono sicuro, sono quelle che piacciono sia a me che a te.
In effetti Labriola ripropose il sistema francese, sul quale praltro alla fine del 1992 avevamo trovato un accordo con Barbera e Bassanini, che però Occhetto subito sconfessò per dare invece il via libera alla legge Mattarella, concordata con De Mita. Occheeto si era fatto irretire da Maurice Duverger, che sul Corriere della sera del 4 gennaio 1993 gli aveva assicurato che la riforma elettorale sarebbe stata prodromica alla vittoria di “un’unione della sinistra su basi inversamente simmetriche a quelle che l’hanno portata al potere in Francia”. Quanto ad Amato, aveva scritto su Panorama de 7 novembre 1993 (data formale del settimanale, che in realtà era in edicola qualche giorno prima): “Basterebbe lasciare un dieci o quindici per cento dei seggi a un secondo turno; prevedere che dopo il primo le liste si possano coalizzare per formare una maggioranza di governo; assegnare al secondo turno quei seggi alla coalizione vincente”. In commissione poi aprì anche alla proposta Labriola, Ma ci fu il non possumus del Pds, nonostante la disponibiltà espressa an)che da Martinazzoli. Detto questo, non mi sfuggono le differenze fra la proposta di Amato e l’Italicum: che è un unicum esattamente come lo sono stae la legge Mattarella (che De Mita definì “un sistema misto e italiano” e la legge Calderoli. .
Per chi fosse curioso di approfondire il punto, la posizione del Prof. Pasquino su Craxi e i socialisti è definita in modo organico nel commento di fondo del 29 marzo 1993 de l’Unità (“Un po’ di stile dopo Craxi”), facilmente reperibile sull’Archivio on line del giornale.
E’ interessante la discussione che s’è venuta svolgendo intorno all’invito a votar ‘si’ che Mondoperaio ha proposto: vari interventi infatti hanno giustamente riguardato il contenuto delle riforme sottoposte a conferma dell’elettorato. Evidentemente un problema sacrosanto, anche se, a mio giudizio esso costituisce solo l’ultima anello di una serie di ipotesi politiche che si sono venute consolidando in una strada obbligata per qualsiasi maggioranza. L’inizio certamente risale alla ‘grande riforma’ di craxiana memoria, giacché allora si pose il problema di governabilità di un sistema che s’era venuto progressivamente immobilizzando (per cui, allora, da molti s’imputava il consociativismo).
Era un’esigenza reale, ma sappiamo com’è finita: e si dovrà tornare sui tentativi di rottura di Cossiga, inevitabilmente bloccati dal sistema politico com’era. La governabilità e la grande riforma sono poi divenute uno dei miti della seconda repubblica, mentre l’inseguimento della moralità pubblica, come hanno segnalato in modo drammatico Marco Cammelli e Sabino Cassese – due profondi conoscitori dei modi di funzionamento dellapparato pubblico italiano – ha progressivamente paralizzato l’azione di governo attraverso l’ipercontrollo legislativo e regolamentare dell’azione amministrativa. Ora è tutto da dimostrare che questa ‘Repubblica del non fare’ che è il vero fattore di crisi del paese, possa esser rimesso in modo attraverso una riforma costituzionale. Un’esigenza è stata trasformata in mito anche in ragione della spinta data in tal senso dalle scelte abbastanza soggettive e forse discutibili dell’ex Presidente della Repubblica che tale compito ha assegnato ai governi ed ai presidenti del consiglio da lui incaricati, tale obiettivo prioritario. Discutere se una buona legge possa rendere virtuosa la politica è mostrare una certa ingenuità storica e politica: è vero il contrario, una cattiva politica farà funzionare male una legge buona. Il problema vero è che far saltare anche questo minimo di tentativo di rimettere in moto la baracca, come ci ha ricordato Cacciari, è l’ennesima vittoria del ‘partito del non fare’. Il vero partito dominante in Italia, costituito dalla somma degli interessi corporativi e delle paure, oltre che dell’ossessione garantista. Se impedire il male è lo scopo principale, poco importa che non si faccia, comunque si evita il peccato.
“Se le due camere sono d’accordo, la seconda è superflua, se sono in disaccordo allora la bicamerale è dannosa”. E’ quanto affermerà lapalissianamente l’On. Nobile, (si, proprio il trasvolatore polare), deputato comunista, alla costituente, dove il PCI di Togliatti era contrario a quasi tutte le pallide innovazioni della Costituzione Repubblicana (Corte Costituzionale, Regioni, CSM e naturalmente il bicameralismo), per poi, qualche decennio dopo, scoprire che la Costituzione italiana “era la più bella del mondo”.
Non ho bisogno di ricordare a te, caro Pasquino, i numerosi tentativi di abolire il bicameralismo perfetto. Tutte e tre le commissioni, da quelle di Bozzi a quella di D’Alema, lo prevedevano; e del resto la gran parte dell’attuale dibattito versa non sull’abolizione del bicameralismo ma sulle modalità della riforma.
Negli anni ottanta in certi settori della politica, dell’economia e della finanza aveva preso quota e credito il tema del vincolo esterno. Partiva dal presupposto dell’impossibilità di trovare in Italia le forze e di creare le condizioni per riformare il nostro sistema politico e amministrativo che non pochi membri dell’astablishment nazionale vedevano destinato ad una crisi permanente per la sua congenita instabilità. Era l’espressione di un pessimismo totalizzante che rifletteva delusioni e frustrazioni e che rivelava uno stato d’animo più diffuso di quanto non sia mai apertamente emerso, ma reale, in una parte della nostra classe politica.
Uno dei più convinti assertori del vincolo esterno era Guido Carli che, fra l’altro, era apertamente contrario ad una politica di piano o ad una qualsiasi forma di programmazione, di cui si parlava in quegli anni per via delle nostre inefficienze strutturali. Maastricht, di cui Carli sarà il negoziatore per l’Italia, nasce anche da questo stato d’animo. Con le sue ferree condizioni, il Trattato per la moneta unica avrebbe posto fine alla politica delle svalutazioni competitive e avrebbe costretto a realizzare quelle riforme costituzionali più che trentennali ma che non trovavano le maggioranze necessarie.
Maastricht e la contemporanea vicenda di Tangentopoli nelle aspettative di molti avrebbero dovuto aprire una stagione di grandi riforme e di grandi ripensamenti, e per alcuni addirittura quella di una costituente. Anzi ci fu chi si avvicinò a Berlusconi sperando nella rivoluzione liberale promessa.
Sappiamo come è andata: la rivoluzione liberale non ci sarà e il gruppo degli intellettuali, ex marxisti e neo liberali, lo abbandonerà quasi subito dopo aver capito che il Cavaliere non faceva sul serio. Il professor Prodi, che era fra coloro che credevano nel vincolo esterno, era troppo occupato a difendersi dall’opposizione interna ai suoi governi per poterne sostenere una dall’esterno. La sinistra in piena crisi aveva tutto l’interesse a mantenere le cose come stavano e si inventò la favola della Costituzione più bella del mondo.
Sarà la crisi epocale del 2008 a imporci le riforme e l’Europa, che fino allora aveva tollerato le nostre inadempienze, ci pose di fronte ai nostri obblighi, prima con le pressioni e adesso con i riconoscimenti al governo Renzi per le riforme attuate, ma Bruxelles non manca di ricordarci che molte altre aspettano di essere realizzate. Tutto ciò dà parziale ragione, seppur con molto ritardo, ai sostenitori del vincolo esterno. E’ chiaro che l’Europa subordina una maggiore flessibilità dei conti di cui abbiamo bisogno ed eventuali aiuti in caso di crisi future, alla continuità delle riforme.
Ergo se a ottobre la riforma del bicameralismo venisse bocciata perderemmo, forse per non recuperarlo più, quel poco di credibilità che abbiamo riconquistato presso i partners europei negli ultimi tempi. Il che giustifica ampiamente la decisione di chi ha condotto questo sforzo di dimettersi se la riforma fallisse. Ma coerenza vorrebbe che uscissimo allora anche dalla moneta comune.
Il prof. Pasquino non è nuovo a queste sortite, che talvolta in parte contraddicono anche posizioni precedentemente espresse: sarà che tante profonde elaborazioni alla fine, talvolta, non riescono a risultare coerenti fino in fondo. Talvolta capita anche agli emeriti. Talvolta ovviamente capita anche a me, che non sono emerito per titoli, ma abbastanza avanti col resto della vita sì. Personalmente non apprezzo molto taluni contenuti della riforma e soprattutto il modo in cui vi si è pervenuti, però ne condivido la direzione e l’intento positivo di fare qualcosa dopo più di venti anni di bla bla bla. Perciò andrò a votare sì con tutti i dubbi del caso, anche per evitare che i nostri politologi ci condannino ad altri vent’anni della stessa solfa.
Per inciso, mi riaccosto volentieri a Mondoperaio, più di trent’anni dal mio ritiro dalla vita politica, dopo essere stato in gioventù V.segretario nazionale della FGSI e per un po’ anche membro del CC, proprio ai tempi del Midas. Attiverò anche l’abbonamento alla rivista o-line
Rimango esterefatto dalla posizione espressa dalla Direzione e redazione di Mondo Operaio sulla Deforma Costituzionale a Referendum.
Intanto rafftontarlo con le proposte di Craxi è un non senso, perché anche sulla elezione diretta del Presidente della Repubblica prevedeva la scelta e il voto popolare.
Mentre il punto inaccettabile di questa revisione di “ben 47 articoli” è proprio la cancellazione di voto e di scelta da parte dei cittadini per le Province e per il Senato, con i Deputati nominati al 70%.
Soltanto per queste norme inaccettabili sul piano democratico e delle lezione alla sovranità popolare che dobbiamo votare come Socialisti NO.
Poi c’è il concetto dopolavorista dei Senatori presentato come “riduzione del costo della politica?”, che non è un Senato federalista dove interviene in primo luogo per la ripartizione delle somme del bilancio.
Questa schiforma non è neppure il Senato delle Regioni che comportano una rappresentanza diretta, mentre in questo caso abbiamo “una presenza di persone nominate dai Consigli Regionali tra i Sindaci e Consiglieri Regionali”.
Per difendere la dignità politica dei Socialisti, trattati come “ricattatori” non meritevoli di aver riconosciuta la partecipazione al premio di maggioranza, ma solo di poter dare “i propri voti gratuitamente”.
Scusate se prendo ls distanze da questa argomentazioni e mio modesto avviso proprie di Socialisti stanchi e appiattiti sul bullo fiorentino.
Quest’anno sono 60 -anni di iscrizione e di militanza Socialista, sempre in pista a difendere le buone idee Socialiste, in primo luogo degli attacchi Comunisti -massimalisti, comunque diversi da questi comportamenti viscido di stampo Democristiano a cui si ispira il populista Renzi, che cancella persino la norma sui “licenziamenti arbitrari” dicendo che “la Sinistra non l’aveva neppure votato” confondendo i Socialisti con i Comunisti.
Per questo noi Socialisti di Ostia abbiamo costituito il Comitato Socialista per il NO e votiamo coetentemente NO al Referendum.
Sono amareggiato nel constatare tanta superficialità di voto per Renzi, che distruggerà qualunque presenza Socialista , di cui ci dovreste sentire corresponsabili.
Grazie a Pasquino che ho sempre apprezzato anche se critico verso alcune fasi poltiche verso i Socialisti per aver portato motivazioni e argomenti validi contro questo scempio alla Costituzione.
Dispiace che Mondo Operaio, nato per volontà di Nenni, che amava dire che in ogni articolo della Costituzione c’era il sangue dei
Partigiani.
Come Nenniano da sempre, voterò NO proprio pe coerenza con le posizion i Riformiste di Nenni.