Paolo Pombeni, ne La questione costituzionale in Italia (Bologna: Il  Mulino, 2016), ripercorre il processo di formazione della Costituzione italiana all’epoca della Costituente e le sue trasformazioni successive. Nel tempo si è andata formando in Italia una coscienza pubblica che ha individuato come fondamentale il rapporto fra costituzionalismo e Stato democratico. Pombeni ricostruisce gli snodi essenziali del dibattito costituzionale fino a giungere agli ultimi decenni: con la riapertura del cantiere delle riforme istituzionali (primi anni Ottanta), con le varie commissioni parlamentari bicamerali o con i singoli progetti, che in gran parte hanno già proposto (ma non attuato) lo schema che poi è entrato a far parte dell’attuale riforma costituzionale. Il suo studio si apre con una bella citazione di Francesco Ruffini, che si ispira a Machiavelli: “Nei tempi dei più agitati rivolgimenti meglio è fare e poi magari pentirsi, che non fare e poi pentirsi”.

Venendo al presente, Pombeni mette in evidenza l’ambizione del progetto attuale, sintetizzandone così gli obiettivi: “Superare il bicameralismo paritario, ridurre il numero dei parlamentari, contenere il costo di funzionamento delle istituzioni, sopprimere il Cnel, rivedere il Titolo V della seconda parte della Costituzione (quello che riguarda i poteri locali)”.

Ma la riforma non tocca “in alcun punto l’impianto ‘strutturale’ dei nostri valori costituzionali contenuti nella prima parte della carta”, dove stanno tutte le norme, i fini e i valori che sono a fondamento della democrazia italiana. Infatti viene solo riconfigurata l’organizzazione dei poteri dello Stato e alcune modalità di funzionamento di tali poteri.

Ovviamente le modalità previste potranno essere ulteriormente migliorate nel futuro. Infatti, se il sistema normativo (Costituzione e leggi ordinarie) è immodificabile relativamente a quei valori di riferimento (libertà, uguaglianza, diritti, doveri) che poi sono comuni a tutti i sistemi democratici, quando ci si riferisce alle norme di tipo organizzativo e operativo esso non costituisce una tavola immutabile ed eterna in una società democratica, ma un insieme di regole da ridiscutere e modificare (come previsto dalla stessa Costituzione) quando cambiano le esigenze sociali e se ne avverte la necessità; ciò che avviene regolarmente negli altri paesi democratici, come la Francia, la Germania, gli Stati Uniti.

A titolo di esempio si consideri che in Francia la Costituzione del 1958 è stata modificata più volte. In Germania fra il 2006 e il 2009 i tedeschi hanno proceduto alla modernizzazione (così l’hanno chiamata) dell’ordinamento federale, modificando fortemente il testo della loro Grundgesetz  (la Costituzione del 1949) in fatto di rapporti tra le due Camere, di rapporti tra Federazione e Länder, e in particolare di riduzione dei trasferimenti finanziari alle regioni.

La Costituzione statunitense del 1787 si definisce come “legge suprema dello Stato” ed è stata emendata più volte. I cambiamenti più importanti avvennero nell’arco di due anni dall’adozione della Costituzione. In quel periodo vennero aggiunti i primi dieci emendamenti, noti come Bill of Rights (Dichiarazione dei diritti). Nei due secoli successivi ci sono stati altri  diciassette Amendments, realizzati seguendo le procedure prescritte: si è trattato spesso di modifiche rilevanti.

Dunque è evidente che ogni Costituzione debba subire periodicamente un processo di revisione, di modernizzazione, di adeguamento. La prossima modifica della Costituzione italiana porterà frutti positivi, si chiede Pombeni? Se le norme si possono cambiare e migliorare, come si sta cercando di fare (e come si è già fatto in altri Stati democratici), la qualità di un paese e la classe politica che esso esprime non sono tuttavia modificabili a piacimento: “Con la qualità del paese la faccenda è assai più complicata, per cui sarebbe meglio lavorare a migliorare quella, che perdersi a disquisire sulla democrazia perfetta”.