di Stefano Rolando
Intervento alla “Maratona del No”, promossa dalla Associazione radicale “Enzo Tortora” – Milano, 12 settembre 2020

Se mi avessero detto, da studente, che un giorno avrei parlato in piazza San Babila avrei respinto l’ipotesi con nettezza.

Era – nelle dicerie del tempo –  la piazza riservata alla politica dei neofascisti, con quella sua edilizia da ventennio e i bar dei tipi con la erre moscia e in più con il teatro delle commediole. Unico punto salvo, il gioiello romanico della basilica, che tuttavia poteva essere rubricata come “Monforte”. Invece oggi è stata qui la “maratona per il no”, promossa dai radicali milanesi, sessanta relatori “ad ampio spettro politico” per tutto il sabato, che si è chiusa con tre interventi, il mio (fatto anche come membro della direzione di Più Europa) ancora sotto la valanga sonora di un negozio con musica techno a tutto a volume esterno, poi – entrambi loro graziati dalla discoteca alle spalle – quello di Elena Grandi per i Verdi e infine quello del senatore Roberto Kociancich per Italia Viva. Difficile modulare nuovi temi dopo una giornata di tante argomentazioni. Ma non è possibile dire tutto in dieci minuti e lo scopo è di acchiappare i passanti uno ad uno evitando assembramenti. Quindi puntando, per così dire, sullo spunto convincente a singhiozzo. Questo il mio intervento.

 

Milano, Piazza SanBabila, 12 settembre 2020

Proviamo a immaginare che si stiano misurando tre Italie elettorali.

E simuliamo che siano più o meno equivalenti. I Sì,i No, gli Indecisi.

E’ fin troppo evidente, a una settimana dal voto,che sarà sul terreno degli indecisi che si giocherà l’esito. Dunque – avendovoi ascoltato molte perorazioni per il No – io proverò a fare un’incursione nell’immaginario degli incerti, che in questo genere di consultazioni non danno ragione a nessuno, oppure pencolano tra una ragione e l’altra, oppure ancora non sono scalfibili delle problematiche che i media trattano.

Quindi il campo di intervento alla fine è soprattutto quello degli indecisi fervidi.

Per quel po’ di pedagogia che è parte del lavoro di un professore universitario, a chi mi chiede un’opinione di voto non mi va diessere assertivo sulla mia posizione. Viene spontaneo fare un “quadretto” chesi fa carico di tesi contrapposte e poi porta a propendere. E’ quel che farò ora in breve.

Del resto – lo dico per amicizia con i radicali milanesi e la loro associazione nel nome di Enzo Tortora che organizzano questa“maratona” – lo stesso Marco Pannella, che aveva fama di essere un rullo compressore rispetto agli avversari politici, in realtà era frequente dialogare con toni morbidi con i “diversi” dalla sua posizione (non tutti, ma con quelli davvero diversi, sì). Per affinare, per correggere, per capire.

Come si può ugualmente ben capire non c’è un solo bloccodi ragioni di qua e uno di là.

Ci sono almeno tre categorie di argomenti messi in campo.

La prima categoria è costituita dalle “ragioni di premessa”, quella se vogliamo di ordine un po’ ideologico. Cioè gli argomenti che vengono prima, o che si possono riconoscere come cause dell’iniziativa, rispetto alle argomentazion itecniche.

Chi attacca qui sono quelli del sì. E vedremo caso mai come quelli del no si difendono.

Ecco le premesse:

– è solo un primo tassello, ma almeno si sblocca il processo di riforma costituzionale;

– se non si fa questo passo poi non si farà nessuna riforma;

– così non si fa altro che portare il numero dei parlamentari italiani nella media occidentale;

– e poi questa riduzione è stata già votata da quasi tutti;

– vedrete che porterà più efficienza al sistema;

– non stiamo a inventare i nemici, misuriamoci con il provvedimento in sé.

Quelli del no, fanno notare che è quasi tutto indimostrato in termini di benefici. E cioè:

– che i benefici sono  irrisori (ma quale taglio ai costi dellapolitica?);

– che si propone di fare un passo per poi fare il “resto”, ma del resto non c’è traccia;

– che nessuno studio serio mostra il ritorno all’efficienza con solo questa misura;

– che di sicuro invece c’è la riduzione della rappresentanza con territori che vengono privati dei loro parlamentari e regioni (della dimensione della Sardegna) con rappresentanza nettamentedimezzata.

Cerco di immaginare la prima reazione degli indecisi e mi appaiono come ancora indecisi.

Ma vedo che gli argomenti di attacco non hannofatto breccia.

Ed eccoci allora alla seconda categoria, le “ragioni di schieramento”, quelle per cui attorno al sì ruotano soprattutto le forze di governo (dopo il no oggi di Giorgetti, numero due della Lega, non è scorretto dirlo), mentre attorno al sì ruotano forze prevalentemente all’opposizione anche se – vedo qui la presenza del sen. Kociancich – il pezzo governativo di Italia Viva sostiene il no.

Perché ha senso l’argomento di schieramento? Perché M5S rivendica ragioni programmatiche e lo stesso 5S ma anche il PD auspicano un successo checonsolidi la malferma condizione di stabilità del governo. Ciò che porta con séil progetto di promuovere, a partire da un ipotizzato successo governativo, una legge elettorale che metta più in sicurezza forze maggiori e non forze minori.In più sono le forze di governo ad attaccare le opposizioni che preferiscono il no dicendo che loro sono per “stare fermi su tutto”.

Anche in questo caso il posizionamento non è vangelo, è opinione politica. Così che il fronte del No dice che quel consolidamento del quadro di governo non è il bene dell’Italia, ma dice anche che una legge elettorale che mette a rischio forze minori non è il bene della democrazia.

Quanto “allo stare fermi su tutto” dicono che è pura propaganda, loro vogliono “un serio progetto calibrato su tante delicate poste”.

Anche su questo fronte la squadra all’attacco non segna.

E veniamo alla terza categoria che potrebbe essere chiamata quella delle “meta-ragioni”, cioè le ragioni che non appaiono scritte o dette nella comunicazione referendaria ma che si intravedono nel parlottìo meno vistoso della politica e dei commenti.

Con il “rafforzamento e la stabilità del governo” non c’è solo la posta della legge elettorale, ma anche la tenuta della maggioranza che elegge il nuovo capo dello Stato, il successore di Sergio Mattarella. E questo è un argomento che fa chiudere molto gli occhi a tanti esponenti del PD che sarebbero culturalmente tentati dal no.

Mentre per M5S c’è il “richiamo della foresta” – che si vorrebbe un po’ occultare – dello stesso Casaleggio che ha spiegato l’inutilità del Parlamento e di una dichiarazione di un portavoce “grillino” che ha motivato il taglio dei parlamentari allo scopo di “maggior controllo sui parlamentari stessi”.

Insomma qui la meta-ragione ritorna ai grandi postulati politici populisti  del Movimento.

Il No qui non si limita alla difesa, perché può evuole entrare nel tema della visione stessa della natura della democrazia liberale ovvero rappresentativa. In questo momento, dice il No, nonva concesso – nell’interesse dell’Italia – un centimetro in più al populismo.

In più fa bene all’Italia anche impedire che il PD – causa patteggiamenti e scopi non dichiarati – finisca per subire totalmente l’influenza dei populisti anziché fare il contrario, come ha fatto credere formando questo governo.

Qui le argomentazioni riportano a un ambito infondo poco tecnico. Ma di sostanza culturale, civile e politica.

E’ vero che ci sono nel campo del sì argomentazioni riduttivistiche sulla natura del referendum che hanno fatto dire a costituzionalisti di grande rispettabilità come Valerio Onida e Ugo De Siervo la loro propensione al sì’. Ma su questo gli argomenti, anche sottilmente trattati, a chi vi parla sembrerebbero più sostenere la causa dell’astensione che la causa del sì, a maggior ragione quando lo stesso prof. De Siervo riconosce nelle argomentazioni portate in campo da M5S –  cito tra virgolette – “motivazioni riprovevoli”.

E a questo punto siamo in grado di rispondere agli studenti di un tempo che magari, per vecchia fiducia, chiedessero un parere di voto non con un assertivo monosillabo, ma tirando le fila politicamente e in coscienza (le due cose debbono interagire) per assumere una responsabile opinione.

L’opinione deve essere contestualizzata nel momento che viviamo, nelle priorità che abbiamo di fronte, nei fattori di rischio che vengono evocati e che non possiamo spazzare via dalla discussione con negazionismo.

·        La somma di ragioni ideologiche e tattiche che ha fatto propendere le forze di governo per dare priorità a questo provvedimento in questo momento, non arriva a far maturare il convincimento che questa priorità effettivamente ci sia.

·        Dunque c’è sensazione della “mano forzata”. Ed è questa sensazione – che ha un crescente e qualificato fronte di percezione – a far dire che i rischi siano maggiori dei vantaggi.

·        Proprio il clima di autoritarismo che serpeggia nel mondo a fronte di un controllo dei comportamenti connessi alla pandemia è terreno per una responsabile messa in guardia da parte di chi politicamente è prima di ogni altra cosa “guardiano della democrazia”. Abbiamo– nelle due ultime esperienze di governo – visto far passare provvedimenti non prioritari con la pura logica di abuso di ufficio, cioè con il governo in carica che addobba provvedimenti di parte con l’etichetta dell’emergenza. La linea di credito è al riguardo giunta al capolinea e il pur attento esame delle argomentazioni non fa propendere per un allungamento ulteriore di questo genere di credito.

Infine. Nel referendum di Renzi del 2016 chi vi parla ci pensò a lungo e alla fine voto “sì” perché in primis non voleva condividere“una certa compagnia”. Al termine di questa valutazione lasciatemi confessare anche l’argomento di una linea, come dire?, olfattiva, perpreferire ora in modo responsabile la scelta del no.