di Danilo Di Matteo

Trovo davvero interessante l’intervista di Walter Veltroni ad Achille Occhetto pubblicata dal Corriere della Sera il 19 luglio scorso. Su un punto concentrerei l’attenzione. L’ultimo segretario del Pci sostiene che il 1956 rappresenti la grande occasione persa proprio dal Pci al fine di svincolarsi dall’Unione sovietica e di lavorare sul serio per l’unità a sinistra. In tal modo però, mi chiedo, non si fa di Togliatti una sorta di capro espiatorio? Una scelta diversa da quella del “Migliore” era effettivamente possibile: come noto, Giuseppe Di Vittorio e, con lui, migliaia di comunisti (fra i quali l’allora ventenne Occhetto, che comunque non lo ricorda nell’intervista) si posero in maniera critica nei confronti della repressione in Ungheria. Considerando il quadro storico e lo spirito del tempo, tuttavia, tale scelta differente non era probabile.

In ogni modo il protagonista della svolta della Bolognina nota come assai meno probabile fosse, a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta, che il Pci e coloro che ne raccolsero l’eredità aderissero alla “Unità socialista” proposta da Craxi. E in effetti troppo profondo era il solco che ormai divideva i due principali soggetti della sinistra e i rispettivi “popoli”.

Mi chiederei dunque come si arrivò a una frattura così grave e insanabile. Detto altrimenti: a parer mio la chiave per comprendere gli esiti del duello a sinistra è in ciò che accadde da quel 1956 ai primi anni Novanta; è, dunque, “in mezzo”. Già prima dell’epoca craxiana serpeggiava infatti nel Pci l’idea che il Psi avesse di fatto esaurito il proprio ruolo storico e che i comunisti italiani ne fossero a tutti gli effetti gli eredi. Alcuni giunsero a teorizzarlo; per altri si trattava di una sorta di retropensiero. Erano presenti tante e differenti versioni di tale idea di fondo, alcune delle quali legate alla funzione svolta “sul campo” dal Pci e alla sua (incompleta) socialdemocratizzazione pratica. Si intuisce facilmente, in ogni caso, come un’idea del genere – che ben conosco, avendola nel mio piccolo coltivata anch’io da ragazzo – rappresentasse un macigno sulla strada del dialogo: essa infatti tendeva a considerare priva di senso la presenza stessa dell’interlocutore. Su ciò forse occorrerebbe riflettere meglio.