Forse Luigi Covatta, un anno fa, colse che la citazione di William Shakespeare, che riportavo in un articolo dedicato alla pandemia e alla debolezza o addirittura all’assenza di veri e propri modelli dai quali ripartire, era anche un piccolo segno di gratitudine nei suoi confronti: “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”. La sua predilezione per la storia, infatti, dipendeva dal carattere aperto e “insaturo” di tale disciplina: restano sempre altre pagine da scrivere. Spazi bianchi che riguardano il presente e il futuro, certo, ma pure il passato. Da qui, per contro, una certa insofferenza o almeno una sagace ironia verso i “sistemi” chiusi, quelli che pretendono di comprendere e spiegare tutto, siano essi di natura filosofica, politica o teologica. Quasi ogni volta che l’ incontravo, non a caso, mi proponeva quella perla di saggezza tratta dall’Amleto.
E, a proposito del Covid-19, qualche mese fa mi donò Agorà e società educante, l’elaborazione degli appunti per la lezione inaugurale del corso di Pedagogia dell’Università di Ferrara, che avrebbe dovuto tenere su invito della professoressa Anita Gramigna (autrice dell’Introduzione). Lezione che il virus impedì. Però continuo a trovare prezioso il libretto, per l’appunto, che ne prese il posto. Eloquente è già il titolo della Collana: Verità provvisorie. Così ciò che è scritto sulla copertina, in basso: terre di frontiera.
Tramite un messaggio, feci notare a Luigi quel che aveva scritto lui stesso, quasi all’inizio: “la Rivoluzione liberale di Gobetti durerà” solo “tre anni, dal 1922 al 1925, ed il Quarto Stato di Pietro Nenni e Carlo Rosselli ancora meno”. Tuttavia, aggiunsi, si tratta di esperienze citate da tutti i manuali di Storia contemporanea. E assai significativo mi sembra un altro passaggio del testo, qualche pagina dopo: “Quella di Morandi è una figura emblematica delle contraddizioni del Psi nella prima metà degli anni ’50. La sua cultura è sicuramente più moderna di quella di Nenni: e sarà lui, nei suoi ultimi anni (muore nel 1955), ad avviare quel ‘dialogo coi cattolici’ da cui nascerà il centro-sinistra. Ma sarà anche lui – almeno fino alla morte di Stalin – a praticare con durezza lo stalinismo in seno al Psi”. Segue una citazione particolarmente evocativa di Franco Fortini: il Psi, nel dopoguerra, era la sede naturale di chi, provenendo in genere dal proletariato o dai ceti medi, non si sentiva ancora comunista o tale non si sentiva più.
Già, il Pci: sentivo come lui comprendesse il mio atteggiamento verso il partito che avevo fatto appena in tempo a votare. Più volte ci soffermammo, anche con scambi epistolari brevi e intensi, sui limiti di quella forza politica, anche, forse soprattutto, sul terreno organizzativo. Mi disse ad esempio, e io concordavo, che sarebbe da approfondire il ruolo in essa dei “funzionari”: i mitici amministratori locali del Pci, mi scrisse, erano anche loro funzionari di partito e come tali non potevano ambire ai vertici nazionali. Per me, tuttavia, e lui mi capiva, quella del Pci non può esser liquidata come la storia di un errore (per la verità forse con Luigi non usai mai quest’espressione, ma tale era il senso del mio argomentare).
Naturalmente lo conobbi di persona, oltre che tramite Mondoperaio, grazie all’associazione Libertà eguale. Anche per tale motivo mi sento di riproporre ciò che l’autore di Socialismo liberale scriveva nel lontano 1932: “Il liberalismo, prima ancora che una filosofia e una politica, è un atteggiamento dello spirito. Liberali non si nasce, si diventa. E si diventa attraverso uno sforzo incessante di conoscenza degli altri e di sé, attraverso un perpetuo esercizio delle proprie facoltà. […]. Nessun errore maggiore che vedere nel liberale uno scettico, un passivo. Il liberale è un credente che afferma la libertà dello spirito umano, che proclama l’uomo unico fine, che ha fede nella perfettibilità del genere umano, che è animato da una insoddisfazione perenne per tutte le posizioni acquisite, per tutte le lotte conchiuse e le mortifere quieti. […]. Nella sfera individuale esso reclama l’autonomia della coscienza, il rispetto di una sfera invarcabile di indipendenza dell’uomo. Nella sfera associata esso reclama autonomia per tutti gli spontanei raggruppamenti di uomini, gruppi, classi, chiese, nazioni e la ripulsa da ogni violenza. Le due sfere sono indissolubilmente connesse. La libertà non ha senso riferita all’uomo isolato. L’uomo vive associato e il concetto di libertà è necessariamente universale. Una libertà di singoli, di caste, di classi, di superuomini, non è libertà: è privilegio”.
Danilo Di Matteo
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