Vorrei fare una sintetica premessa all’idea centrale che intendo proporvi e che io tradizionalmente, e da tempo, lego alla presenza cattolica nella società e nella politica italiana, anche in riferimento a Camaldoli. Mi esprimo naturalmente con la franchezza di un “operatore” della politica, come io sono stato per tutta la vita. Un modo un po’ diverso, ho il sospetto, da quello utilizzato dagli splendidi “scienziati” che mi hanno preceduto con le loro argomentazioni.
La ragione della premessa è motivata dalla necessità – per me almeno, ancora attuale – di proporre una spiegazione, soprattutto rivolta a coloro che non hanno familiarità con il lavoro che svolgiamo da tempo nella Fondazione Socialismo: e cioè la ragione di questa nostra costante ed insistita attenzione alla vicenda cattolica in Italia. Un fatto che potrebbe sembrare almeno a qualcuno un po’ discordante con la tradizione e l’esperienza, anche culturale, della vicenda socialista nel nostro Paese.
Per non farvi perdere troppo tempo ve la presento, questa spiegazione, utilizzando una battuta che volle ricordare Francesco Margiotta Broglio parlando proprio in questa sala diversi anni fa, mentre introduceva un incontro dedicato ad un approfondimento del “Concordato di Craxi”, quello del 1984.
Io non partecipavo al dibattito, ero seduto tra il pubblico, in prima fila, ed ascoltavo con attenzione. E l’amico Margiotta, rivolgendosi direttamente a me ed appellandomi con il mio nome di battesimo, mi chiese di tornare a ricordare, insieme a lui, la battuta con cui il Presidente del Consiglio per il quale allora lavoravamo, appunto Bettino Craxi, ci aveva seccamente risposto alle osservazioni, ma anche ai dubbi, che gli presentavamo rispetto alla elaborazione della nuova legge che avevamo tra le mani, quella di attuazione di uno specifico e delicato punto del nuovo patto tra Stato e Chiesa e che trattava della norma che doveva introdurre il finanziamento dell’8 per mille per tutte le chiese italiane. “Non affamate i preti!”: fu questa l’indicazione secca che quel socialista garibaldino che allora governava con autorevolezza il nostro Paese, consegnò senza ambiguità ai suoi interlocutori di quel giorno, dubbiosi ed anche preoccupati.
Craxi, ma allora anche molti socialisti insieme con lui, avevano ben chiaro che un Paese per sua natura, storia e tradizione fortemente individualista, tendente troppo spesso alla confusione e all’indeterminatezza nella sua finalizzazione collettiva, aveva bisogno come il pane di una guida politica che fosse saggia, preparata ed equilibrata; che soprattutto fosse in grado di esprimere costantemente autorevolezza e forza nel governarlo. Ed era convinto che questo non sarebbe potuto avvenire senza un apporto costante a questa politica da parte della Chiesa cattolica e dei suoi preti, del suo messaggio e della sua visione del mondo, della sua solidarietà ed anche della sua fede.
Parto dalla forza e – per me – dalla perenne attualità di questo ricordo per tornare a proporre il punto centrale che mi interessa affermare con grande necessità: e cioè l’azione indispensabile che i cattolici e la loro Chiesa possono e debbono apportare per la soluzione della crisi della politica italiana. Per dare anche più attualità a questo programma vorrei tornare a richiamare il riconoscimento contenuto in una ricerca assai approfondita, svolta due anni fa, sulla condizione della Chiesa italiana, ricerca pubblicata in un volume del 20211 dedicato appunto alla comprovata irrilevanza della Chiesa in occasione della crisi pandemica, con forti sottolineature della sua esplicita subalternità alla politica e alla scienza in quella tragica epopea.
Anche io ritengo infatti che la crisi della Chiesa italiana, in particolare quella connessa con l’azione positiva da essa espressa nel mondo in cui vive, opera e di cui è parte fondamentale e cioè la società italiana, sia tuttora di gravi proporzioni. Posso aggiungere che, rispetto allo stato di crisi allora comprovato dagli estensori del volume, io sono oggi più pessimista: talché tenderei a parlare non solo di un “Gregge smarrito”, come fu allora intitolato il testo, ma aggiungerei una precisazione ancora più specifica: parlerei di “Pecore senza pastore”. Naturalmente non dimentico il fatto che questa crisi si inserisce in una condizione della spiritualità nell’Occidente mondiale, in particolare nella nostra Patria europea, che è in atto ed in evidenza da decenni, con una progressione che appunto è solo diventata più visibile in questi ultimi anni. Ma, ripeto, le caratteristiche sue proprie che venivano messe in rilievo nel volume che ho citato non le considero riferite ad una vicenda passata: esse sono connaturate nello specifico tessuto storico e culturale della società italiana da tempo e con modalità proprie.
Sulla base di questa valutazione vengo subito al punto che mi interessa sottolineare e che io considero il centro del nostro confronto: quello del rapporto tra il cattolicesimo vissuto e soprattutto la sua realtà organizzativa, qui in Italia, e la politica. Sappiamo tutti in quale misura e con quale risultato questa formidabile presenza cattolica sia stata protagonista importantissima della vita politica italiana da sempre; e come fu però decisiva soprattutto dopo il 1944-45 prolungandosi poi, per lunghi decenni, almeno fino a Tangentopoli. Questo è avvenuto anche in virtù del permanere al suo interno – e per un lungo periodo, anche dopo il Concilio – di una sua specifica condizione di unità rispetto alla politica, costantemente e tenacemente promossa e sostenuta direttamente dalla Gerarchia ecclesiastica. Le caratteristiche che essa ha mostrato nel tempo, e soprattutto la sua finalizzazione dopo gli anni Settanta, possono e debbono essere naturalmente anche interpretate e storicamente criticate; ad esempio io avrei da proporre in questo argomento – come ho fatto frequentemente in questi anni – molte critiche ed osservazioni, che ritengo tuttora ben fondate. Ciò non toglie, comunque, che il permanere di una condizione di attiva e forte presenza cattolica nella politica abbia influenzato decisamente e direttamente sia la condizione della Chiesa italiana che, ovviamente, la nostra vita politica, dopo il 1945. Penso che non ci sia bisogno di spendere troppe parole per dimostrare questo dato di fatto; ma mi permetterete almeno di sottolineare un punto per me decisivo. Lo faccio citando uno dei maggiori teorici e storici di questo lungo rapporto, lungo e vitalissimo tra Chiesa e politica, durato almeno cinquant’anni: Gianni Baget Bozzo. Questo prete, molto intelligente ma anche un po’ matto, nel momento della sua crisi conclusiva ne scrisse approfonditamente in un libro che uscì appunto nel 1994: “Cattolici e democristiani. Una esperienza politica italiana” (Rizzoli, 1994).
Nel volume si dimostra, con grande lucidità e fondamento, come la costruzione della classe dirigente della Chiesa italiana, a partire appunto dalle vicende del 1943-1948, sia stata strettamente e indissolubilmente legata alla crescita, allo sviluppo, alla affermazione della presenza politica della Democrazia cristiana. I vescovi italiani che si affermano e gestiscono splendidamente la vicenda ecclesiale per i cinquant’anni successivi al 1943, un lungo percorso che è dominato e in qualche maniera concluso con il pontificato di papa Montini, sono la dimostrazione visibile e convincente di questa condizione, di questo dato di fatto.
Quella realtà cattolica diffusa e vitalissima, altolocata e assai solida, è stata, ripeto, protagonista importantissima della vita politica italiana almeno fino a Tangentopoli. Il crollo improvviso che allora avvenne del sistema dei partiti (e naturalmente innanzitutto quello della Democrazia cristiana), per di più ritenuto moralmente degradante per come si era costruito e soprattutto per come era avvenuto, ha condizionato a tal punto i vescovi italiani da modificare radicalmente il loro precedente orientamento, addirittura la loro stessa visione della politica. Tal che, pur se gradualmente, essi da allora si sono di fatto ritirati dalla partecipazione dalla vita democratica del proprio Paese, limitandosi a contemplarne gli sviluppi a distanza di sicurezza, pur se continuando ad impegnarsi nella guida positiva di plurime attività sociali e dedicandosi prevalentemente a coltivare, nel rapporto Stato-Chiesa, questioni morali e problematiche culturali.
Vorrei tornare a ricordare anche che questa rottura si è realizzata soprattutto perché allora si ritenne che anche la Chiesa, almeno sul fronte strettamente politico, usciva in qualche maniera sconfitta, e per di più impaurita, da quella vicenda, anche in ragione delle potenziali corresponsabilità che gli potevano venire direttamente addebitate rispetto al clamore dei fatti di corruzione politica che allora esplodevano È stato soprattutto per questa ragione che io ritengo che il vertice della Gerarchia ecclesiastica di quegli anni non ha voluto o non ha potuto cogliere la possibilità, che allora (1994-96) forse poteva essere colta, di diventare ancora una volta elemento forte di animazione etica ed umana di tutta la democrazia italiana, anche utilizzando la lunga fase iniziale che caratterizzò la transizione del dopo Tangentopoli. Questo ha, tra l’altro, impedito o comunque fortemente ostacolato, ove mai fosse stato proposto, lo svolgimento di un ruolo attivo e partecipativo del laicato cattolico nella necessaria ricostruzione della politica, assecondando di fatto la naturale, pur se prudente, tendenza antipolitica che, da allora, prese concretamente a circolare anche in tante parti vitali del mondo cattolico, proprio in conseguenza di come era avvenuto il crollo del sistema dei partiti.
È facendo riferimento a questa condizione, insieme di estraneità e di compromissione, che io penso che possiamo farci ragione della condizione, che ritengo drammatica, che caratterizza il presente della Chiesa in Italia: appunto, un popolo senza pastore. Quello che allora successe fu un grave errore; e va aggiunto per la verità che esso è prevalentemente da addebitare a chi allora guidava la CEI e cioè il Cardinale Ruini. Che un sistema politico mal congegnato, nato nel 1992-1994 con le tare incorporate dell’ingiustizia e della violenza, presidiato da una classe dirigente prevalentemente ed inevitabilmente raccogliticcia e molto spesso impreparata, soprattutto perché senza radici; che un sistema siffatto sia stato lasciato a sé stesso, senza partecipazione, senza mediazioni, senza correzioni dalla forza spirituale e dalla rete umana e concretamente diffusa che rappresentava un grande passato e che è tuttora parte importantissima del futuro della Nazione italiana, è stato veramente un grande errore, di cui oggi purtroppo siamo tutti obbligati a pagare dazio. A partire naturalmente da chi ha la responsabilità di guidare i cattolici d’Italia.
Concludo. Per me dunque serve, oggi, una “messa a terra”, la definizione di un progetto ed una azione conseguente, anche organizzativa in grado di riammettere nella politica italiana i cattolici e quanti tra i laici fanno comunque riferimento ai valori cristiani. Oggi non penso che sarebbe possibile parlare o immaginare una forza organizzata agita direttamente dalla Chiesa: probabilmente essa nel presente sarebbe fuori tempo e fuori storia. Né parlerei di strumenti concreti e forme operative da mettere in campo direttamente. La cosa più importante, almeno per me, è essere coscienti, e convincere altri, che oggi i pastori della Chiesa che è in Italia debbono essere sollecitati a riflettere sull’alta responsabilità civile e politica che li interpella. In particolare debbono essere invitati a considerare criticamente i risultati a cui è giunta oggi la politica della Nazione che è affidata anche alle loro cure pastorali, sicuramente anche a seguito dei comportamenti che essi troppo spesso hanno adottato nei passati trent’anni. Per la cattolicità italiana è veramente giunto il momento di riflettere, tutta insieme, sul ruolo da essa svolto in questo lungo periodo per sostenere la realizzazione del bene comune. Ripeto: andando oltre il contributo infinito e pur positivo che essa ha comunque prodotto e senza dimenticare il numero immenso di particelle di bene che questo mondo garantisce ogni giorno al nostro popolo.
La Chiesa cattolica ha una responsabilità storica così vasta rispetto alla Nazione italiana che qualsiasi piccola o grande preoccupazione o ogni tradizionale prudenza dovrebbe oggi essere messa da parte. Questa responsabilità va assolta subito, prima che sia troppo tardi.
1 Essere qui, Il gregge smarrito. Chiesa e società nell’anno della pandemia, Rubbettino Editore, 2021.
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