In vista delle elezioni nei Comuni, devono farci meditare le motivazioni con le quali l’ex Ministro dell’Università e Rettore della Federico II di Napoli aveva rifiutato la candidatura a sindaco di Napoli: “la situazione economica e organizzativa è drammatica […] Le passività superano di molto debiti e crediti inesigibili. Le società partecipate (cui spesso si affidano i servizi) sono in piena crisi e si prospettano difficoltà nelle erogazioni […]. La capacità di spesa corrente è azzerata. Siamo, di fatto, in dissesto”. Lo sono anche un terzo dei Comuni siciliani o in pre-dissesto o in criticità finanziaria, a causa non solo della crisi economica del 2008, dell’austerità, della sentenza della Corte Costituzionale che boccia la scadenza trentennale dei rimborsi. “Tra il 2012 e il 2018, hanno avviato la procedura di riequilibrio 336 Comuni, per l’80% del Sud (74 siciliani). La mole dei debiti fuori bilancio, i disavanzi delle partecipate […] l’accumularsi dei debiti dimostrano che l’indebitamento degli Enti Locali è un fenomeno stratificatosi nel tempo e che ha carattere politico” (il Dubbio del 20/5). Chi oggi assume la guida di un Ente locale meridionale, in gran parte, si trova di fronte all’obbligo di risparmiare per sanare i debiti e tuttavia di fornire servizi fondamentali. A cominciare dalle Provincie, le quali devono stringere la cinghia e contemporaneamente riparare migliaia di chilometri di strade da cui dipende la possibilità di circolare; ma con un rapporto sfavorevole nei costi pro-capite: minor quantità/qualità ed a maggior costo! Gli edifici sono a carico delle Provincie per le medie superiori e dei Comuni per le elementari e inferiori. Però, fin dal tempo della legge Coppino (1881), lo Stato li ha finanziati al Nord più che a Sud, sostenendo i bilanci degli Enti locali secondo il flusso della spesa precedente e così favorendo quelli che, avendo istituito e retto le scuole, avevano già in bilancio le risorse necessarie. Il Nord ha potuto perciò, non solo combattere l’analfabetismo (mentre il Sud lo registrava per oltre l’80%), ma, passato quel costo allo Stato, ha tuttavia mantenuto in organico i posti per maestri, bidelli ed altri e li ha probabilmente impegnati in altro sostegno sociale (asili nido etc). Ancora all’inizio del 1990 (non so se dopo sono riusciti a trasferirli direttamente nei ruoli statali per rimpiazzarli con altro personale e raddoppiando il carico sulla Finanza statale!), Aldo Aniasi né indicava (privatamente, in VII Commissione Camera) ben 2000 nell’ organico della Milano, di cui era stato indimenticato sindaco. Oggi, nel quartiere fiorentino di San Frediano, si può scegliere tra diverse gestioni di nidi e di asili, ciascuno o a carico o rimborsato dal Comune: una pluralità anch’essa effetto della persistenza del criterio storico. Lo Stato ha dunque semplicemente pagato gran parte del vantaggio civile e dunque, almeno in parte-economico del Nord, attraverso gli EELL. Persino, nelle leggi per l’edilizia scolastica, subordinando i suoi contributi al tempo d’avvio dei lavori (entro 180 gg), pur essendo noto che quel termine fosse rispettabile soltanto dai Comuni dotati di mezzi propri per progettare ed espropriare in anticipo. Di qui, a Nord, buoni Servizi Sociali e migliore formazione civica, con in più Amministratori politicamente qualificati dai maggiori e migliori servizi offerti ai cittadini; mentre a Sud, carriere affidabili soltanto al clientelismo tradizionale (che, come la mafia, sta ora contagiando anche il Nord). Quando poi nel 2001 – con la modifica del Titolo V – la Carta ha richiamato i “Livelli essenziali di assistenza” (Lea) già fissati dalla riforma sanitaria del‘78 (legge n. 833) ed introdotto i Lep (Livelli Essenziali di Prestazioni), essi son rimasti tuttavia lettera morta perché, per realizzarli a Sud, lo Stato avrebbe dovuto o ridurre le risorse al Nord o aumentare la spesa e quindi le tasse. Non praticabile politicamente nessuna delle due cose, per i futuri cittadini e per le stesse donne meridionali non ci sono stati né Lea né Lep. Ed è molto improbabile ci siano nel prossimo futuro, nonostante qualche ottimismo in seno al governo. Anche da questo dato di fatto sono stati determinati i tentativi degli EELL di fornire qualche servizio a proprie spese e dunque l’ulteriore dilatazione dei debiti. Perciò, in questo scenario, aggravato dall’onnipotenza dei Pubblici Ministeri (come nel caso “Sindaco di Lodi”) e segnato dalla comprensibile indisponibilità dei “migliori” alle candidature, come potrebbe il Sistema meridionale (Enti locali e Regioni) concorrere a ben spendere per innescare lo sviluppo senza che prima si sia rimosso il macigno della finanza locale? Draghi ha sottolineato che l’Italia si salva se riparte il Sud ed è buon segno che Manfredi, infine, si sia convinto. Gli hanno promesso rattoppi contro il debito e confida nei miracoli di San Gennaro? Il Sud deve dunque fare anche questo: forzarsi a credere che salverà sé stesso e il Paese?