Come sarebbe stato il compromesso storico compiuto?

Il Partito democratico non è che la cattiva moneta di un conio ben più autorevole, rimasto però nel campo delle possibilità irrealizzate.
La cosiddetta prima Repubblica, repubblica consociativa delle due chiese, avrebbe trovato nel cattocomunismo la maniera per trascendere il proprio sistema consensualistico e conservatore, fornendo una visione sintetica delle due maggiori sensibilità elettorali: il sogno di Jovanotti di “una grande chiesa che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa”.

Una prospettiva certamente aberrante dal punto di vista del fronte laico e liberale, minoranza culturale che ha trovato nell’impossibilità di sintesi del duopolio Dc-Pci l’unico margine per innestare qualche elemento di innovazione riformista.

Leoluca Orlando sembra essere l’eroe di un romanzo sci-fi, catapultato nel nostro mondo da una dimensione parallela in cui il compromesso storico è stato invece realizzato. Il suo volto è l’unica immagine che possiamo farci di quell’alternativa inespressa.

Una personalità complessa, la cui formazione è l’eloquente itinerario culturale che sembra esserci tutto nelle vene del paese, pur non riuscendo mai ad emergere pienamente.
Gli studi classici dai gesuiti.

Per scioglierci un po’, durante l’intervista gli ho raccontato la seguente barzelletta: «Che comunanza c’è tra domenicani e gesuiti? Entrambi fondati da spagnoli, entrambi hanno combattuto gli eretici. i domenicani contro gli albigesi, i gesuiti contro i luterani. Che differenze ci sono tra domenicani e gesuiti? Avete mai visto un albigese?».

Per farla brevissima i gesuiti sono la massima espressione europea di quella tradizione che è traduzione e che è tradimento, ma coerentemente: la capacità di farsi trasformare dagli alieni che si confrontano senza mai cambiare sostanza.

E poi: la filosofia del diritto ariano-mediterranea tra la Palermo di Santi Romano e la Heidelberg di Heidegger, Gadamer ma soprattutto Arendt (dagli apolidi ai migranti); la contestazione studentesca, sempre tra l’Italia e la Germania: e da contestatore fresco di occupazioni la docenza universitaria; la Dc di Piersanti Mattarella, quella nuova classe dirigente che voleva riscattare la politica dall’insostenibile collusione con la mafia delle generazioni precedenti; un giustizialismo unico, composto dalla intransigenza missionaria necessaria per affermare lo Stato di diritto in Sicilia e dallo zelo protestante che invece, nazionalmente, comprometteva quello stesso Stato di diritto.

A causa del ridicolo esito del compromesso storico in un consociativismo al ribasso e sterile (il centrosinistra secondorepubblicano), l’ultimo punto è passato da grande occasione a grande limite per Orlando. Intransigenza e zelo sono indigeribili per una consociazione dove la giustizia è “solo” un mezzo (anche se “il medium è il messaggio”, ça va sans dire, e alla fine lo strumento strumentalizza gli strumentalizzatori).

Intransigenza e zelo inoltre non sono esattamente la cifra antropologica della Sicilia. Per questo il progetto avveniristico della sua Rete non si è mai solidificato limitandosi in Italia al solo link palermitano: croce e delizia dell’antonomastico “Sindaco”.

Alano delle Isole definì Valdo da Lione filosofo senza ragione, dottore senza dottrina, profeta senza visione e apostolo senza missione. Detto con la Wertfreiheit possibile, Orlando è uno dei pochissimi politici in attività a poter vantare ragione, dottrina, visione e missione. La sua impronta “editoriale” di eresiarca su Palermo è oggetto di contemplazioni culturali e demopsicologiche. Il suo confinamento a Sindaco, che i ceti politici hanno condizionato per timor panico, ci ha permesso di vedere, come nei laboratori alchemici, l’Opus politico in vitro. Affascinante.

In politica, la parola laboratorio è orrendamente inflazionata. L’orlandismo sperimentale dovrebbe però costituire la linea guida per una giusta applicazione della inquietante parola.

Una grande aspirazione politica costretta in una dimensione cittadina, anzi in una convinzione cittadina che non si arrende al mero civismo ma che stira la coscienza comunitaria, dinoccolandola.

La parola comunità, preferita a società, è centrale nel discorso di Orlando: è la parola che il Pd non ha saputo fare propria optando per gli equivoci di parole inconsistenti come “popolo” o obsolete come “cittadini”.

Se c’è da ricostruire un socialismo italiano, il populismo di grillini e piddini è solo un ostacolo contingente, non può essere una visione dotata di missione. Non c’è da costruire un popolo europeo, né una cittadinanza mondiale ma decidere se tessere una società internazionale o annodare una comunità globale. Il comunitarismo, una rete transnazionale che rende le cittadinanze un ostacolo, è già un fatto che mina gli Stati nazionali ben più profondamente delle multinazionali contro cui puntano il dito i vari “antagonisti” rossi, neri e rosso-bruni. Mentre la parola socialismo, pur infangata, è sempre una facile tentazione per il Pd (e ormai perfino per i grillini), la visione di Orlando rappresenta per i piddini l’unico vero paradigma alternativo a quello socialista: e sarebbe il caso che il Pd facesse tale riflessione, perché è l’unica maniera per risolvere la sua crisi di identità e di missione liberando il campo politico (anche internazionale) da tante aporie debilitanti, risolvendo la sua innata dissociazione e inconsistenza. Lasciando il socialismo a chi punta sul momento sociale degli individui.

Sajeva: Sindaco, cos’è la città nella globalizzazione?
Orlando: Io affermo innanzitutto l’insufficienza del concetto di città. Le città, con i loro confini e i limiti, sono superate. Sono o troppo piccole o troppo grandi. Contrappongo alla città della globalizzazione la “Comunità civica della globalità”. Differenza notevole. Sono convinto che la globalità sia una scelta politica e culturale, mentre la globalizzazione è invece una sorta di condizione subita. Credo che dobbiamo evitare la seconda e accettare la globalità. Lo stesso vale soprattutto per la città. Non per scomodare La Pira, ma bisogna che la città non sia “un insieme di asfalto e di cemento” ma sia invece una comunità.

S: Evitare disubire una condizione, la globalizzazione in questo caso, e sceglierne un’altra, la globalità, pone però un problema di consapevolezza, appunto, culturale e politica.
O: Un problema di visione. Mi ostino a pensare che due fenomeni stiano profondamente cambiando la nostra vita. Uno è il Covid-19 e l’altro sono le sofferenze dei migranti. Il Covid-19 è una tragedia naturale che ha assunto una dimensione globale. Ha interessato e interessa un numero di persone e di Stati che non erano mai stati coinvolti nella storia dell’umanità. Siamo in presenza di un virus globale e l’unica cosa parimenti globale è il digitale. Tra la globalità del virus e la globalità del digitale si pone il problema della mobilità umana.

S: E qui suona il Leitmotiv della tua esperienza politica: la dialettica alloctoni-autoctoni.
O: I migranti stanno interrogando gli europei sui loro diritti umani.

S: Sentiamo adesso in sottofondo il tema umanitario e le variazioni di Bergoglio.
O: Ora ci arriviamo. I migranti stanno costringendo gli europei a confrontarsi sul rapporto che esiste tra l’essere umano e i suoi diritti. La consapevolezza di una civiltà globale a noi viene data proprio dalla mobilità umana internazionale che, insieme al digitale, sta mettendo in crisi alcuni principi su cui abbiamo fondato la nostra convivenza: l’identità, lo Stato e la patria. Sono assolutamente convinto che l’identità non dipenda dal sangue. Sono contro la maledetta legge del sangue. L’identità è l’atto supremo di libertà. Il mio primo diritto è quello di decidere chi sono, e, in nome del diritto, a restare chi ho deciso di essere: posso affermare che il diritto all’identità supera il diritto alla vita, ovviamente dove sono io a disporre della mia identità e della mia vita.

S: Ça va sans dire. Anche se non è esattamente tipico della condizione umana poterne disporre.
O: Io non sono palermitano perché mio padre e mia madre sono palermitani. Non sono palermitano perché ho sangue palermitano. Al termine di questa intervista, ci sto pensando, diventerò tunisino e hindu. No, ho cambiato idea: tedesco ed ebreo. Tu capisci quante cose scassi quando affermi questo principio? Siccome io credo che l’identità me la scelgo io, noi abbiamo otto miliardi di identità nel mondo.

S: Senza contare quelle dei mai troppo pochi dissociati e truffatori.
O: Se tu adesso mi dici che le mie figlie non sono figlie mie io guardo l’orologio e ti dico troppo tardi, mi dispiace. Perché i figli sono di chi li cresce. Per questo io sono per il diritto delle coppie omosessuali ad adottare i bambini. Contro la maledetta legge del sangue che ha causato tantissimi genocidi e tantissimi aborti. Ovviamente non devo spiegare il mio favore alla legge sull’aborto: ma quante donne sono state costrette ad abortire perché qualcuno ha detto loro che i figli sono di chi li fa?

S: E questa era l’identità. Veniamo allo Stato.
O: Qualcuno mi ha insegnato, e io che ho insegnato per molti anni l’ho insegnato ad altri, che lo Stato è uno spazio chiuso. Che qualcuno difende con i fiori e qualcun altro con le armi, ma sempre spazio chiuso rimane. Un ragazzo d’oggi non sa cosa sia: sa che è un ostacolo alla sua libertà. Per un ragazzo di vent’anni esiste il mondo e il villaggio dove vive. Quello che sta in mezzo è un ostacolo alla felicità. Se magari è stato educato in maniera abbastanza repressiva dirà che lo Stato è un male necessario. Ma sempre un male. Che cos’è lo Stato per il Signor Google, che magari neanche si accorge delle frontiere? E che cos’è lo Stato per i migranti? Un migrante, contestando la legge del sangue, scegliendo la propria identità che è un misto di pakistano, palermitano, tedesco e francese, sviluppa l’idea di tre politici che settant’anni fa pensarono di superare le frontiere: Adenauer, De Gasperi e Schuman. Se il nostro approccio è sulla centralità della persona e della comunità, lo Stato, che è stato costruito per garantire i diritti ai cittadini ma limitandoli alla cittadinanza, in uno spazio globale diventa ostacolo ai diritti umani di chi non è cittadino. Terzo elemento. Qualcuno mi ha insegnato che la patria la scelgono i nostri genitori. Ius soli o ius sanguinis, comunque dipende dai nostri padri. Anche la patria me la scelgo io. I migranti mi stanno aiutando ad avere consapevolezza dei miei diritti.

S: Questo paradigma d’indagine ci porterebbe dunque alla tua visione di “comunità civica della globalità”.
O: “Io sono persona e noi siamo comunità”, abbiamo scritto nella Carta di Palermo. “Io sono persona” sta ad affermare che sono alternativo agli egoismi individualisti. “Noi siamo comunità” è l’alternativa agli intollerabili spazi chiusi come città, Chiesa, Stato, partito, setta, clan, eccetera.

S: Ok, la Carta di Palermo del 2015. Un atto scandaloso alla vigilia della cavalcata sovranista. Ancor più scandalosa la tua disobbedienza civile rispetto ai decreti sicurezza del primo governo Conte.
O: Il permesso di soggiorno come nuova schiavitù. Per me la polemica con Salvini è un dettaglio, un pizzico di sale sulla pietanza: ma la pietanza c’è a prescindere. Io ho mantenuto una posizione per un anno, violando la legge firmando personalmente le pratiche di residenza ai migranti perché nessun dipendente lo voleva fare. Ma io sapevo che eversivo era lui, eversiva era la legge poi decaduta. Però lo posso sostenere perché abbiamo un appiglio nella Costituzione e nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo.

S: Allargando il discorso, sei tra i promotori del Parlamento mondiale dei sindaci, una delle tante organizzazioni internazionali che sottolineano quanto le città soffrano la dimensione statale. Com’è il Sindaco della globalità?
O: Le città sono le uniche entità istituzionali in armonia con le Nazioni Unite, che, se ci sono, battete un colpo: perché oggi le uniche due realtà dell’Onu sono Unesco e Oms. Noi sindaci abbiamo un vantaggio: abbiamo la libertà che ci deriva dal fatto che non abbiamo un esercito e non stampiamo moneta. Come le Nazioni Unite. Noi siamo una realtà e per questo abbiamo il dovere-diritto di osare di più, sapendo che poi altri mitigheranno ciò che noi chiediamo. Ognuno faccia la propria parte. La radio diffonda la musica, sarò poi io ad abbassare il volume.

S: Entrando più nello specifico dell’amministrazione, tra i vari attriti Stato-comune abbiamo il problema dei soldi, della fiscalità. Questo sindaco della Comunità civica globale come lo risolve il problema, specialmente in un’Italia che sottrae risorse e strumenti finanziari alle amministrazioni?
O: La “cattiva” Europa ha sospeso il Patto di Stabilità da otto mesi. Ancora oggi vige però il fiscal compact per i comuni, che io da deputato non votai. Con la conseguenza che lo Stato non ha limiti di spesa e i comuni sì. Il comune di Palermo ha 250 milioni di euro che potrebbe spendere domani mattina. E le mie battaglie nei confronti del presidente del Consiglio e del ministro Gualtieri erano per ridare dignità e autonomia allo spazio rappresentato dalle città. La risposta è: va beh, diamo un miliardo di euro da distribuire alle città. Io non voglio soldi. Voglio autonomia e responsabilità amministrativa. Così invece si mantiene uno stato di subalternità degli enti amministrativi, alla faccia del titolo V della Costituzione. Si dà una manciata di soldi, che poi sono sempre insufficienti, ma che comunque ledono la mia responsabilità e autonomia. Mentre lo Stato italiano ha trovato sponda nell’Ue, ci esclude dal nostro far parte della comunità europea.

S: Più che di città parli di spazio rappresentato dalle città. Politica è, come l’architettura, soprattutto concezione dello spazio?
O: Milano non è la città più europea d’Italia ma è lo spazio più europeo. Così come Palermo è lo spazio più mediterraneo d’Italia.

S: Ma sempre amministrativamente parlando, come andrebbe ordinato lo spazio della suddetta Comunità civica della globalità? Oltre alle Città metropolitane pensi all’estensione e l’integrazione dei Gal, dei distretti sociosanitari o dei comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica così utili durante la pandemia?
O: Esiste un organismo intermedio, Pon Metro, e le esperienze come i Gal e i distretti sociosanitari che, superando i limiti della città, sono la straordinaria ossessione di un sindaco non solo a essere rappresentante di una città ma anche costruttore di uno spazio. Dentro il ragionamento del Recovery fund ho fatto una proposta: il fondo impone una riforma? Perché non estendete l’esperienza positiva del Pon Metro (Programma operativo nazionale “Città metropolitane”), che identificava nelle aree metropolitane l’organismo intermedio a tutti gli spazi? Perché non devi dare soggettività ad uno spazio intercomunale o infracomunale? In base alla normativa europea le aree metropolitane sono organismo intermedio tra i cittadini e l’Europa.

S: E la tua amministrazione ha speso e rendicontato tutti i fondi del Pon Metro?
O: 100%. Non credo che ci siano queste percentuali con la Regione, che funge da organismo intermedio per tutti gli altri fondi europei.

S: Insomma filosofia e amministrazione. Non sei certamente un grande incompreso, hai avuto il tuo spazio e il tuo consenso, però è evidente che tutto ciò stride con l’idea che le persone hanno della politica e persino con l’idea che i politici hanno di se stessi.

O: Il mio è un discorso politico e non posso mai esplicitarlo se non a brandelli. Io sono eletto e rieletto dai cittadini e non faccio distinzione tra i filosofi e politici, o tra i commercianti e i politici o tra gli artisti e i politici. Quando qualcuno dice che la politica è un’altra cosa rispetto all’arte, lo sport, il commercio, allora quella è una cattiva politica. Poi, noi abbiamo costruito nei riguardi dei politici lo stesso riguardo che abbiamo verso gli uomini di Chiesa. Abbiamo preteso che fossero diversi. Abbiamo costruito un inaccettabile clericalismo, e anche un inaccettabile laicismo, che hanno preteso che i preti fossero diversi. Mio nonno soleva dire che “il tuo amore per Dio si misura dalla distanza daisuoisacerdoti”. Era normale parlare dei difetti del parroco. E io mi ricordo il giorno della mia comunione: tra l’aranciata e le patatine, sono stato tutto il tempo della festa a parlare dei difetti dell’arcivescovo cardinale che mi aveva dato la prima comunione. Perché Allah è grande e misericordioso, e dice che parla con tutti tranne con quelli che credono di essere perfetti.

S: Cambiamo aria con un breve gioco. Popolo o società?
O: Popolo come comunità di diversi e uguali. Società è un termine da produttori di colore, comunità è un termine che usa il pittore.

S: Detta a un socialista in tempi di populismo questa fa male. Scusa allora la provocazione: gesuiti o valdesi?
O: Premessa. Io credo che Dio esista. Però per favore non mi chiedere come si chiama. Perché se Dio è Uno è Uno. E per me c’è chi arriva a Dio attraverso il boulevard Allah, qualcuno attraverso la via Yahweh, qualcuno nella piazza Gesù Cristo o attraverso il viale della Ragione. Io rifiuto di avere un’idea di un Dio che sia il contabile delle confessioni. Se dopo che sono morto scopro che Dio fa il contabile allora torno indietro a dire che non ci credo più in Dio. Hans Peter Oschwald scrisse un libro su di me in cui mi definisce un “Cattolico Protestante”, con la P maiuscola. Esempio raro di un mediterraneo che ha l’etica della responsabilità individuale. Io avevo deciso, con dolore, di diventare valdese. Io dono il mio otto per mille alla Chiesa Valdese. Poi è stato eletto Papa Francesco e mi ha “fregato”. Perché sta facendo un’operazione straordinaria di distruzione del Vaticano. Non posso accettare uno Stato teocratico. Resto cattolico ma aspetto il prossimo Papa per decidere. Visto che mi provochi, devo dirti qual è lo straordinario fascino dei gesuiti. Ignazio all’indomani del Concilio di Trento pensò di costruire l’esercito a difesa del Concilio. Papa Francesco sta distruggendo il Concilio di Trento. Per questo lo chiamo il Martin Lutero cattolico. Non a caso si è chiamato Francesco, che è un santo pre-tridentino. Poi. Mi sai trovare un solo caso di rovesciamento di Stato dittatoriale che non ha visto un gesuita dalla parte di chi l’ha abbattuto e uno dalla parte di chi lo ha difeso? Perché i gesuiti sono uno straordinario esercito di individui. Massimo di individualismo e massimo di compattezza. La Chiesa è una comunità di fedeli, che non conosce i confini dello Stato. Per questo diventa un’ulteriore mortificazione. La Chiesa è il popolo di Dio, non i sudditi del Vaticano. Io volevo essere valdese perché ho conosciuto i gesuiti.

S: Insomma al di là degli umorismi davvero incarni l’idea fluida ma coerente che hai dell’Identità.
O: La comunità delle identità umane non è un quadro ma un mosaico. Il tema di fondo non è la qualità dei cocci ma la cornice. Gauguin, Mirò, Caravaggio sono belli al di là della cornice. I cocci presenti nella realtà di un mosaico hanno forma solo grazie alla cornice. E la cornice è il rispetto dei diritti umani. Poi ovviamente alcuni cocci in sé possono essere brutti, imperfetti. Ricordati Allah.

S: E venendo alla tua identità politica, cosa è stata la Dc?
O: La Democrazia cristiana è stato il più grosso contributo alla ricostruzione del paese dopo la guerra. Si è identificata con l’Italia, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. Con la conseguenza che la Dc ha avuto i partigiani che hanno combattuto il fascismo e politici che collaboravano con la mafia. La sua capacità di tenuta nasceva dalla Guerra fredda, che teneva insieme soggetti che in condizioni normali non sarebbero stati dalla stessa parte. All’interno di questa realtà io mi sono iscritto alla corrente morotea. Poi mi hanno spiegato che la corrente morotea era nella Dc. E l’ho fatto per seguire Piersanti Mattarella.

S: E il rapporto col Pci?
O: Io penso che l’unico progetto culturalmente significativo sia stato il compromesso storico. Pensato dieci anni prima della caduta del Muro di Berlino. Protagonisti Moro e Berlinguer, dentro anche Piersanti ed io. Poi, Moro sequestrato e ucciso, Mattarella ucciso. Anche perché il Pci, ritirando nel ‘79 la fiducia a Mattarella, lo trasforma da leader della compagine antimafiosa a democristiano “fissato” con la mafia, sottoponendolo a un processo di isolamento. Tant’è vero che quando il Pci ritirò la fiducia lo supplicai di candidarsi alle elezioni nazionali della primavera 1979 e lasciare il governo regionale. Il Pci di allora era purtroppo lo stesso Berlinguer. In Sicilia Macaluso e Russo seguirono l’indicazione nazionale.

S: Ma questo compromesso storico era una mera esplicitazione o un superamento del consociativismo tra Dc e Pci?
O: Ecco. Non è consociativismo se hai una visione culturale. Era il tentativo di rompere i muri, di fare una coalizione che avesse come riferimento non un recinto ma alcuni valori. È finita come è finita, nell’84 muore anche Berlinguer ed escono così di scena tutti quelli che lo portavano avanti. Sai perché sono ancora sindaco di Palermo? Perché ho fatto il primo compromesso storico. Col muro ancora in piedi. Io vivo di rendita. Quando mi presento agli eredi della Dc e del Pci gli viene la sindrome del naufragio: “Arriva Orlando e ci distrugge”. Ma i cittadini mi votano. Per questo io non posso avere un partito. Perché sono l’orfano del compromesso storico. E ricordati Allah.

S: A proposito di Allah, veniamo al convitato di pietra: Craxi e il Psi.
O: Soltanto un cretino può ignorare la tradizione socialista. Io sostengo che Craxi sia stato un politico e uno statista che posso paragonare ad Andreotti con cui non ho avuto rapporti cordiali. Io penso che il nuovo corso socialista sia stato un tentativo di coniugare libertà ed eguaglianza attraverso meriti e bisogni. Attraverso il tentativo di superare la tradizionale differenza tra i meriti, che sono di destra, e i bisogni che sono di sinistra. Poi è finita come è finita. Voglio concludere proprio come vedo io i meriti e bisogni, attraverso anche Papa Francesco. La rivoluzione francese, per non andare troppo indietro ai fenici, affermava libertà, eguaglianza e fraternità. La fraternità è stata messa da parte per duecento anni da chi affermava il primato della libertà sull’eguaglianza e chi affermava il primato dell’eguaglianza sulla libertà. Ecco dove sta la novità di Papa Francesco. Nel recupero del principio di fratellanza che mette equilibrio tra libertà ed eguaglianza. La libertà e l’eguaglianza sono esattamente come la salute e il benessere, non possono essere in contrasto fra di loro. Fratelli tutti ha rotto questo schema, così come Laudato si ha rotto un altro schema. Ci siamo divisi anche tra pace, sicurezza e ambiente. C’era un gruppo che si occupava di climate change, ed erano ambientalisti, c’era un gruppo sociale che chiedeva la pace, quanti sit in ho fatto contro la guerra davanti all’ambasciata americana. E c’era un gruppo sociale che andava dal questore per denunciare l’insicurezza di un quartiere. I migranti hanno scassato la tripartizione. Le prime vittime del climate change sono i migranti costretti a fuggire dalla desertificazione. Noi viviamo in pace da decenni, sono i migranti a scappare dalle guerre. L’insicurezza riguarda la massaia spagnola o il pensionato belga? O piuttosto chi vive in quei territori.

S: Mobilità come espressione dei meriti e bisogni?
O: La mobilità è il più grande contributo al cambiamento degli italiani, europei, occidentali. Parole che mi terrorizzano, così come non uso mai euro-mediterraneo: i miei amici africani e asiatici dicono perché euro e non afro? Perché euro e non asio? Nella mia geografia, geoeconomia, geopolitica e se vuoi georeligione, il Mediterraneo non è un mare che divide ma un continente liquido che unisce. Io sono mediterraneo. Palermo non è una città europea. È una città mediterranea in Europa. Ma siccome credo nello ius soli siamo fieramente europei.

S: Chiudendo, veniamo all’attualità nazionale. Questo nuovo governo, che sorge nel peggior bailamme mondiale da decenni, è stato indicato come sconfitta della politica: cosa ne pensi e che prospettiva vedi?
O: Il governo Draghi è un governo di “sospensione della dialettica politica”. Bisogna fare tesoro di due esperienze del passato. La prima viene dal nostro immediato secondo dopoguerra, in cui governi di vincitori, con la “sospensione della dialettica politica”, diedero vita alla Repubblica e alla sua Costituzione. Oggi un governo di sconfitti dovrebbe realizzare, con la “sospensione della dialettica politica”, una stagione di transizione ecologica e digitale con l’utilizzo di risorse europee e con le riforme necessarie per il superamento di procedure farraginose e inadeguate. L’alternativa è l’implosione del sistema democratico rappresentativo. La seconda lezione, più recente, viene dalla riunificazione della Germania. Il 3 ottobre 1990 i governi tedeschi si posero al servizio del superamento delle “diseguaglianze” tra Ddr e Brd. Oggi un governo dovrebbe realizzare l’avvio del superamento delle “diseguaglianze” di cittadinanza, a cominciare da quelle territoriali tra Nord e Sud.

S: Sbaglio o poni queste due lezioni come dei moniti sconfortati?
O: Non tanto la politica in sé quanto il ceto politico è sconfitto. Di nuovo. È una sfida da far tremare le vene ai polsi, anche ad una autorevole personalità di eccellenza come Mario Draghi. Sempre alla luce di quello che abbiamo detto prima. Riusciremo a spendere le risorse entro sei anni, che è il tempo medio per aggiudicare un appalto? Quali riforme sono prioritarie? Quelle elettorali o quelle per progettare e realizzare le opere? Serve un provvedimento urgente di semplificazione. Oltre, come detto, un alleggerimento immediato dei vincoli del patto di stabilità per i Comuni. Non so se il ceto politico saprà creare le condizione per il superamento delle diseguaglianze e per una futura fisiologica dialettica politica. La “sospensione della dialettica politica” deve essere anche l’occasione per tutti i partiti di ricostruirsi

Foto di Rino Porrovecchio