Il romanzo storico offre tante comodità, almeno nelle due (superatissime ma sempre utili per una rapida introduzione critica) correnti italiane: quella manzoniana (personaggi umili all’ombra di grandi avvenimenti) e quella di derivazione scottiana (personaggi ingombranti ma ben romanzabili grazie alle nebbie di un tempo remoto o comunque mal documentato).
Nencini si è andato a infilare in una terza via che meno comoda non poteva essere: un protagonista realmente esistito, recente, che era stato centrale (e visibilissimo) nel momento topico della storia italiana, documentatissimo in vita (un leader politico del Novecento europeo!) e inflazionatissimo in morte (film, canzoni, strade, antologie, eccetera). Non è esattamente il materiale più seducente per uno scrittore che voglia cavar fuori qualcosa di più che una pedante biografia. Non puoi lanciarti in chissà che invenzioni ucroniche, finendo a fare dunque il tendenzioso.

È il momento dell’eppure. Eppure, Solo risulta in ciò sorprendente.

Dal punto di vista storico la ricerca di Nencini ha saputo servire tanto le sfide letterarie quanto quelle scientifiche.

È infatti forte non tanto lo Spirito del Tempo, un vecchio equivoco che costringe alla retorica, quanto il sapore di quel tempo, ovvero ciò che rende credibile un’opera d’arte, nettata dunque dalle pretese gnosticheggianti e faticosamente edificanti di chi vorrebbe incarnarlo lo Zeitgeist.
Ci sono infatti alcune cosette minute, come Matteotti, Kuliscioff e Turati al cinema per vedere la Maschera e il volto, una delle tante commedie borghesi di pura reazione prepirandelliana al dannunzianesimo. C’è altra roba poi un po’ più intensa, come Matteotti che D’Annunzio se lo legge, ben conscio, mettendolo a paragone (crudele!) della grande letteratura straniera. Un Matteotti che parla di Keynes, affondando il dito nella piaga gramsciana (si affannano da tempo i gramsciani di tutte le accademie a trovare indizi nascosti, ma sembra proprio che Gramsci da bravo gentiliano non si era aperto a certi orizzonti internazionali). Insomma questo romanzo ridona a Matteotti una tridimensionalità che ce lo fa riscoprire credibilmente l’Antimussolini (e non Mussolini l’antimatteotti solo perché l’Italia non lo ha lasciato solo). Non fu solo il più rompiscatole degli altri in aula, ma fu soprattutto il solo che, alto sopra le ubriacature postdiciannoviste, si rendeva intellettualmente conto di cosa stava accadendo in Italia e nel Mondo su ogni fronte. E nella tridimensionalità anche la vicenda personale, familiare paterna e coniugale che davvero tanto aggiungono alla ricostruzione letteraria del personaggio quanto, come già accennato, agli aspetti scientifici del romanzo.

Nencini ha anche cercato la sfida con le letture accomodate da De Felice in poi: nel romanzo si schiarisce l’evidenza di un Mussolini mandante non certo solo morale, e si mettono in ordine le piste internazionali che molti hanno snobbato ma che, questo colto e anglofono Matteotti recuperato, rivendica con grande naturalezza sopra carte che cantano.

Solo è infatti un romanzo storico revisionista e scientifico, che monda questo genere politicissimo, oltre che delle gnosi dello Zeitgeist, anche delle miserie dello Historismus.
Una novità importane per un genere che in Italia è stato occupato da una razza di nerd che, per far digerire la sconfortante banalità di una visione piattamente ideologica della storia, fanno largo uso di fumi d’artificio. Come nell’Armata dei Sonnambuli di Wu Ming, si tratta idee buone per un albo a fumetti: non per disprezzare il fumetto ma per sottolinearne la fragilità se stiracchiate per centinaia e centinaia di pagine, senza tra l’altro la fresca disinvoltura di generi d’oltreoceano come lo steampunk (dove per fortuna i comunisti non fanno il liceo di Gentile).

Esiste un problema vero, legato a un definitivo superamento del postmodernismo in letteratura, ma quelli della New Italian Epic se lo sono posti perché hanno colto un’eco sotto i portici di Bologna. Chi il problema forse non se lo è proprio posto è Barbero, gran cantastoria che però, come risposta, ha preferito quella esemplificata nel pur saporito Le Ateniesi. Il delitto del Circeo ai tempi della Guerra del Peloponneso, ovvero: i ricchi sono sempre stati fascisti. Che noia.

No, c’è invece un panorama letterario meno complessato e meno zelante, ed è quello ad esempio di Gomorra e delle meccaniche di complicità che si sostituiscono a quelle manipolatorie sul lettore.
La schiettezza sta superando le involuzioni della “letteratura consapevole” italiana, e in questa schiettezza Nencini era entrato almeno già con l’Imperfetto Assoluto. Questi due romanzi storici non si propongono ma rappresentano un percorso in cui, qui ci concediamo di dirlo, latu sensu e minuscolo, uno spirito del tempo si è messo in cantiere per far riconquistare alla letteratura di genere un ruolo sociale, senza ruffianerie pop e pedanterie moraliste.

È dunque possibile prendere materiale storico e romanzarlo, con finalità a un tempo scientifiche e politiche senza esser per forza faziosi, scappando dalle maledizioni che tutta la critica postgramsciana, poststrutturalista, esistenzialista francese e via cantando hanno lanciato per allegare all’insuccesso marxista ogni altra posizione. La loro tendenziosità è stata imposta/proiettata su tutti, ogni fisiologico punto di vista, nell’ottica imposta non è un mero dato di fatto, magari da criticare, ma un bias cognitivo squalificante. Eppure, questo romanzo scritto da un socialista su di un socialista, non è il vangelo di una setta che santifica il proprio martire (anzi, vedrà il lettore fra le tante novità anche certe crepe sull’icona), non è il conforto di una setta che cerca di aggregarsi sulla propria storia (anzi, la solitudine di Matteotti era anche rispetto ai solidali).

Matteotti solo in vita non è solo nel romanzo. C’è un coro di personaggi che rende il romanzo di una vivacità coinvolgente. Alcuni diventano importanti, altri baluginano lasciando pensieri. Molti dimenticati o sconosciuti, che danno più forza alla struttura del romanzo ma che fanno anche guardare oltre ai fatti del romanzo, all’Italia che verrà (Merlin <3). Altri vengono illuminati di nuove interpretazioni, come per Rocco il cui “parli prudentemente” (già nel film) era stato sempre additato come il monito di un imbelle o la prima minaccia di un complice, quando invece sembra esser stata una consapevole attenzione affettuosa. Molti notissimi: un Mussolini rappresentato con la crudezza che (quell’Italia) merita, portentoso e indiscutibilmente centrale. Questo Mussolini è tecnicamente il punto più esemplare della ricerca anche linguistica di Nencini: ci sbatte in faccia la tabe lessicale dell’Innominabile per una comprensione diretta della psicologia mussoliniana senza bisogno di affannarsi in sottolineature. È una scrittura leggera e tagliente, divertente (divertita), senza complessi e in tanta semplicità anche il gusto per le immagini (strade che si attaccano alle suole, labirinti di gole…) che si compenetra tra la narrazione e la prima persona di Matteotti. Bello anche questo, è una scrittura che dà il piacere del disorientamento senza confondere.

È un romanzo che sta camminando.