Nell’articolo pubblicato su queste pagine nel numero 6/20211 abbiamo iniziato ad approfondire il tema dell’impatto delle tecnologie digitali sul mercato del lavoro sulla base del lavoro di studio e ricerca portato avanti dal Laboratorio sull’Ecosistema Digitale della Fondazione Astrid2.
Non molto tempo prima dell’epidemia di coronavirus, infatti, i timori che l’intelligenza artificiale (AI), gli algoritmi e le macchine intelligenti potessero portare una società senza lavoro erano molto diffusi3.
Oggi, la continua evoluzione degli studi sulle dinamiche lavorative in atto, sta gradualmente cambiando le prospettive che riguardano l’impatto delle tecnologie digitali sul sistema lavoro, arricchendo la discussione di diversi nuovi elementi di fondamentale importanza nella comprensione del fenomeno.
In particolare, si assiste ad una maggiore attenzione degli studiosi nel diversificare gli impatti che ha avuto e sta avendo l’automazione, e cioè quella che può essere definita come Robotic Process Automation, dagli effetti sempre più dirompenti dell’Intelligenza artificiale.
Mentre l’automazione ha consentito in questi anni di trasferire mansioni per lo più di tipo ripetitivo e routinario svolte dall’uomo nell’ambito dei processi produttivi o di erogazione di servizi, lo sviluppo recente dell’IA, e il suo crescente utilizzo in ambito industriale e terziario, sta alzando di molto l’asticella dei possibili utilizzi delle nuove tecnologie. Ora, infatti, l’IA introduce funzionalità di problem solving e di ragionamento che gli consentono di svolgere alcuni compiti cognitivi non di routine. Il suo impatto, quindi, si estenderà inevitabilmente anche su figure ben diverse, come ad esempio radiologi, tecnici di laboratorio, professionisti (avvocati o commercialisti) o ingegneri.
Quando parliamo, però, di “impatto” non ci riferiamo obbligatoriamente a conseguenze negative ma più correttamente ad un insieme di possibili prospettive che contemplano sia conseguenze negative sia positive. Alcune evidenze emerse da recenti studi4, sottolineano infatti come alcune caratteristiche dell’IA mostrino un potenziale “sostitutivo” sulle occupazioni lavorative ben più elevato rispetto ai processi di “automazione” a cui abbiamo assistito in tutte le rivoluzioni industriali e che avevano interessato principalmente processi di produzione di beni di routine e poco qualificati.
Nel monitorare l’impatto dell’IA sul lavoro sarà quindi cruciale analizzare con quali modalità si concretizzerà la riorganizzazione delle mansioni all’interno di varie professioni
Trattandosi, infatti, di una tecnologia definita come General Purpose, essa ha un impatto esponenziale e soprattutto trasversale in ogni settore economico e sulla società rispetto a qualsiasi altra tecnologia con cui l’uomo ha avuto a che fare fino ad oggi. Ciò lascerebbe presagire soltanto conclusioni negative: nella realtà l’intelligenza artificiale si mostra, al contempo, come una tecnologia in grado di innovare profondamente le attuali realtà industriali e di svilupparne di nuove, ponendo sul piatto potenziali vantaggi per i lavoratori. In particolare, ciò varrà per quelle categorie di lavoratori più qualificati che, come abbiamo accennato, potrebbero essere maggiormente coinvolte nelle dinamiche di cambiamento occupazionale introdotte dalla IA ma che, allo stesso tempo, saranno anche coloro che con molta probabilità saranno in grado di rendere complementare l’IA nell’ambito delle attività che svolgono.
Scendendo un po’ più nel dettaglio5 è interessante registrare come, ad esempio nel mondo della manifattura, durante il periodo pandemico più acuto, l’introduzione di sistemi basati su intelligenza artificiale (oltre alle tecnologie legate all’analisi dei dati e al cloud) ha riguardato il 76% delle aziende su scala mondiale (81% se rimaniamo in Italia). Un trend che si fonda su tre ragioni principali in grado di migliorare il modello di business delle imprese manifatturiere: assistenza per la business continuity (38%), supporto nell’aumentare l’efficienza dei dipendenti (38%) e, più in generale, utilità per i dipendenti e le loro attività (34%).
Per esempio, avvalendosi maggiormente di tecnologie basate su intelligenza artificiale, i lavoratori impegnati nella catena di produzione possono dedicare minor tempo nelle operazioni e nei controlli ripetitivi dei prodotti, e concentrarsi invece su compiti più complessi, come l’analisi delle cause di eventuali imperfezioni e disservizi, riducendo inefficienze ed errori che potrebbero comportare sprechi e ritardi, ottimizzando il consumo di energia e supportando anche le più complesse attività di logistica e pianificazione.
È chiaro, quindi, che l’introduzione di tecnologie come l’IA è vista dalle aziende come una grande occasione per ottimizzare i processi produttivi, riducendo i costi e allo stesso tempo aumentare e migliorare l’offerta per il consumatore. Per creare il contesto nel quale l’intelligenza artificiale può produrre risultati positivi per le imprese e i lavoratori, è necessario però che l’IA sviluppi nuove attività ad alta produttività in grado di sostituire quelle automatizzate e quindi aumentare la domanda dei consumatori e di lavoro per gli esseri umani in attività complementari.
La discussione, quindi, apre immediatamente scenari positivi ma anche potenzialmente critici, in particolare per i policy makers che dovranno governare la transizione. Se l’IA, infatti, come abbiamo brevemente accennato, si configura come una tecnologia che può essere sfruttata principalmente da soggetti più qualificati, e che svolgono per lo più attività cognitive non di routine, è chiaro che bisognerà porre grande attenzione a non creare le condizioni per cui il mondo del lavoro vada nella direzione di accentuare le differenze nelle condizioni lavorative e gli squilibri retributivi tra lavoratori qualificati, la cui professione può trarre benefici dall’implementazione dell’IA nelle proprie attività rispetto a quelle professioni svolte da lavoratori non qualificati.
In Italia ad esempio il 37% dei datori di lavoro ha difficoltà nel trovare le persone con le giuste competenze, mentre il dato globale relativo alla carenza di talenti raggiunge il 45%.
Nel monitorare l’impatto dell’IA sul lavoro sarà quindi cruciale analizzare con quali modalità si concretizzerà la riorganizzazione delle mansioni all’interno di varie professioni, con alcuni lavoratori coadiuvati nel loro lavoro dall’intelligenza artificiale, piuttosto che sostituiti dall’algoritmo.
Le sfide che riguardano il sempre più diffuso utilizzo dell’IA nei processi produttivi e dell’erogazione di servizi, riguardano prima di tutto i processi di upskilling e reskilling dei lavoratori da una parte e dall’altra importanti investimenti sia pubblici che privati nel campo della formazione aziendale e nell’aggiornamento dei sistemi dell’istruzione e dell’università, per far si che sappiano rispondere alla domanda di nuove figure professionali.
Formazione e acquisizione di nuove competenze rappresentano infatti la chiave per consentire al sistema-Paese di rimanere competitivo dal lato delle imprese e sul versante della produzione di forza lavoro e talenti in grado di rispondere alle nuove esigenze del mercato del lavoro profondamente trasformato dalla transizione digitale (ed ecologica). Si tratta, infatti, di un percorso necessario da intraprendere per i lavoratori già inseriti nel mondo del lavoro che devono ora adattarsi all’emergere delle nuove attività e alle trasformazioni delle modalità con cui ora svolgono i propri compiti. Al contempo, è necessario rivedere completamente il sistema educativo, poiché come osservano autorevoli indagini6 sul tema della penetrazione delle tecnologie dell’AI sull’occupazione, si è evidenziato che nel giro di prossimi 15 anni circa 3,6 milioni di posti di lavoro equivalenti verranno eliminati: alcune professioni scompariranno, alcune task verranno automatizzate e accorpate, portando alla scomparsa di altre professioni. Per consentire di riequilibrare questo trend dando al mondo delle imprese e, più in generale al sistema produttivo e terziario, la manodopera qualificata che è richiesta nell’ambito della transizione (innovativa) in atto, è quindi in primo luogo necessario rispondere al tema del mismatch di competenze; ovvero della mancata congruenza tra le competenze in possesso della forza lavoro e quelle ricercate dalle imprese. In Italia ad esempio7 il 37% dei datori di lavoro ha difficoltà nel trovare le persone con le giuste competenze, mentre il dato globale relativo alla carenza di talenti raggiunge il 45%.
Il tema della trasparenza nelle “decisioni” assume, più generale, un ruolo estremamente cruciale nell’ambito dell’applicazione dell’IA nel mondo del lavoro
Accanto ai temi accennati è molto importante porre inoltre estrema attenzione alle conseguenze che alcune trasformazioni introdotte dall’IA nei luoghi di lavoro possono comportare.
Come abbiamo visto infatti l’intelligenza artificiale rimodulerà quasi completamente l’ambiente di lavoro, modificando il contenuto e il modo in cui i lavoratori interagiscono tra loro e con le macchine. Fino ad oggi, ad esempio, l’IA ha avuto un impatto importante nei settori human resource, e quindi nelle modalità con cui le imprese disegnano programmi di formazione, migliorando le competenze della propria forza lavoro o assumendone di nuova.
In particolare, l’IA ha consentito alle imprese di monitorare costantemente i progressi di un dipendente (ma allo stesso modo può avvenire nel mondo scolastico con gli studenti) nell’ambito di un programma di formazione a cui esso è stato destinato. Esistono inoltre programmi evoluti di predictive attrition 8 che indicano la probabilità che un dipendente possa abbandonare l’azienda dando ai manager gli strumenti per poter intervenire migliorando la partecipazione ed il coinvolgimento dei lavoratori al proprio progetto aziendale. Sono inoltre ormai ampiamente diffusi software che utilizzano il riconoscimento facciale e filtri di scelta del lavoro per analizzare i colloqui di assunzione registrati al fine di rendere il processo più efficiente.
Assistiamo inoltre a sperimentazioni negli ambienti di lavoro di tecnologie IA come, ad esempio, i c.d. wearable device
Un impatto così disruptive può comportante anche preoccupazioni sulle trasformazioni riguardanti la qualità delle occupazioni e sull’ambiente in cui queste vengono svolte. L’esempio più “pericoloso” riguarda i biases che gli algoritmi di intelligenza artificiale possono, direttamente o indirettamente, contribuire a promuovere. Pensiamo infatti ad un processo di reclutamento del personale: se da una parte è vero che l’IA può rendere la procedura più rapida e, allo stesso tempo, più approfondita, potendo valutare con estrema precisione un range ampissimo di elementi caratteristici dei soggetti candidati, dall’altra non bisogna dimenticare che gli algoritmi sono progettati da uomini e quindi soggetti a possibili pregiudizi consapevoli o inconsapevoli. Ciò comporta una situazione per cui professionisti e manager, operanti nel settore delle risorse umane, possono superare i loro pregiudizi nell’ambito delle operazioni di reclutamento di personale, rendendo il processo decisionale più obiettivo e neutro; al contempo, gli strumenti/algoritmi relativi alla IA, di cui si avvalgono per assumere determinate decisioni, possono a loro volta essere soggetti a biases derivanti dai progettisti di algoritmi o da scelte “non imparziali” fatte in passato (sono stati segnalati diversi casi, ad esempio, di discriminazioni nei confronti delle donne che portavano alla prevalente assunzione di uomini in caso di competizione a due).
Il tema della trasparenza nelle “decisioni” assume, più generale, un ruolo estremamente cruciale nell’ambito dell’applicazione dell’IA nel mondo del lavoro. Abbiamo fatto riferimento in precedenza al fatto che molte professioni che sembravano un tempo “inattaccabili” dalle tecnologie digitali, oggi sono tra le principali occupazioni soggette ad affrontare i cambiamenti imposti da queste ultime. Il caso più noto è quello del settore finanziario, dove ormai gli investimenti sono nella maggior parte dei casi guidati da macchine/robot intelligenti, con un incremento notevole dei redditi generati che si estendono anche ai settori manifatturiero e dei servizi tecnici e professionali.
Ma, come abbiamo accennato, c’è bisogno di fare molta attenzione a come vengono costruiti i set informativi alla base dei sistemi “intelligenti”, che tramite algoritmi sofisticati portano ad ottenere previsioni o decisioni. Questo poiché il rischio concreto che l’IA consegna nelle mani dell’uomo è quello di aumentare in maniera esponenziale la possibilità di assumere decisioni non orientate al benessere di tutti ma di pochi e, quindi, dannose per la collettività. Il tutto senza che, anche dal punto di vista della responsabilità decisionale, ci sia una normativa per un efficace framework di regole.
Oltre a questo, si apre anche un capitolo importante che riguarda i dati che vengono raccolti dai datori di lavoro tramite l’uso dell’IA. Monitorare le performance dei lavoratori, infatti, assume risvolti preoccupanti se si pensa al valore estremamente sensibile che questi dati possono assumere, sia in termini di informazioni personali riguardanti la salute, sia in termini di possibili condizionamenti a cui possono essere soggetti coloro che prendono decisioni importanti in ambito aziendale e che rischiano di essere non del tutto trasparenti9.
Assistiamo inoltre a sperimentazioni negli ambienti di lavoro di tecnologie IA come, ad esempio, i c.d. wearable device, cioè dispositivi indossabili che sono in grado di tracciare con precisione posizione e performance del lavoratore, giungendo addirittura a correggerne le azioni con indicazioni in tempo reale. Innovazioni che si muovono quindi su un confine molto sottile, in cui i benefici rischiano di essere bilanciati e in alcuni casi superati, in negativo, dal peggioramento delle condizioni lavorative, da un aumento dello stress e del carico di lavoro, che pesa sui lavoratori così “sofisticamente controllati”.
Un bilanciamento che, quindi, diventa necessario non solo per il miglioramento del benessere del lavoratore ma anche per i datori di lavoro stessi, che rischiano infatti di premere sull’acceleratore dell’innovazione senza rendersi conto che ciò che ottengono in termini di produttività, grazie all’introduzione di nuove tecnologie, rischiano di perderlo dall’altro a causa di minor impegno, creatività e coinvolgimento del lavoratore soggetto a eccessivo stress, in virtù di un controllo esasperato delle sue performance lavorative.
1 V. FRANCOLA, Tecnologie digitali e mercato del lavoro: quale futuro aspettarci?, Mondoperaio n.6/2021
2 Il Laboratorio sull’Ecosistema Digitale (LED) è una iniziativa che la Fondazione Astrid ha avviato (fine 2019) con l’intento di offrire un luogo di documentazione, analisi e confronto sulle trasformazioni prodotte dalla rivoluzione digitale, sia a livello dei sistemi economici, che nelle istituzioni e nella società.
3 Si vedano i vari Brynjolfsson e McAfee (2014). Ford (2015) e Frey e Osborne (2013, 2017)
4 Oecd, The impact of Artificial Intelligence on the labour market, di Marguerita Lane and Anne Saint-Martin, 2021.
5 Indagine realizzata da Google Cloud nel 2020.
6 Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano
7 Il Talent Shortage in Italia, ManPower, 2021.
8 Si vedano and esempio i progetti IBM sul tema e anche lo studio Oecd su, The impact of Artificial Intelligence on the labour market: What do we know so far?.
9 Si veda, tra gli altri, Moore, P., M. Upchurch and X. Whittaker, Digitalisation of Work and Resistance, Palgrave Macmillan, 2018.
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