Tutto è stato detto sulla scomparsa di Giorgio Ruffolo e con il massimo della autorevolezza. Vorrei però aggiungere qualcosa che può essere utile per ricordare ai giovani cosa erano un tempo i programmi economici e cosa erano i partiti.
Sull’economia, abbiamo avuto nel mondo uno spostamento enorme, epocale, verso destra, passando da una egemonia culturale sostanzialmente marxista a una iper liberista. In questo contesto, oggi non si immagina quanto fossero “a sinistra” anche partiti socialisti saldamente filoccidentali e pragmatici, come in Italia quelli di Nenni e Saragat. All’inizio degli anni ‘60, quando si costituì il primo governo di centro sinistra con l’ingresso del PSI, Giorgio Ruffolo aveva già un ruolo di gran commis dello Stato nella programmazione al ministero del Bilancio, era un dirigente socialista della sinistra cosiddetta “Lombardiana“, amico e collaboratore di Antonio Giolitti, come lui sostenitore di Riccardo Lombardi. Da giornalista ragazzino dell’Avanti!, ho seguito lo scontro interno al partito tra due direttori del quotidiano che si sono succeduti (prima Pieraccini e poi Lombardi) e tra due ministri del Bilancio anch’essi succedutisi (prima Giolitti e poi Pieraccini).
Quale direttore del quotidiano, proprio Pieraccini, che si sarebbe spostato a fare il ministro dei Lavori Pubblici dopo poche settimane nel primo governo di centro sinistra (e avrebbe ultimato la Milano- Napoli) mi affidò un’inchiesta sulle autostrade nascenti. Arrivò Lombardi e me la bloccò, spiegandomi che si trattava di scelte sbagliate, che privilegiavano il trasporto privato su quello pubblico: bisognava investire innanzitutto sui treni e non sulle automobili.
Lo scontro tra Giolitti e Pieraccini me lo raccontava quest’ultimo. Nel primo governo di centro sinistra Moro-Nenni, proprio Giolitti aveva ricoperto il ruolo chiave di ministro del Bilancio, nel quale rappresentava Lombardi, che aveva preferito diventare, come si è visto, direttore dell’Avanti! al posto di Pieraccini. Giolitti sosteneva una programmazione che per semplicità si potrebbe definire “impositiva”: piani quinquennali cioè rigidi, che imponevano anche agli investitori privati le scelte decise dal governo. I democristiani (e la maggioranza autonomista del PSI) erano invece per la programmazione “propositiva“, che orientasse senza forzature le scelte dei privati verso gli obiettivi politici stabiliti: innanzitutto lo sviluppo del Mezzogiorno. Alla fine, si giunse alla rottura e, nel secondo governo Moro-Nenni, Pieraccini sostituì Giolitti al ministero del Bilancio.
Oggi la programmazione economica non c’è più, neppure più se ne parla (come d’altronde dello sviluppo del Mezzogiorno attraverso investimenti anziché regalie e “redditi di cittadinanza“). Anzi. Non esiste neppure più una politica industriale. Ma Lombardi e Giolitti accusavano allora Nenni e Pieraccini di essere di destra.
Ruffolo ci ricorda anche come erano i partiti. Corrado Augias ne ha fatto su Repubblica la commemorazione forse più bella e commossa, nel cui titolo si legge: “addio all’ex ministro socialista non amato da Craxi“. Francamente, non so se lo amasse, ma qualche ragione di rivalità l’aveva. Ruffolo era infatti un esponente di punta della corrente “lombardiana”, oppositrice di Craxi. Eugenio Scalfari era l’arcinemico di Craxi, ma Ruffolo gli era particolarmente legato e infatti restava il commentatore economico più autorevole di Repubblica. Nel dicembre 1979, con il sostegno soprattutto del quotidiano di Scalfari, per un soffio fallì il tentativo di mettere Craxi in minoranza al Comitato Centrale del partito e di sostituirlo proprio con Giolitti (da sempre il punto di riferimento principale per Ruffolo). Lo ricordo bene anch’io, perché ci fu un accordo tra maggioranza e opposizione nel PSI che prevedeva, nel quadro di un riequilibrio, anche di cacciare me dall’Avanti! (il che poi, non so perché, non accade). Nonostante tutto questo (e non è poco), nel 1987 Craxi portò Ruffolo a fare il ministro nel governo Goria (e in un ministero chiave come quello dell’Ambiente). Appariva normale, perché nei partiti c’era la democrazia (anzi, la democrazia interna era connaturata ai partiti stessi), esistevano le correnti, con le loro diverse culture e politiche. Così che anche un segretario forte, come appunto Craxi, doveva tenerne conto, attraverso compromessi, ricerche di equilibrio, pesi e contrappesi che facevano seguito agli scontri. L’equilibrio tra le correnti richiedeva che ci fosse nella delegazione del PSI un esponente della sinistra e Craxi scelse Ruffolo (lo amasse personalmente o no). Certamente perché ne conosceva la indiscutibile autorevolezza e competenza. E infatti lo confermò senza discussioni nei successivi governi de Mita e Andreotti, sino al 1992. In fondo si trattava della stessa logica per la quale nel 1978 io diventai direttore dell’Avanti!, ma affiancato da un vice direttore della sinistra del partito: Roberto Villetti, che mi doveva fare da contrappeso.
Anch’io nutrivo qualche prevenzione verso Ruffolo, quando cominciai a frequentarlo dopo essere arrivato alla guida del quotidiano. Tuttavia cominciai presto ad “amarlo” per il semplice motivo, innanzitutto, che era “amabile“: di una simpatia irresistibile. Avremmo comunque avuto un rapporto costruttivo, perché il prestigio dell’Avanti! appariva a tutti assoluto: era una istituzione del partito, ciò che chiedeva veniva fatto diligentemente, anche dal più autorevole e famoso dei professori. Forse Ruffolo mi vedeva come un ragazzetto un po’ naif, ma ero pur sempre il direttore dell’ Avanti! e lui, ancorché con molti anni in più, sembrava a sua volta un ragazzo, per l’allegria, la scanzonatezza, l’humour dissacrante con il quale, come spesso accade alle persone di cultura superiore, rendeva semplici le cose difficili.
Certo, le correnti del partito pesavano anche nei particolari. Roberto Villetti era della sinistra come lui e quindi i rapporti erano innanzitutto tra loro due. Io, tra gli economisti, privilegiavo piuttosto Francesco Forte e la filiera dei suoi giovani allievi più vicini alla svolta “liberal socialista” impressa al partito: da Tremonti a Brunetta.
Nel rapporto speciale tra Roberto Villetti e Ruffolo, pesava d’altronde anche il lavoro comune a Mondoperaio, dove il primo era stato negli anni ‘70 vice direttore e il secondo, con Sylos Labini e altri, tra i protagonisti di una elaborazione economica e culturale che ha lasciato una traccia profonda.
La multi decennale amicizia e collaborazione fraterna tra Villetti e me indica come la militanza in correnti diverse di un partito non necessariamente nuocesse ai rapporti personali. E lo indica anche la famiglia di Ruffolo. Aveva due fratelli più grandi, entrambi protagonisti della Resistenza nella Roma occupata dai nazisti, arrestati e sopravvissuti miracolosamente. Uno di loro, Sergio, pittore e disegnatore, era forse il più famoso grafico del tempo, pubblicitario, creatore tra l’altro della veste grafica con la quale La Repubblica nacque nel 1976: un formato tabloid dalla modernità rivoluzionaria. Nell’ultima fase della mia direzione all’ Avanti!, volevo rinnovarne l’aspetto e trasferire (fu forse il primo) la composizione delle pagine completamente sul computer, attraverso una tecnologia allora nascente. Ne parlai a Sergio Ruffolo che immediatamente accettò con entusiasmo di realizzare il progetto, fulminandomi con lo sguardo al solo accenno che il suo lavoro (enorme) potesse essere retribuito. Nacque così, nel 1987, solennemente presentato da Craxi, l’Avanti! nella sua nuova veste, con la prima pagina a colori, titoli brevi e incisivi. Non era facile realizzarlo ogni giorno: i progetti più belli tendono infatti a deteriorarsi nella applicazione pratica. E perciò Sergio Ruffolo, che conosceva la vischiosità delle redazioni, rimase mesi da noi, con forcone e fucile per ottenere la migliore resa del suo progetto straordinariamente innovativo (forse-pensava-innovativo come quello di Repubblica dieci anni prima).
A distanza di tanto tempo, certo le posizioni sull’economia anni ‘60 prima ricordate di Lombardi, Giolitti e Ruffolo possono apparire ancora più estremiste di quanto già apparivano allora a noi autonomisti. Ma si può fare anche qualche autocritica. I Lombardiani, spinti da idealismo e passione politica, non erano soltanto dei sognatori. Vedevano, forse troppo in anticipo, i disastri che sarebbero derivati (anche per la tenuta della democrazia in Occidente) dal liberismo sfrenato anglosassone trasformato in ideologia. Vedevano i rischi ambientali, perché certo la motorizzazione privata è stata una conquista, ma se avessimo sviluppato in tempo le metropolitane, il trasporto dei carichi pesanti in treno e con navi di piccolo cabotaggio, lungo le coste, le emissioni di CO2 sarebbero più tollerabili. Vedevano il ruolo dell’industria pubblica, perché proprio in Italia, non per caso, aldilà di una certa dimensione, ci è rimasta soltanto questa. E le piccole o medie imprese, pur tipiche della nostra straordinaria vitalità, non bastano.
L’arco della vita di Giorgio Ruffolo è stato lungo, quasi un secolo. E anche la sua storia serve dunque a capire il passato, contrastando luoghi comuni che non ci aiutano a costruire il futuro.