La natura è stata crudele con Giorgio Ruffolo negli ultimi anni della sua vita; e crudele è stata con chi gli era vicino e aveva avuto la fortuna di condividere la sua intelligenza, la sua cultura, la sua stessa voce, forte e suadente. Tutto questo se n’era già andato mentre lui sopravviveva con il suo corpo soltanto, giorno dopo giorno, solo in attesa (per lui inconsapevole) di ciò che è infine accaduto.
Ho sofferto nel saperlo, ma non ho potuto non pensare: finalmente, Giorgio torna libero da quel corpo che lo teneva prigioniero. Torna libero in noi, nel ricordo che ne abbiamo, nelle occasioni che costruiremo per riprendere ad avvalerci delle sue idee, del tanto, tantissimo che ci ha dato: con la sua opera di costruttore della programmazione pubblica, con gli studi del suo Cer, con il suo lavoro per il Mezzogiorno e per l’ambiente, con i suoi libri straordinari, che già nei titoli anticipavano le sue tesi – sempre provocatore e sempre saldamente fondate – sulla storia, sull’economia, sul mondo e sull’Italia.
Mi sia permesso qui, in questo primo e ancora affannato ricordo, soffermarmi su un profilo soltanto fra i tanti che si traggono dai suoi lavori. Nell’ultimo anno ho riflettuto molto sulle fragilità emerse nelle nostre democrazie alle prese con i grandi e sconosciuti problemi portatici da fenomeni nuovi come la pandemia e il cambiamento climatico. Entrambi suscitano una istintiva preferenza per forme di governo centralizzate, che garantiscano uniformità e ci liberino da quell’in più, spesso vissuto con fastidio, costituito dai governi regionali e locali.
Ho espresso tutta la mia critica verso le autonomie, che troppo spesso sembrano prediligere piccole e diversificate risposte, a beneficio ciascuna di propri cittadini, su temi che esigerebbero esattamente il contrario. Ma attenti, il rimedio non è il centralismo, che accentua caso mai il rischio degli ingorghi decisionali e, davanti a resistenze ed insuccessi, il rischio stesso dell’autoritarismo. Il rimedio è un disegno comune, in cui Stato e autonomie siano paritariamente coinvolti, all’insegna di un regionalismo cooperativo a cui troppo di rado abbiamo fatto ricorso.
Io ho scritto queste cose ora, spinto da emergenze che solo ora si sono con prepotenza affacciate. Giorgio le aveva già scritte nel 2009, nel suo libro sull’Italia, paese troppo lungo; troppo lungo per essere governato tutto dal centro e bisognoso invece di federalismo, anche e proprio a beneficio del Mezzogiorno, in chiave, però, cooperativa sulla base di un grande patto nazionale. Contro il centralismo e contro – scriveva – il federalismo “separatista”. Insegnamento attualissimo, in cui oggi mi sono ritrovato e del cui valore, forse, non mi ero accorto quando il libro uscì.
E’ – dicevo – solo un esempio; un esempio di quanto potremo fare in futuro scavando nella miniera d’oro che Giorgio ci ha lasciato.
Giuliano Amato
17 febbraio 2023.
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