La falsa inimicizia. Guelfi e ghibellini nell’Italia del Duecento, dello storico Paolo Grillo, non è solo un testo da studiare; è soprattutto un gran bel libro.
Leggendolo alla luce delle vicende odierne – i mutamenti climatici, la tragedia dell’Ucraina e gli altri conflitti armati, il virus pandemico, la percezione diffusa di instabilità politica e sociale, il malessere economico – si provano, come con altri eventi o fenomeni del passato, due sensazioni in apparenza contrastanti: una di prossimità (non siamo estranei a quei fatti, anzi; li riviviamo, pur in forme diverse) e una di distanza (si tratta di “un altro mondo”, rispetto al nostro).
E non a caso esso ricorda come, nell’estate del 1257, il vulcano Samalas, nell’isola di Lombok, in Indonesia, esplose, sollevando “alcuni miliardi di tonnellate di terra e roccia” in forma di polveri, che velarono a lungo il sole. Per due o tre anni, in particolare, le particelle di acido solforico alterarono il clima in tutto il pianeta, provocando in Europa maltempo duraturo, alluvioni, straripamenti di fiumi, distruzione di raccolti, carestie. “Il prezzo dei cereali aumentò dappertutto”; per le famiglie più povere fu un disastro.
Insomma: una sorta di globalizzazione prima della globalizzazione. Anche la natura ne era (e ne è) parte. Tutti sanno, oggi, dell’estinzione dei dinosauri, 65 milioni di anni fa, legata forse alla caduta di un meteorite. Tuttavia anche quell’esplosione vulcanica aveva un sapore apocalittico. E la nostra penisola, negli stessi anni, era flagellata da scontri violenti all’interno dei comuni, tra le fazioni che se ne contendevano il controllo, e tra le coalizioni e i potentati geopolitici, specie nel centro-nord. Qualche esempio, per suggerirne la portata. Il 30 agosto 1258, davanti a Brescia, l’esercito del cardinale Filippo da Pistoia, che due anni prima aveva conquistato Padova, venne sconfitto dalla coalizione ghibellina di Ezzelino da Romano, signore del Veneto, e dell’altro vecchio vicario dell’imperatore Federico II Oberto Pelavicino, che controllava parte della Lombardia e dell’Emilia. Ai primi di ottobre del 1259, presso Cassano d’Adda, proprio Ezzelino veniva battuto e ferito a morte da una coalizione articolata e composita, fondata sull’alleanza tra lo stesso Pelavicino e il guelfo Azzo VII d’Este, signore di Ferrara. Il 4 settembre 1260, poi, nella celebre battaglia di Montaperti, l’esercito di Firenze, affiancato da contingenti militari di Lucca, Pistoia, Prato e altri comuni più piccoli, fu travolto dalle truppe senesi, sostenute da 800 cavalieri pesanti tedeschi inviati da Manfredi, re di Sicilia, e dagli esuli ghibellini di Firenze.
E tali convulsioni politico-militari contribuivano di certo alla crisi dell’economia, comportando a loro volta miseria e fame.
Da qui la nascita del movimento religioso dei flagellanti, spesso oggi considerato come un fenomeno bizzarro o da barzelletta. Si trattava invece di persone preoccupate per le violenze e le calamità di ogni sorta, che sembravano indicare l’imminente fine del mondo. Era un modo per reagire, invocando, con la penitenza, la misericordia di Dio. L’autoflagellazione pubblica, durante le processioni, vere e proprie marce per la pace, era volta alla concordia civile. Non a caso l’esperienza dei flagellanti (frati della penitenza, laici e religiosi, chiamati anche battuti) contribuì a preservare a lungo Perugia dalla calamità della guerra. Si trattava di un movimento trasversale, rispetto ai ceti sociali, pur avendo probabilmente “un forte connotato popolare”. Non di rado, poi, essi stessi entravano nella contesa politica, come dimostra il caso di Sigibaldo Opizzoni, già “rettore del Popolo di Tortona”, divenuto leader dei flagellanti di Genova, i quali riuscirono a ottenere dal capitano del Popolo e dal podestà “che tutti gli esiliati fossero riammessi”. Altre volte, invece, come accadde a Piacenza, i “battuti” finivano per esser manipolati dalle fazioni, acuendo i conflitti, anziché lenirli.
Esauritesi le marce, diedero vita alle confraternite “dei Disciplinati” o “dei Battuti”, “sotto la protezione” del già citato cardinale Filippo da Pistoia.
Ecco, mi sento di dire che tante dinamiche sono analoghe a quelle attuali. La differenza è nelle dimensioni (la nostra è l’epoca dei grandi numeri, miliardi di esseri umani sono coinvolti), naturalmente nella tecnica (i mezzi odierni sono indicibilmente più potenti e sofisticati), nelle comunicazioni (nel villaggio globale tutto sembra svolgersi “in tempo reale”). Le “alchimie”, quelle della natura e quelle della politica e della società, invece, paiono sorprendentemente simili.
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