di Luigi Covatta (dall’Avanti! del 1° maggio 202)

Ci volevano Gianni Amelio e Pierfrancesco Favino per estrarre la memoria di Craxi dal freezer in cui era stata rinchiusa per un quarto di secolo. Non erano bastati i convegni della Fondazione a lui intitolata o i dieci volumi della collana di Marsilio su “Gli anni di Craxi”: né, probabilmente, sarebbero serviti i pur pregevoli saggi che Martelli, Martini, Sorgi e Spiri hanno pubblicato in occasione del ventennale della sua scomparsa.

E’ segno che nella società dello spettacolo è cambiata la gerarchia dei linguaggi, per cui l’emozione conta più del ragionamento? Può darsi. Ma è più probabile un’altra spiegazione. In realtà è stata la stessa emotività irrazionale che a suo tempo condannò la memoria di Craxi a postulare una reazione uguale e contraria.

Ora, finalmente, c’è stato il disgelo: e pazienza se è cominciato con l’immagine di un nonno che insegna al nipotino le canzoni garibaldine. Può essere anzi un buon segno, se si pensa che è soprattutto attraverso un dialogo fra nonni e nipoti che oggi possiamo cercare di trovare un bandolo per uscire dal groviglio di una seconda Repubblica finita nelle mani di Salvini e Di Maio. La generazione di

mezzo, infatti, non è pervenuta. Non ha tagliato il traguardo della governabilità, e nemmeno quello di una rappresentanza capace di accorciare le distanze fra eletti ed elettori. Non ha ridotto l’invadenza dei partiti rispetto allo Stato, ma ha prodottosolo una partitocrazia senza partiti. Ha lucrato fin troppo sulla democrazia dell’alternanza, ma con gli stessi automatismi con cui si muove un pendolo: fino ad un epilogo in cui si sono alternate le maggioranze senza cambiare il capo del governo.

Perciò è importante che il confronto su Craxi avviato all’inizio dell’anno prosegua anche attraverso ed oltre la crisi prodotta dalla pandemia (come peraltro, nel mio piccolo, sto facendo su Mondoperaio). Non tanto per risarcire Craxi dello sfregio subito, impresa che sarebbe tanto impossibile quanto inutile. Né per negare gli errori che ha commesso. Semmai per riconoscerli come errori tattici laddove quelli dei suoi avversari furono errori strategici. Che dire di una Dc che, dopo avere attivamente contribuito a costruire le regole di un sistema bipolare, alla fine non ha trovato un polo in cui collocarsi?

E di un Pci che, dopo essersi (tardivamente) trasformato in Pds, ha preso in parola Duverger quando assicurava che sarebbe bastata la riforma elettorale per dar vita ad “un’unione della sinistra su basi inversamente simmetriche a quelle che l’hanno portata al potere in Francia”?

Anche per questo, forse, Craxi “non seppe o non volle capire che la sua figura aveva già spezzato i vincoli e le gabbie di un sistema partitico ormai logoro”, come scrisse sul Corriere Stefano Folli in un

necrologio in cui rievocava un sondaggio che nel 1987 attribuiva alla sua persona il 65% dei consensi, mentre bocciava la formula del pentapartito: perché era consapevole del deficit di strategia dei suoi contendenti, i quali tuttavia insieme con lui formavano un sistema politico che da solo non avrebbe potuto riformare.

Del resto anche l’iter tormentato dei suoi successi lo induceva a sottrarsi a questa alternativa del diavolo. Non c’era stata solo l’iradiddio scatenata per il taglio di quattro punti di scala mobile.

C’erano stati i cortei “pacifisti” contro l’installazione degli euromissili, la freddezza della Dc per la revisione del Concordato del ’29, la crisi di governo determinata dall’episodio di Sigonella, e perfino l’opposizione della sinistra democristiana alla legge Mammì: ed è difficile immaginare una “grande riforma” da portare a termine con chi voleva mantenere il monopolio pubblico sulla Tv, la sovranità limitata rispetto agli Usa, la religione di Stato e la congrua al clero, l’appeasement con l’Urss di Breznev e l’inflazione a due cifre.

L’alternativa avrebbe potuto essere quella dell’appello al popolo? Anche in questo caso, può darsi. Ma senza dimenticare che, come scrisse allora Mauro Calise, mentre i referendum di Segni avevano “consentito a milioni di italiani di liberarsi del proprio passato depositando nell’urna, a costo zero, una scheda sacrificale”, quegli stessi milioni di italiani sarebbero poi stati più avari nel depositare le loro schede nell’urna delle elezioni politiche, come avrebbe appreso a proprie spese lo stesso Segni.

Come si vede, il confronto su Craxi continua a porre problemi. Perciò è importante che prosegua: per offrire un viatico a quanti (non moltissimi, purtroppo) si stanno mettendo in cammino per uscire dal pantano in cui ci hanno condotto gli anticraxiani degli anni ’80 del secolo.